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sabato 2 novembre 2013

CESARE BATTISTI E IL CONFINE AL BRENNERO - Una luce e un monito


Rielaborato, con integrazioni, da:
Silvano Valenti, Italia al Brennero – 1918-1988, Ediz. de “La Vetta d’Italia” (Quaderni della “Clessidra, n.8 – a cura del “Centro di documentazione storica per l’Alto Adige, Bolzano (Presel) III ediz., 1988, pagine 54



«Chi muterà questa grandezza
in lunga disputa di vecchi,
in concilio senile d’inganni?
Inchiostro di scribi per sangue di martiri?
A peso di carte dedotte
Ricomperato il martirio degli anni?
[…] Vittoria nostra non sarai mutilata.
Nessun o può frangerti i ginocchi
Né tarparti le penne».

D’Annunzio, La Preghiera di Sernaglia.

«Solo quando il confine sarà portato allla grande catena delle Alpi esso sarà veramente formidabile e facilmente difendibile per la sua natura e per la brevità sua in confronto della lunghissima linea attuale ».

 


Ricordare il martirio di Cesare Battisti in questo solenne anniversario è un «omaggio dovuto alla memoria di chi con quel sacrificio ha segnato il Suo nome nella storia dell’umanità in generale e in quella della Patria in particolare». Il testuale è di Andrea Mitolo, che vent’anni fa commemorò Battisti e Filzi nell’italianissimo periodico altoatesino da lui fondato e diretto 1.
Dallo stesso articolo è tratto il testo d’apertura, Una luce e un monito cui seguono Il confine alla Vetta d’Italia nel pensiero di Cesare Battisti integralmente riprodotto dall’edizione del 1988, accresciuta e in breve esaurita, dell’opuscolo Italia al Brennero, alcuni documenti sulla maliziosa espunzione – mirata a puntellare la malferma tesi salornista – di un esplicito richiamo di Battisti alla Vetta d’Italia in una lettera dal Tonale alla moglie Ernesta, un articolo su questa manomissione pubblicato da Maurizio Lorandi e infine un dettaglio della carta geografica allegata a Il Trentino di Cesare Battisti in cui è chiaramente tracciato il confine al Brennero e alla Vetta d’Italia.
La seconda parte è tutta inedita e riguarda Andrea Mitolo, figura esemplare che lottò una intera vita in difesa dell’italianità dell’Alto Adige.
Queste pagine, in vista di una edizione a stampa, sono diffuse in rete a prevenire i ricorrenti rigurgiti di ‘salornismo’. A questo proposito ritengo tuttora attuale un mio giudizio di una ventina d’anni fa sui sentimenti e i risentimenti che in provincia di Bolzano sono sempre radicati; radicati, sì, ma, a Dio piacendo, «con qualche punto in più per i primi e molti di meno per i secondi, grazie alla rinnovata presa di coscienza e alla maturità di molti atesini dell’uno e dell’altro gruppo. Ci son voluti decenni di sofferenze e di umiliazioni, perché si cominciasse a capire che nella discordia tutto rovina e senza Patria nulla si costruisce. La macina del tempo frantuma le illusioni, le chimere, le utopie; ma non i valori veri, destinati a sopravvivere alle mutevoli bizzarrie della moda, e qualche amara esperienza giova a rafforzarli » 2.
FerruccioBravi


1 « La Vetta d’Italia » Bolzano, maggio-luglio 1986-xxvi/5-7. In questo periodico, del quale fui cofondatore con il prof. Lorandi e redattore dal 1960 al 1998, pubblicai vari studi molto apprezzati dall’avv. Mitolo che mi onorò di grande amicizia e stima. Oltre a vari studi di storia locale, di toponimia atesina e sulla ‘questione ladina’, vi pubblicai, nel Cinquantenario della Vittoria, il saggio Italia al Brennero in varie puntate poi raccolte in un fascicolo edito dal Centro di documentazione storica per l’Alto Adige, a cura di Silvano Valenti (eteronimo con cui firmavo gli studi minori).
2 Italia al Brennero, nota alla terza edizione (1988).



«Non v’è potenza più nobile di quella testa levata sul collo rigido e di quello sguardo fisso nello splendore del sacrifizio, mentre intorno si rimpiccioliscono i più goffi aspetti dell’abiezione umana.
Rare volte l’anima poté riscolpire l’uomo con tanto rilievo, in un’ora adamantina di eroismo. Si vede come Cesare Battisti pure prima di morire portasse nel suo volto quell’apparizione di bellezza morale che su la faccia dei martiri non si rivela compiutamente se non dopo il trapasso».







