PREMESSA
A
distanza di quasi un secolo, perché tornare a parlare di squadrismo?
Che senso ha interrogarsi su fatti e personaggi di un'epoca così
“lontana”? Quasi nessun altro movimento come il Fascismo continua
a far discutere e scatenare dibattiti. Tanto più il fenomeno
squadrista, che del Fascismo rappresentò al meglio la sua anima
movimentista – secondo una famosa definizione defeliciana, oggi
discutibile, ma pur sempre significativa – e che ancora spaventa.
Spesso e volentieri lo si sbandiera come nefasto spauracchio ogni
qual volta s'infiammano oltre il dovuto i toni polemici o scaturisce
un'isolata scintilla di violenza nel piatto scenario della politica
odierna. Forse, come recitava la canzone di una storica formazione di
rock identitario,
“perché
lo squadrista rappresenta il simbolo
Di tutto, dico bene tutto, quello che loro non potranno mai essere
Di tutto ciò che non potranno mai avere!
L'arroganza pura e semplice non erudita e falsamente coraggiosa
La comprensione di se stessi e l'accettazione della propria condizione
Il tutto misto alla volontà di inserirsi in modo organico, disinteressato
L'accettazione di un sistema gerarchico e naturale, ma non definitivo ne totale!
Le diverse gerarchie, diverse a seconda delle capacità, il coraggio fisico, fisico
Il coraggio di cercare di trovare lo scontro, il gusto dei pochi contro i tanti!”
Di tutto, dico bene tutto, quello che loro non potranno mai essere
Di tutto ciò che non potranno mai avere!
L'arroganza pura e semplice non erudita e falsamente coraggiosa
La comprensione di se stessi e l'accettazione della propria condizione
Il tutto misto alla volontà di inserirsi in modo organico, disinteressato
L'accettazione di un sistema gerarchico e naturale, ma non definitivo ne totale!
Le diverse gerarchie, diverse a seconda delle capacità, il coraggio fisico, fisico
Il coraggio di cercare di trovare lo scontro, il gusto dei pochi contro i tanti!”
E proprio di questo “gusto dei pochi contro i tanti” abbiamo
parlato con Giacinto Reale, autore di un libro - “Se non ci
conoscete. Racconti squadristi” edito da AGA Editrice in questo
2016 – composto da cinque racconti, che dalle campagne emiliane,
attraverso piazza San Sepolcro e Fiume, ci conducono fino ai
drammatici giorni della R.S.I. Con Giacinto, infaticabile ricercatore
storico del periodo squadrista e repubblicano, abbiamo cercato di
ricostruire, in modo articolato e diffuso, quell'atmosfera e quella
tensione così ben descritta da quei versi poc'anzi citati. In
quest'epoca di lamentele e sproloqui da social network, in cui molti
giovani si perdono tra le maglie del virtuale, riscoprire il coraggio
e la fiamma ideale che animava i giovani squadristi, i legionari
fiumani o i ragazzi di Salò, può aiutarci non solo a riprendere
contatto con la realtà, ma a ricordare come, in certi frangenti
storici, minoranze determinate e ben preparate possano incidere sul
corso della storia. Non è mai detta l'ultima parola. D'altronde
anche una piccola scintilla può scatenare un incendio. Nostro
intento non è fare nostalgismo spicciolo, ma ridestare la memoria,
ultimo baluardo a difesa della nostra Nazione, ispirandoci a coloro
che lottarono, patirono e morirono per ciò in cui credevano. Ed
erano Italiani tali e quali a noi.
Francesco
Preziuso
INTERVISTA
A GIACINTO REALE
1)
Il suo primo racconto è ambientato nelle campagne emiliane. Il
Fascismo nasce sicuramente cittadino, ma si fa grande e cresce nel
mondo rurale. Dove possiamo individuare l'origine di questo suo
rapido espandersi fra i ceti contadini?
