In
occasione del genetliaco di Giuseppe Garibaldi proponiamo ai nostri
lettori un articolo sui rapporti intercorsi fra l'Eroe dei due mondi
e gli Stati Uniti nel periodo storico della guerra civile americana.
Il testo, a firma di Achille Ragazzoni, che ce ne ha gentilmente
concesso la pubblicazione, trae origine da una conferenza da lui
tenuta nel 2011 in occasione della ricorrenza del 150° anniversario
dell'unità d'Italia. Successivamente pubblicato per gli “Annali
Pannunzio” e per “l'Istituto Garibaldi di Roma”, lo riportiamo
all'attenzione del pubblico per mantenere viva la memoria su quello
che la nostra collaboratrice Maria Cipriano ha giustamente definito
uno dei 4 pilastri, pilastro eroico, rappresentante del lato
“guerriero” del nostro Risorgimento.
Gruppo
di Studio AVSER
GARIBALDI
E LA GUERRA CIVILE AMERICANA
In
memoria di Raimondo Luraghi, storico insigne
di
Achille Ragazzoni – 16 III 14. (testo senza note)
Tra
gli anniversari “zerati” che sono ricorsi nel 2011, oltre a
quello della nostra unità nazionale, vi è stato anche il 150°
anniversario dell’inizio della guerra civile americana, che
incominciò il 12 aprile 1861 col bombardamento di Forte Sumter,
piazzaforte unionista sita nella rada di Charleston (Carolina
meridionale) da parte delle artiglierie confederate. Iniziava così
il conflitto armato tra la neonata Confederazione degli Stati
Americani (CSA) e l’Unione degli Stati Americani (USA), quel
conflitto tra “sudisti” e “nordisti” che abbiamo molte volte
visto, spesso storicamente deformato oltre il ridicolo, in tanti film
del genere “western”. Per inquadrare storicamente in maniera
seria quel complesso periodo, non mi stancherò mai di suggerire la
lettura dei testi di un grande storico italiano recentemente
scomparso, il prof. Raimondo Luraghi, autore di una monumentale
“Storia della guerra civile americana”, pubblicata in prima
edizione da Einaudi nel 1966, e alla cui memoria mi permetto di
dedicare queste pagine, sviluppo di una conferenza che ho tenuto nel
2011 presso il Circolo Militare Unificato di Bolzano. Il prof.
Luraghi, da me allora interpellato, fu prodigo di preziosi
suggerimenti, forniti con la consueta cortesia.
Con
la conferenza di Bolzano coglievo l’occasione per collegare
quell’anniversario al 150° della nostra unità nazionale, parlando
di Garibaldi e la guerra civile americana, dato che negli anni della
guerra civile il nome del grande Nizzardo risuonò anche nelle
lontane terre d’America.
Va
precisato che Garibaldi visse negli Stati Uniti d’America tra il
1850 (vi giunse il 30 luglio), proveniente da Tangeri, ed il 1854.
Abitò a Nuova York, a Staten Island per la precisione, ove ebbe come
datore di lavoro e amico un altro esule politico italiano, Antonio
Meucci, l’inventore del telefono, il quale impiegò Garibaldi in
una fabbrica di candele.
All’epoca
la comunità italiana dello stato di Nuova York era costituita da
alcune centinaia di persone (poco più 800 secondo le statistiche più
attendibili. Molti di essi erano proscritti politici, alcuni dei
quali da Garibaldi già conosciuti. Tra essi Giuseppe Avezzana,
ministro della guerra della Repubblica Romana, Quirico Filopanti,
altro patriota coinvolto in quella gloriosa impresa (fu un grande
scienziato, matematico in particolare, anche ai suoi studi si deve
l’introduzione dei fusi orari), Eleuterio Felice Foresti, un
prigioniero dello Spielberg che in America diverrà docente
universitario di lingua e letteratura italiana.
Nell’agosto
del 1850 ambienti politici dalle idee repubblicane, democratiche e
socialistoidi avrebbero voluto organizzare una grande manifestazione
di benvenuto in onore del nuovo arrivato, però il Generale rifiutò,
un po’ per motivi di salute ma, soprattutto, per non creare
imbarazzi e noie diplomatiche al governo di cui era ospite.
