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martedì 29 luglio 2014

Cesare Battisti: l'uomo e l'esempio!

"Avevamo parlato di Cesare Battisti nei giorni antecedenti la festività del 4 novembre. Oggi, passati pochi giorni dal novantottesimo anniversario del martirio e mentre in tutto Europa ci si appresta a ricordare i tragici eventi della prima guerra mondiale, vogliamo rinnovare la memoria dell'Eroe. Quanto segue è un prosieguo di ciò che è stato precedentemente pubblicato su questo stesso sito in varie puntate: 

- http://gsavser.blogspot.it/2013/11/cesare-battisti-e-il-confine-al.html
- http://gsavser.blogspot.it/2013/11/cesare-battisti-e-il-confine-al_3.html
- http://gsavser.blogspot.it/2013/11/cesare-battisti-e-il-confine-al_4.html


Un compendio che mira a risvegliare nelle coscienze assopite degli italiani il ricordo di più fulgidi esempi e di ben altri uomini. Assuefatti come siamo alla mediocrità dei nostri politici e dei nostri intellettuali che, parafrasando Dante, “si tegnon or là sù gran regi/ che qui staranno come porci in brago/ di sé lasciando orribili dispregi!", leggere di quel grande italiano che fu Cesare Battisti, c’innalza un poco di fronte alla bassezza di questi tempi bui e rei. E ci dona un barlume di speranza che, come una fiamma accesa, alimenta il nostro duro pellegrinaggio in questa patria sempre più dimentica di sé." 




Le ultime ore di Cesare Battisti
di Pompeo Zumin – Gorizia
(dal settimanale « L'Unità», di Firenze – 17 luglio 1919)


Al caffè, a Trento, appresi da ufficiali a me sconosciuti che al Castello si trovavano due ufficiali irredenti catturati sul Monte Corno, e che avrebbero dovuto venir impiccati per alto tradimento. Allora mi trovavo con il mio reparto pistori 1 a Graffiano (Povo) presso Trento, e abitavo in casa del capocomune Vittorio Merz, con il quale, pur vestendo io l'uniforme d'ufficiale austriaco, potevo parlare liberamente delle nostre aspirazioni nazionali, essendo il detto signor Merz di sentimenti italiani. Appresa la triste notizia suddetta, mi recai a Graffiano, e trovato il Merz, gliene parlai; il Merz aveva pure inteso qualcosa, e credeva trattarsi del dottor Cesare Battisti di Trento e del dottor Fabio Filzi.

« Ritornai a Trento ed andai al Castello per informazioni: era l'undici luglio 1916.

« All'ispettorato di polizia, che è vicino al Castello, vidi un gran cartellone con suvvi la scritta: «Chiuso per festa Nazionale». Ad un muricciolo poco distante vidi in quella vece il frammento d'un vecchio proclama. elettorale: «Votate per il dottor Cesare Battisti». Strana ironia del destino!

« Al Castello mi avvicinai al sottufficiale addetto alla sorveglianza del Battisti; con me si trovava l'alfiere Felice Kronebetter (ora dott. Felice Kronebetter), già addetto alla facoltà giuridica (sezione penale) di Graz. Con l'aiuto di sigarette e di una mancia, entrammo. Attraversammo un cortile zeppo di affusti e di arnesi d'artiglieria, ed entrammo in un andito del piano terra.

« In una cella, a destra, c'era il Battisti, in un'altra, a sinistra, il Filzi. Il Battisti era sdraiato su un pagliericcio; aveva i piedi nudi e sul braccio destro che sporgeva dalla coperta, vidi le due stellette dell'uniforme. Guardava il soffitto, non ci degnò d'uno sguardo, non si mosse; due sentinelle lo sorvegliavano.