Ci
sono vari fattori che vanno considerati: la stanchezza di molti
settori del mondo contadino (non solo piccoli proprietari, ma anche
semplici rurali non “leghisti”) dopo un biennio di violenze
sovversive; la delusione per la sopravvenuta consapevolezza, da un
certo punto in poi, dell’incapacità socialista a realizzare la
parola d’ordine circolata nelle trincee “La terra a chi la
lavora”; la capacità dei primi sindacalisti fascisti (tutti di
provata esperienza) e l’efficacia delle loro iniziative (Farinacci
realizzò nel Cremonese un “lodo” giudicato più avanzato – a
favore dei contadini - delle richieste “rosse”, mentre nel Senese
e altrove non mancarono occupazioni “fasciste” di terre lasciate
incolte da proprietari irresponsabili); l’esistenza – normalmente
sottovalutata - tra le masse delle campagne che avevano costituito il
nerbo delle “nobili fanterie” in guerra, anche di un legittimo
sentimento di orgoglio, per quanto fatto al fronte, contro
l’anti-reducismo socialista (nel Mezzogiorno molte delle prime
occupazioni di terre furono fatte da ex combattenti guidati dai loro
Ufficiali e dietro il tricolore).
Sono
questi: “I fascisti di campagna, solidi, membruti e tarchiati,
bronzei in faccia e adusti, dai pugni poderosi, bitorzoluti e
callosi, in cima a certe braccia nerborute come piazze
d’armi.....nelle loro camicie di cotonina grezza e rozza, con certe
morti secche da metter davvero paura” così come con affetto li
ricorderà Gallian.
2)
Vogliamo ricordare alcuni dei principali attori di questo “squadrismo
rurale”?
Protagonisti
dello squadrismo “di campagna” furono, come accennato, ex
sindacalisti delle Camere del Lavoro anarco-socialiste, con
l’appoggio dell’elemento “politico” del fascismo: Grandi,
Balbo, Chiurco, Farinacci in particolare. Con essi, però, un gran
numero di lavoratori non destinati a passare alla storia: non a caso
il primo sindacato fascista nacque il 28 febbraio del ’21 a S
Bartolomeo in Bosco ad opera di un contadino, Alfredo Giovanni Volta,
del quale poco sappiamo, se non che, con i suoi familiari era stato
“boicottato per quattro generazioni di seguito”.
I Selvaggi di Colle Val d'Elsa, tipico esempio di "squadrismo rurale" |
3)
Con il secondo racconto facciamo un passo indietro, precisamente al
23 marzo del 1919, data di fondazione del primo Fascio di
Combattimento. Il movimento nasce per mano di una minoranza composita
di reduci, arditi, sindacalisti-rivoluzionari. Lo sbilanciamento
numerico rispetto all'avversario socialista era più che evidente.
Eppure le vittorie sul campo si susseguono a ritmo vertiginoso. Dove
stava la superiorità degli squadristi?
Il
motivo del successo fascista in “pochi contro molti” sul terreno
dell’azione di piazza va ricercato innanzitutto nella diversa
caratura dei protagonisti: i primi squadristi erano, infatti, in gran
parte ex Arditi o valorosi combattenti (si parlò di “Partito delle
medaglie d’oro”), con i quali entrarono in gara di emulazione i
giovanissimi, che spesso la guerra non avevano fatto.
Né
va sottovalutato lo spirito che li animava, con punte di “misticismo
eroico”, come fu detto, sconosciuto all’altra parte, più
volgarmente materialista. Si aggiunga l’adozione di tecniche di
azione (velocità, sorpresa, spostamenti rapidi, capacità di
realizzare grossi concentramenti ove necessario) nuove nel campo
della lotta politica, ma che anch’esse rappresentavano un retaggio
della guerra “specialissima” condotta dai Reparti d’Assalto.