In
seguito Garibaldi fece il capitano marittimo, lavoro a lui più
congeniale, e richiese la cittadinanza americana; ancora oggi gli
storici discutono se la richiesta venne evasa o meno. Anche se
disponeva di un passaporto rilasciatogli dalle autorità municipali
di Nuova York, la questione rimane aperta in quanto dal passaporto
non risulta con chiarezza la questione della cittadinanza. La maggior
parte degli storici esclude, comunque, che Garibaldi abbia realmente
ottenuto la cittadinanza degli USA, nonostante le numerose
rivendicazioni in tal senso da parte dell’interessato.
La
secessione degli Stati del Sud non avvenne da un giorno all’altro:
nel dicembre del 1860 si dichiarò indipendente la Carolina
meridionale, nel gennaio successivo il Mississipi, la Florida,
l’Alabama , la Georgia e la Luisiana, in febbraio il Texas, dove
pure c’era una forte corrente antisecessionista capeggiata dal
leggendario patriota texano Sam Houston, colui che aveva reso lo
Stato indipendente dal Messico, e anche una corrente che voleva
tornare al-l’indipendenza del Texas pura e semplice, l’indipendenza
che aveva avuto dal 1836 al 1845, dopo essersi staccato dal Messico e
prima dell’annessione agli Stati Uniti d’America.
Questi
Stati dettero origine, il 7 febbraio 1861 alla Confederazione degli
Stati Americani (CSA), con capitale Montgomery, in Alabama. In
seguito aderirono alla Confederazione la Virginia, l’Ar-kansas, la
Carolina Settentrionale ed il Tennessee. Lo stato del Kentucky si
dichiarò neutrale, ma venne poi occupato per metà dall’Unione e
per metà dalla Confederazione (i sentimenti dei cittadini erano
equamente divisi tra le due parti in lotta), sorte analoga toccò al
Missouri, mentre il Maryland, dove a tutta prima avevano prevalso i
sentimenti secessionisti, rimase nell’Unione grazie ad abili mosse
politiche, economiche e fiscali del governo federale.
Negli
Stati del Sud era praticata la schiavitù, anche se molti politici
del Sud erano ad essa contrari e condannavano la pratica sia in
privato che in pubblico, altri la condannavano in pubblico pur
essendo essi stessi proprietari di schiavi.
La
schiavitù, però, era praticata anche in alcuni stati e territori
rimasti con l’Unione: il Delaware (secondo le statistiche: 1798
schiavi), il Maryland (87189 schiavi), il territorio del Kansas (con
2 schiavi, dicasi due lo scrivo a tutte lettere per evitare che si
pensi ad un refuso…) ed il territorio del Nebraska (con 15
schiavi), quindi quella che vuole la guerra civile americana
scoppiata per la liberazione degli schiavi è una pia leggenda,
all’inizio non se ne parlò neppure, in seguito divenne un
ritornello della propaganda, ritornello cantato peraltro un po’in
sordina, per non irritare gli unionisti del Maryland, del Delaware e
di quella parte del Kentucky (in tutto lo stato gli schiavi erano
225483) e del Missouri (in tutto lo stato gli schiavi erano 114931)
occupati. Stare con la Confederazione o con l’U-nione era una
scelta che non coincideva affatto, perlomeno non sempre, con il fatto
di essere o meno contro la schiavitù. Farò notare anche che non
pochi negri liberi erano, a loro volta, proprietari di schiavi…
Il
nostro Mazzini mise in guardia i suoi corrispondenti: pur essendo
contrario allo schiavismo (e come poteva non esserlo, un animo come
il suo…?) sosteneva che non si trattava di una lotta tra schiavisti
ed antischiavisti e legittimava la Confederazione se essa era sorta
per la nascita di un nuovo genuino sentimento di nazionalità negli
Stati del Sud.
Diversi
americani avevano partecipato alla liberazione dell’Italia
meridionale sotto il comando di Garibaldi: alcuni erano marinai che
disertarono da navigli da guerra americani ancorati in porti
italiani, altri erano convinti amici della libertà e
dell’indipendenza d’Italia. Molti di questi americani provenivano
dagli Stati del Sud: Chatham Roberdeau Wheat, che da Garibaldi, del
quale sarà aiutante di campo, verrà nominato addirittura generale,
Charles C. Hicks, Henry W.Spencer, figlio del console americano a
Parigi, Alfred Benthuysen, nipote di quel Jefferson Davis che diverrà
presidente della CSA e molti altri; in numero inferiore i volontari
provenienti dal nord degli USA.