« Al Kronebetter e a me si unì un capitano a me sconosciuto, che credo avesse le mostrine d'aviatore; alla vista del Battisti, che giaceva a poco più d'un passo da noi, il detto capitano parlando al sottufficiale (sergente) che ci accompagnava, disse in tedesco: «Quando impiccherete quel porco?» La domanda era fatta in modo, che il Battisti doveva udirla; anzi perché l'udisse. Il Battisti però seguitò a guardare il soffitto, non si scompose, e benché una mosca gli girasse sul viso, non si mosse. Il sottufficiale rispose di non sapere, di credere però che ciò sarebbe avvenuto il giorno dopo.

« Mi allontanai e mi avviai verso la cella del Filzi; e con me gli altri. Era egli pure sdraiato sur un pagliericcio, in terra; guardava verso la finestra, in faccia all'uscio; quando udì passi, si volse, ci guardò, e rigirò la testa verso la finestra. Era pallido, non sbarbato. Nessuno disse parola, tranne il sottufficiale, che pronunziò il nome del Filzi. Ce ne andammo.

«Chiesi al già detto sergente quando si sarebbe tenuto il dibattimento, e quando sarebbe avvenuta l'esecuzione. Mi fece attendere qualche poco, e ritornò per dirmi che ritornassi nel pomeriggio del giorno seguente. Ritornammo a Graffiano.

«Il giorno dopo venni solo a Trento, e tentai di rilevare alcunché di positivo: mi si disse che tornassi verso le quattro pomeridiane. Andai in cerca di giornali, ma non ne tro vai. In piazza Dante, presso il monumento trovai affisso il bollettino di guerra: parlava della cattura di alcune centinaia di alpini sul Monte Corno. Un'aggiunta del Comando di piazza di Trento era del seguente tenore: «Fra i prigionieri trovasi pure il traditore ex deputato di Trento, dott. Cesare Battisti».

« Ritornai a Graffiano, pranzai alla mensa, e verso le tre ci recammo a Trento. Con me erano: il già menzionato alfiere Kronebetter, il tenente artiglieria Patermoner (stiriano) appartenente alla 6a divisione, un alfiere d'artiglieria, di Klagenfurt, del quale non ricordo il nome, che però ho notato nel mio notiziario (lo ho a Trieste). 

« Ci portammo al Castello verso le quattro pomeridiane, e rilevammo che alle cinque (ora estiva) sarebbe letta la sentenza, che era di morte per entrambi i martiri. 

 

 

« Appresi al Castello che nel fossato si trovava il carnefice Lang, intento a preparare le due forche. Vi scesi insieme alla comitiva già detta. Vidi il Lang, e i suoi due aiutanti. Il Lang si trovava presso la forca destinata per il Battisti (Si veda qui sotto lo schizzo del fossato).

« Quando ci avvicinammo al carnefice, questi si trovava presso il palo del Battisti (n. 5). Aveva vicino a sé una piccola valigia; vicino a lui stavano i due aiutanti

Chiedemmo al carnefice di mostrarci come si faceva una impiccagione; uno si prestò per l'esperimento. Il carnefice prese una cordicella dalla sua valigia, la applicò al collo di uno della comitiva e disse ridendo: «Si figuri di essere al palo; che lo sollevino fino alla sommità, in modo che io possa infilare il laccio a quel gancio e che lo lasci andare».

Gli domandarono ancora (io mi ero deciso ad osservare senza parlare per non tradirmi, dato che parlo il tedesco con pronunzia italiana come quasi tutti gli italiani): «Basta una simile cordicella per impiccare un uomo?». Ci rispose: «No, la buona (der richtige Strick) è nella valigia». Più tardi dovevo comprendere il significato di queste parole sibilline.

Gli si osservò che la morte mediante capestro doveva essere orribile. Il carnefice rispose sorridendo: «Non meritano sorte migliore; del resto sono in buone mani: mi lascino fare ».

« Temevo che i miei compagni si accorgessero del mio turbamento, e li invitai perciò ad uscire dal fossato per assistere alla lettura della sentenza. Rientrammo nel cortile a colonnato del castello, dove frattanto erano convenuti moltissimi ufficiali.