4)
Col terzo racconto veniamo catapultati nell'impresa di Fiume. Impresa
che suscitò entusiasmo nella base squadrista, di contro
all'atteggiamento più tiepido ed attendista di Mussolini e dei
quadri dirigenti del giovane movimento. Questa discrepanza inficiò
forse il contributo del fascismo all'impresa fiumana?
In
realtà, Mussolini, che era politico di finissimo intuito ed
intelligenza, aveva capito che, aldilà del pur importante
significato simbolico, l’esperienza fiumana non avrebbe potuto, in
quel momento, portare a frutti concreti. Non credo, però che il suo
appoggio sia stato “tiepido”: durante l’occupazione della città
promosse raccolte di fondi, partenza di uomini, manifestazioni di
sostegno e quant’altro: a Natale del ’20 fu proprio il suo
realismo politico a fargli capire che bisognava accontentarsi di
quanto ottenuto a Rapallo e rimandare al dopo (come infatti fece) il
successivo passo dell’annessione.
5)
Da Fiume si passa poi alla R.S.I., capo e coda del fascismo. Come mai
non ha ambientato uno dei suoi racconti negli anni del regime
vincente? Per una sorta di “romanticismo letterario” in cui gli
scontri impari del principio e la lotta disperata di fronte alla
certezza della sconfitta donavano miglior materiale di scrittura?
Oppure perché ritiene che con l'avvento del fascismo al potere lo
spirito squadrista andò lentamente spegnendosi?
Direi
per ambedue i motivi: è indubbio che l’esperienza della vigilia e
quella dell’epilogo –pur diverse tra loro- sono più funzionali
alla scrittura di un racconto, per quel tanto di “avventuroso”
che contengono. La differenza sostanziale è che la prima si svolse
all’insegna dell’ottimismo e della speranza di vittoria,
distinguendosi per una violenza che spesso sconfinava nella burla
(“quasi goliardica” ha detto qualcuno), mentre all’epoca della
RSI dominò un senso di triste tramonto, perché nessuno si illudeva
veramente su un capovolgimento delle sorti della guerra, e la
violenza dovette spesso adeguarsi alle forme estreme imposte da un
nemico crudele e spietato.
6)
Attori delle origini furono i figli della Grande Guerra; quelli della
R.S.I i giovani cresciuti sotto l'egida del fascismo. Potrebbe
individuare somiglianze e differenze tra i due protagonisti?
In
effetti, sono più le somiglianze che le differenze: i primi erano
cresciuti in un clima fatto di ricordi risorgimentali e con
l’aspirazione di completare l’opera di Mazzini e Garibaldi; i
secondi, educati all’idea di una ritrovata grandezza dell’Italia
e di una nuova razza di Italiani, ritennero di correre al
combattimento per dimostrare quanto fondate fossero le aspirazioni
fasciste (nei fatti, però, piegate dalla dura legge dell’ “oro
contro il sangue”) e quanto valesse quel nuovo tipo di Italiano,
fedele alla parola data all’Alleato e pronto a morire per la sua
idea.
7)
I suoi racconti si svolgono tutti nel nord Italia. Ma c'è stato,
seppure in minor misura, anche uno squadrismo meridionale. Viste le
sue origini pugliesi, può raccontarci qualcosa delle camice nere nel
sud Italia?
Certamente.
Vi fu uno squadrismo meridionale, i cui esponenti di spicco furono
Padovani in Campania e Caradonna in Puglia (senza dimenticare
Starace, che era leccese, e, se pur fuori zona, fu uno dei
protagonisti di quella stagione). Non mancarono gli episodi cruenti
(nel Foggiano principalmente) e le prove di forza (l’attacco alla
Camera del Lavoro di Bari), contro un avversario che era guidato da
uomini del calibro di Di Vittorio e Di Vagno. Voglio ricordare,
infine, che in Sicilia, un giovane squadrista, Mariano De Caro, il
quale si era opposto alla mafia di Misilmeri, venne ucciso a colpi di
lupara, sì che possiamo definirlo la prima vittima politica di
questo fenomeno delinquenziale.