Quando
scoppia la guerra civile americana Garibaldi, a differenza di
Mazzini, mostra subito di simpatizzare per la causa unionista. Queste
simpatie giungono ben presto alle orecchie delle autorità americane
e da qui nasce l’offerta fatta all’Eroe dei Due Mondi di
arruolarsi nell’esercito dell’Unione. L’Unione aveva subito
pesanti sconfitte e a qualcuno venne in mente che un eroe popolare in
tutto il mondo come Garibaldi avrebbe potuto dare una scossa in senso
positivo. Il primo passo ufficiale venne fatto dal console degli USA
in Belgio, Quiggle, che si reca personalmente a Caprera e che,
ingenuamente in un certo senso, a una domanda precisa postagli dal
Nizzardo, risponde che non era intenzione dell’Unione abolire la
schiavitù, ma solo ristabilire la vulnerata unità nazionale. Poi
Quiggle passò la mano a personaggi più importanti e più abili nel
condurre le trattative, come il rappresentante diplomatico
dell’Unione in Belgio, Sanford.
La
risposta di Garibaldi non fu certo rapida e, dopo molto tergiversare,
egli chiese due cose assolutamente fuori della realtà: il comando
supremo delle forze armate unioniste e l’abolizione immediata della
schiavitù. La risposta non poteva essere che negativa, è evidente
che Garibaldi non aveva nessuna voglia di impegnarsi in una guerra
civile dall’altra parte dell’Oceano quando c’era ancora
l’Italia da unire…In America qualcuno tirò un sospiro di
sollievo, poiché il mangiapreti Garibaldi avrebbe potuto alienare
molte simpatie all’Unione da parte dei cattolici americani (molti
erano gli irlandesi ed i polacchi che combattevano nelle forze armate
unioniste…). Dopo la sfortunata conclusione dell’impresa di
Aspromonte sembrò per un momento potersi concretizzare la questione
ed in questo senso sembrano andare due lettere di Garibaldi dal
Varignano, una del 14 settembre 1862 al console degli Stati Uniti a
Vienna, Canisius, l’altra del 5 ottobre successivo a George Perkins
Marsh, rappresentante diplomatico a Torino.
Ma
veniamo ai “garibaldini” americani: vorrei soffermarmi sulla
figura di quel Wheat che era stato aiutante di campo. Egli fece sì
che molti reduci borbonici e molti garibaldini dell’Esercito
meridionale, disgustati da come venivano trattati dagli ufficiali del
Regio Esercito sardo, partissero per l’America e si arruolassero
nell’esercito della Confederazione. Gli ex-nemici combattevano ora
fianco a fianco e molti di essi si arruolarono proprio in un corpo
militare chiamato “Garibaldi Legion”.
Nelle
forze armate confederate troviamo molti nomi italiani: all’epoca
non era ancora iniziata l’emigrazione di massa dall’Italia verso
l’America, però gli italoamericani non erano pochissimi e la
maggior parte di loro viveva negli Stati del Sud; lo stato con la
maggiore concentrazione di immigrati italiani era la Luisiana,
soprattutto nella città di Nuova Orleans e nei suoi dintorni e
quindi era logico che essi difendessero la terra ove abitavano. Altre
comunità italiane di un certo peso si trovavano, come ho accennato
prima, nello stato di Nuova York e nella California.
Wheat,
tornato in America, costituì un battaglione denominato “Tigri
della Luisiana” (nome ufficiale 1° Battaglione Speciale di
Fanteria della Luisiana) e combatté eroicamente alla testa di questo
battaglione con il grado di maggiore. Cadde nella battaglia di
Gaine’s Mills (27 giugno 1862) guidando i suoi uomini all’assalto
e sulla sua tomba, che oggi si trova nel cimitero di Richmond in
Virginia, volle che fosse specificata la sua qualifica di garibaldino
(Soldier of Freedom e Champion of Italy Liberty and General under
Garibaldi si legge, tra il resto, sulla sua lapide).