« Vennero le 5, e ci avvertirono che la lettura della sentenza era imminente. Entrammo nella sala indicataci. La Corte era già presente i mancava però ancora un tenente, che non so se fosse il procuratore di Stato o il difensore. Il colonnello presidente guardava impaziente l'orologio, e chiedeva ai membri della Corte spiegazioni sul ritardo dell'ufficiale che mancava. Gli risposero non so che, a bassa voce. E allora, chiamato un sottufficiale, gli ordinò di non introdurre gli imputati finché non fosse arrivato l'ufficiale che mancava; frattanto ne sollecitasse per telefono la venuta. Quell'ufficiale infine venne, si giustificò, e il presidente ordinò che gli imputati fossero fatti entrare.

« Venne per primo il Battisti, calmo, sereno, in uniforme, non legato; guardò in giro il pubblico, guardò la Corte, il banco degli accusati, e andò a sedersi al capo destro. Poi fu introdotto il Filzi, e sedette alla sinistra del Battisti.

« Si lesse la sentenza, che era di morte mediante capestro per entrambi gli accusati.

« Al passo: «Commise con ciò azioni tendenti a staccare parti della monarchia», il Battisti affermò con un cenno della testa. La sentenza non mi sembrava oggettiva, in certi punti era atroce. Condannava piuttosto l'Italia, che i due imputati. A carico del Battisti rilevava la circostanza che il Battisti era uno dei più ferventi propugnatori della guerra contro l'Austria, che era stato già punito in antecedenza; parlava anche delle sue condizioni finanziarie.

Dalla motivazione della sentenza rilevai fra l'altro che tanto il Battisti quanto il Filzi avevano ammesso il fatto loro addebitato e che tale ammissione però non valeva quale circostanza mitigante, essendo superflua di fronte alle prove portate da... (seguivano i nomi dei soldati che avevano catturato i due martiri). Le giustificazioni dei due accusati relative alla loro sudditanza venivano oppugnate nel senso che la sudditanza era un rapporto bilaterale, e che non avendo l'Austria rinunciato ad essa, essi rimanevano sudditi austriaci, benché avessero prestato servizio in un esercito straniero, e sostenessero di essere con ciò divenuti cittadini italiani: l'eccezione di non essere gli imputati passibili dell'alto tradimento era così giusto il tenore della sentenza scalzata. I due martiri dovevano altresì aver eccepito la competenza del tribunale militare di Trento, quale tribunale marziale, e la sentenza sosteneva che il giudizio statario era stato debitamente reso di pubblica ragione, e che se gli imputati non ne erano a conoscenza, essendosi loro recati prima in territorio estero, la colpa era tutta loro, e la eccezione quindi insostenibile. L'esecuzione doveva avvenire due ore dopo la lettura della sentenza; il Battisti sarebbe impiccato per primo.

« Uscimmo. Udii un gran rumore, non vidi nulla perché mi trovavo in mezzo alla folla d'ufficiali, alcune centinaia. Mi si disse che un soldato avesse schiaffeggiato il Battisti, mentre lo conducevano alla cella dopo la lettura della sentenza, e che il Battisti avesse chiesto su di ciò di parlare al suo difensore. Un tenente colonnello, elegantissimo, che avevo veduto più volte entrare in una camera, al cui uscio era applicato un cartellino con la scritta: Bonani (o Bonetto) tenente colonnello, gridò in tedesco, in modo che Battisti potè udire benissimo: «Presto alla forca quel porco!».

« Scesi nel fossato in attesa dell'esecuzione della sentenza. Con me la comitiva già menzionata, e di più il sottotenente medico dottor Teodoro Weiss di Vienna (apparteneva al comando del treno del 3° corpo).