8)
Se immaginiamo il fascismo come un cerchio in cui il punto di
partenza – squadrismo – e la fine – volontarismo repubblichino
– vengono a coincidere, emerge l'immagine di un percorso concluso.
Lei che ha vissuto in prima linea gli anni '60, ha percepito una
continuità ideale tra il vecchio e il nuovo o c'è stata la
percezione di una frattura?
La
mia passione per quel momento della storia del fascismo che fu lo
squadrismo nasce, in effetti, dalla convinzione che atmosfere e
comportamenti della vigilia si riproposero –scendendo di livello,
evidentemente- nel periodo che va dalla vigilia del ’68 alla metà
degli anni settanta, che ho vissuto con tanti miei coetanei:
l’orgoglio di essere pochi contro molti, isolati a scuola e tra gli
amici (e, spesso, anche in famiglia), la nascita di una
“controsocietà” fatta di vita in comune spesso h24 e di vincoli
camerateschi che non di rado ancora perdurano, ad oltre 50 anni di
distanza.
Tutto
cominciò, tanti anni fa, con la lettura dell’Introduzione di
Pavolini al libro di Frullini “Squadrismo fiorentino”: “Certi
giorni di marciapiede e di attesa, di gita e di rissa, i quali,
nonostante il loro aspetto secondario e svagato furono tra quelli che
più hanno contato nella nostra vita, più a fondo ci si sono
impressi dentro”. Ecco, a me, 50 anni dopo, era capitato lo stesso
9)
Cosa pensa e spera che possa donare il suo prezioso lavoro di
rivisitazione delle origini del fascismo alle future generazioni?
Spero
che la lettura dei racconti, nei quali, sia pure con una narrazione
di fantasia, ho curato nei minimi dettagli l’aderenza alla realtà
storica dei tempi, incuriosisca i lettori fino ad avviare un percorso
di ricerca che consenta lo svelamento delle tante bugie che su quel
periodo storico (fondamentale, perché non solo –come scrisse De
Felice- “il vero fascismo è lo squadrismo”, ma perché senza di
esso non ci sarebbe stato tutto il resto) si continuano a dire.
Per
citarne solo una: non è vero che l’azione squadrista provocò, per
la sua efferatezza e crudeltà (cui avrebbe corrisposto la
inoffensiva mitezza degli avversari), un numero enorme di vittime.
Per quanto riguarda i sovversivi, se, in assenza di dati statistici
ufficiali, prendiamo per buoni quelli verificati da Salvemini,
possiamo parlare di 428 morti, mentre, quelli di parte fascista
furono stimati, alla fine del 1923, in una relazione delle Autorità
di PS al Governo, in 433.
Quindi,
qualcuno di più in questa macabra contabilità; il dato e ancora più
rilevante se si considerano i numeri “di partenza” (4.000 voti
fascisti a Milano contro 1.835.000 socialisti in tutta Italia),
Credo, quindi, non sia azzardato affermare che il maggiore tributo di
sangue fu pagato, allora - come nei “totali” riferiti alla RSI -,
dai mussoliniani.
10)
Un'ultima domanda, che è poi una nostra curiosità. Sarebbe
possibile, secondo lei, una trasposizione cinematografica dei suoi
racconti? Pensa che un giorno sarà fattibile un esperimento del
genere?
Mi
pare che i racconti si prestino, per la loro stessa struttura e
“ritmo” ad una trasposizione cinematografica... che, però non
avranno. Le cronache ci parlano delle fortissime difficoltà
incontrate da registi che provano a fare film sulla storia delle
foibe o su aspetti controversi della storia resistenziale. Gli alti
costi e le necessarie competenze tecniche rendono per ora questo
settore impermeabile ad ogni tentativo di ricerca della verità, più
dell’editoria, dove, invece, le iniziative “non conformi” sono
molte, e spesso di ottimo spessore.
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