Reduci
garibaldini combattevano anche per l’Unione, quindi si ebbe il
primo caso di ex-garibaldini che combattevano gli uni contro gli
altri. Non sarà l’ultimo caso: anche nella guerra per
l’indipendenza delle repubbliche boere dell’Africa meridionale
dalla Gran Bretagna troveremo reduci garibaldini in ambedue i campi
in lotta.
Anche
l’Unione ebbe un corpo militare che si richiamava a Garibaldi, la
“Garibaldi Guard”, con un’uniforme simile a quella dei
Bersaglieri, ma in essa gli italiani non erano la maggioranza dei
circa 800 arruolati. Italiani e reduci garibaldini si trovarono anche
in altri corpi militari dell’Unione, ma la causa della libertà e
dell’unità nazionale italiana erano più popolari, per quanto
strano oggi ci possa sembrare, negli Stati del Sud.
Lo
studio più completo e documentato sulla partecipazione dei nostri
connazionali, di antica o recente immigrazione, garibaldini o meno,
alla guerra civile americana è dovuto a due professori universitari
della Florida, Frank W. Alduino e David J.Coles, il cui libro, dotato
di imponenti apparati critici e bibliografia, meriterebbe decisamente
una traduzione nella nostra lingua.
La
guerra finì come finì, con la resa delle forze sudiste, comandate
dal generale Lee, in cuor suo sempre contrario alla schiavitù (col
presidente Jefferson Davis aveva promosso un decreto per l’epoca
rivoluzionario, secondo il quale i negri che si arruolavano
nell’e-sercito sarebbero stati de facto emancipati) ad Appomattox,
in Virginia, il 9 aprile 1865, anche se, formalmente, l’ultimo
generale confederato ad arrendersi sarà il pellerossa Stand Watie,
comandante della Prima Brigata di Cavalleria Indiana, il 23 giugno
1865.
La
più grande sciagura per il Sud non fu la resa di Appomattox, ma
l’assassinio di Lincoln da parte di un fanatico sudista (una storia
misteriosa come l’assassinio di Kennedy, chi veramente armò la
mano che sparò a Lincoln?). Lincoln avrebbe voluto una vera e
propria pacificazione con il Sud, senza vendette e regolamenti di
conti, tendendo invece alla costruzione, insieme ai nemici di un
tempo, di una nuova America. Non andò proprio così, senza più
l’ostacolo di Lincoln e della sua saggezza il Sud divenne preda di
speculatori, affaristi e faccendieri calati come avvoltoi dal Nord
per depredare le ricchezze locali. Ciò diede, per reazione, origine
a fenomeni assolutamente negativi, come la nascita del Ku Klux Klan,
il sorgere di bande terroristiche come quella di Quantrill, dove
molto incerto era il confine tra motivazioni politiche e delinquenza,
un aumento esponenziale della delinquenza comune e la diffusione
della miseria in larghi strati della popolazione, bianchi o negri che
fossero. Il Sud si sentì respinto dai “nuovi” Stati Uniti e ci
vollero molti decenni affinché le due realtà si integrassero
realmente. Ma questa è un’altra storia…
Garibaldi
generale nordista sconfitto è il protagonista di un romanzo di
fantascienza (ma anche fantastorico e fantapolitico…) di
Pierfrancesco Prosperi, dalla trama assai complicata che si svolge su
più piani temporali: la spada di Garibaldi al servizio dell’Unione
ha come catastrofica conseguenza il fallimento dell’unità
nazionale italiana.
Per
concludere una curiosità che lega ancora in qualche maniera
Garibaldi agli USA: nel 1871 Nizza insorse contro la Francia e nella
città rivierasca nacque una corrente politica che voleva
l’indipendenza dell’antica Contea di Nizza sotto protettorato
americano e si pensò di chiedere a Garibaldi, così popolare negli
USA, di promuovere questa soluzione politica della questione
nizzarda. Si fece portavoce di tale corrente il patriota mazziniano
Enrico Sappia nel suo libro “Nizza Contemporanea”, pubblicato in
italiano a Londra nel 1871 e tradotto in francese nel 2006, a cento
anni esatti dalla morte dell’antico cospiratore mazziniano.
Achille
Ragazzoni
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