Nel fossato vidi due donne ungheresi, che avevano il bracciale della croce rossa ed erano profumatissime; vidi anche una signorina giovanissima in costume di contadinella (Dirndl): blusa e gonna a colori vivaci; gonne corte, calze colorate, in decolleté, braccia nude dal gomito. Le dette tre donne furono fatte allontanare. Pure la bassa forza fu allontanata, non pertanto parecchi soldati (graduati) ritornarono. C'erano molti preti, e circa 400 ufficiali: fra questi vidi il Dr. Cigoi, jugoslavo, già giudice a Tolmino ed allora tenente giudice a Trento. Non vidi altri conoscenti, non udii alcuno parlare italiano. L'attesa fu terribile. Un ufficiale, che mi stava da presso e parlava tedesco, disse fra l'altro: «Se il Battisti ha tanto coraggio,perché non rinuncia alle due ore e non si fa impiccare subito per non farci attendere troppo?». Un altro ufficiale pure tedesco gli rispondeva: «Lasciate andare, questa attesa sarà un buon antipasto per la nostra cena». Piccoli crocchi di ufficiali qua e là ridevano, facevano scherzi da monelli, scambiandosi il berretto, facendosi il gambetto, ecc. Era un quadro orribile di bassezza morale.

«Tutto in giro un'infinità di apparecchi fotografici, fra i quali uno di dimensioni grandissime e che avrebbe potuto essere un apparecchio cinematografico. Per fortuna, nel muraglione di cinta c'era un foro, e poco prima delle 7 (orario estivo) il sole, che volgeva al tramonto, splendette per detto foro, colpendo direttamente gli obiettivi del maggior numero d'apparecchi, che perciò non poterono agire; fra questi anche l'accennato apparecchio cinematografico.

« All'esecuzione dovevano assistere una compagnia di soldati comandata dal maggiore Philippovic (non so come si scriva questo nome: appresi che detto maggiore si chiamava così). Quel maggiore aveva del grottesco. Piccolo, nervoso, faceva marciare i suoi soldati lungo il fossato; e siccome il pubblico gli era d'inciampo, pregò gli ufficiali di far posto ai suoi soldati, perché questi erano situati in base al regolamento d'esercizio, ed essendoci poco spazio a disposizione, potevano far fiasco. Tali preoccupazioni pochi minuti prima di impiccare due uomini!

« Scoccarono le sette. Uno squillo di tromba; e dai pressi della scala (n. 1 dello schizzo) vedo avanzarsi il triste corteo. Precede il carnefice con i due aiutanti; poi il picchetto con nel mezzo il Battisti, ed il sacerdote. Procede lentissimo. Il Battisti non indossa più la divisa, ma un vestito grigio scuro a quadrelli; ha in testa un berrettone scuro, stivali grandissimi allacciati con spago; ha le mani legate, incrociate; i gomiti pure legati. Guarda in giro, quasi cercasse fra il pubblico un conoscente; guarda alla sommità del muraglione, che fiancheggia la via, e cerca invano conoscenze.

Arrivato all'attrezzo (n. 2 dello schizzo) guarda, si ferma un istante, e poi procede, dato che il picchetto procede; lo stesso avviene al palo del Filzi (n.3) ed alla sbarra (n. 4 dello schizzo).

«Il picchetto si avvicina al patibolo. Entra il tenente giudice e legge la sentenza, però senza motivazione. Poi le terribili parole: «Carnefice, le consegno il condannato, faccia il suo dovere». Il carnefice leva il berretto al Battisti.

« Questi grida con voce sicura, addossato al patibolo: «Viva l'Italia, viva Trento italiana!». Un silenzio. Poi il pubblico urla in tedesco: «Pfui, viva l'Austria!». – Il Battisti di rimando: «Viva l'Italia!». – Il pubblico: «Pfui». – Il Battisti: «Viva l'Italia, viva l'Italia!». Gli aiutanti del carnefice già sollevano il Battisti, quando questi gridava i due ultimi: «Viva l'Italia!».