Una luce e un monito
di Andrea Mitolo


[…] Battisti fece ascoltare la sua voce in ogni parte dell’Italia peninsulare ed insulare, in una serie di conferenze, discorsi e scritti che infiammarono di passione gli Italiani più d’ogni altro interventista, fu il socialista che antepose al credo ideologico quello della Nazione e il suo destino doveva compiersi con la redenzione di Trento e Trieste e la conquista dei confini naturali. Fu il socialista che, secondo alcuni storiografi, avrebbe influito sulla conversione di Mussolini dal neutralismo all’interventismo 1. Fu il socialista che, accantonato il socialismo, si sentì soltanto italiano e come tale si comportò. È una menzogna, con cui lo si vorrebbe disonorare, quella secondo cui egli sarebbe stato contrario al confine del Brennero, perché questo avrebbe comportato l’inclusione di un territorio abitato prevalentemente da una popolazione allogena.
Basterebbe a smentirla la carta geografica che egli compilò per il saggio Il Trentino (con un’Appendice sull’Alto Adige), edito dall’Istituto Geografico De Agostini di Novara, prima dell’entrata in guerra dell’Italia. In essa Battisti segnò chiaramente che il confine geografico, naturale, dell’Italia seguiva la linea dello spartiacque alpino. Basterebbe la lettera del 14 ottobre 1914 a Ettore Tolomei col quale ebbe rapporti sempre più stretti. Come attesta la corrispondenza epistolare trafugata col saccheggio dalla casa di Gleno nel 1915. Con quella lettera Battisti smentiva seccamente le voci che lo indicavano come «salornista », cioè come fautore del confine a Salorno. In tutti gli scritti e in tutti i discorsi pronunciati durante la campagna per l’intervento Battisti propugnò «la suprema necessità di integrare l’Italia sino alle Alpi » e chiamò «la via del Brennero la gran porta settentrionale d’Italia ». 
Nel luglio del 1915 in una lettera alla moglie dal Tonale, affacciando l’ipotesi che il «germanesimo », contro il quale egli fu sempre in lotta, potesse risorgere dopo essere stato debellato dalla guerra in corso, affermava: « Ma allora sarà il finis finium. E io non su queste balze, ma presso la Vetta d’Italia avrò vicino mio figlio ».
Questa ultima frase è stata colpevolmente omessa nel testo della lettera pubblicata nell’Epistolario, curato da Paolo Alatri. Ma la figlia del Martire, Livia, a chi le ha chiesto spiegazione di tale sorprendente omissione, ha risposto con lettera del 4 gennaio 1967 2 che essa è dovuta «ad un errore di trascrizione », confermando che nell’originale la frase esiste. È auspicabile che in una eventuale seconda edizione o in un’appendice l’errore venga corretto, perché il richiamo alla «Vetta d’Italia », l’estremo limite settentrionale del confine additato, costituisce la testimonianza più certa che il pensiero di Battisti all’inizio della guerra coincise con quello di Tolomei e del governo italiano, che tre mesi prima aveva ottenuto dagli alleati, col Patto di Londra, il riconoscimento di quel confine, in caso di vittoria. E ai « confini della Patria » che «saranno al Brennero e al Quarnaro » accennerà significativamente nell’opuscolo Gli Alpini del 1915. […] 

1 Si è scritto peraltro che Mussolini fu cor­rotto dall'oro francese attraverso il compagno Cachin, socialista di lungo corso. È una versione accettata dalla ‘storiografia’ antifascista e perfino dal Partito Comunista Internazionale – di solito dissociato dalle mistificazioni degli antifascisti – che nel suo foglio ufficiale così scrive: «[...] dalla Francia Cachin portò a Mussolini la mazzetta dell’Intesa e con questi soldi, pochi giorni dopo, veniva alla luce il giornale guerrafondaio-demo­cratico "Il Popolo d'Italia". Sì, signori, il fascismo nacque come movimento demo-rivoluzionario di difesa delle nazioni democratiche!!!». Falsità del genere sono smentite non solo dalla provata incorruttibilità di Mussolini che disprezzava il danaro al segno di devolvere al popolo i suoi emolumenti attraverso le opere assistenziali, ma anche dalla secca rettifica del Cachin: «Se c'è un cre­ditore, questi è Mus­solini che offerse a me e a mia moglie una colazione a Milano» (il primo testuale è estratto da «il Partito Comunista», Firenze, novembre 1992, n° 205; il resto dalla Controstoria, tuttora inedita, di F. Bravi).

2 v. articolo seguente..


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