« Il carnefice gli applica il laccio al collo; gli aiutanti tirano in giù il martire; la corda si spezza. Il povero martire cade, restando addossato al palo e scuotendo la bella testa. Un senso di orrore nel pubblico.

Il Dr. Teodoro Weiss, che mi è vicino, mi ripete continuamente: «Andiamo, andiamo, è troppo». Parecchi ufficiali fumano sempre la sigaretta. Il carnefice leva dalla valigia una seconda fune – era la buona! – così si spiegavano le parole sibilline che aveva dette alcune ore prima dell'esecuzione: voleva ed ha fatto della teatralità, prima di far morire un uomo; sapeva che il primo laccio si sarebbe spezzato; e le autorità non se ne accorsero?

« Gli aiutanti del carnefice rialzano il martire, gli si applica un nuovo laccio, e di nuovo un forte strappo. Il Battisti si fa rosso, bluastro alle mani ed al viso; ma non muore. Il carnefice gli passa una mano sotto il mento; gli preme sulla bocca, sulle narici e sugli occhi. Ma il martire non muore. Assistono due medici, un tenente ed un maggiore. Sono preoccupati, ascoltano il Battisti. Vive ancora! E parecchi ufficiali fumano ancora maledetti! Infine si accerta la morte. Si dà il segnale di preghiera. I soldati eseguiscono. Gli ufficiali si guardano incerti sul da farsi: chi fa il saluto militare, chi leva il berretto, taluni ignorano la santità del momento, infine tutti levano il berretto. Si copre poi il martire con un lenzuolo; gli si mette davanti una staccionata (steccato mobile); ed il picchetto va a prendere il secondo martire.

Si ripete la tristissima procedura con il Filzi. Il carnefice gli applica il laccio. Filzi muore subito.

« Mi separai dalla comitiva e ritornai a Graffiano. Raccontai lo strazio alla famiglia Merz: povera gente: era avversaria politica del Battisti perché questi era socialista; ma pianse al racconto. Al supplizio assistette pure il tenente di sussistenza Antonio Vaigner, czecoslovacco; da Trebic (Moravia), il quale fece alcune fotografie. Dal Vaigner rilevai che egli fu presente quando si diede sepoltura ai due martiri, verso la mezzanotte del 12 luglio».

Dr. POMPEO ZUMIN, Impiegato dell'Istituto Ipotecario di Gorizia.



* * *

I due cadaveri penzolarono dalle due forche, secondo talune testimonianze, fin verso le 23; a quest'ora una fossa, scavata in un angolo del cortile, accolse insieme le due salme. Secondo altri, invece, il seppellimento avvenne subito dopo l'impiccagione.

La mattina del 4 novembre 1918, il capitano Ugo Mazzo ni, di Firenze, che aveva assunto il comando militare nella città di Trento, salito al Castello e fattosi indicare il luogo dov'erano sepolti i due martiri, vide che la terra era di recente smossa.

Dopo precise indagini, potè stabilire che nella notte dall'1 al 2 novembre le due salme erano state frettolosamente dissepolte, e portate al cimitero militare. Precisato il luogo, le salme furono riesumate e riconosciute 2; e fu riesumato pure, dalla fossa del castello, Damiano Chiesa che vi era stato sepolto dopo la fucilazione.

La salma di Battisti riposa, ora, a Trento, nella tomba di famiglia 3; quelle di Chiesa e di Filzi, trasportate al camposanto di Rovereto, dormono il sonno eterno nella terra nativa.
Note:
1 Panettieri (N.d.c.)
2 Il riconoscimento venne fatto da Luigi “Gigino” Battisti, figlio del Martire e arruolatosi giovanissimo (era nato nel 1901).
3 Nel 1929 non era stato ancora costruito il Mausoleo sul Doss Trento, dove le spoglie di Cesare Battisti furono traslate nel 1935.


Continua...