A
pochi giorni dalla morte del capitano Bianchi, avevamo promesso ai
nostri lettori di onorarne la memoria attraverso i suoi stessi
scritti. In occasione di questa tragica data per l'Italia abbiamo
ritenuto opportuno riportare alla luce le impressioni dell'eroe di
Alessandria. Bianchi visse l'8 settembre da lontano, nell'ospedale
del campo di prigionia inglese in Sud Africa, ma le sue annotazioni
sul diario dimostrano che intuì subito la gravità dell'avvenimento.
Comprese in modo repentino quali tristi conseguenze, di lì a poco,
avrebbero trascinato l'Italia nel più profondo baratro. E ci sembra
quasi di vederlo, solitario, osservare impassibile gli sciocchi
gridolini di gioia di tanti prigionieri convinti che la guerra fosse
finalmente finita, mentre in realtà si preparavano i giorni più bui
della nostra Patria.
SETTEMBRE
1943 ( estratto da
Pagine di Diario
)
"Intanto,
come si temeva, la situazione militare in Italia va precipitando.
Conquistata la Sicilia, le armate anglo-americane si apprestano ad
invadere la Penisola. Dopo massicce incursioni di fortezze volanti
sulle grandi città del centro-sud, sui porti, sui nodi stradali e
ferroviari, le forze d'invasione sbarcarono sulla costa meridionale
della Calabria il 3 settembre e nel golfo di Salerno l'8 settembre.
Alle 19.45 di questo infausto giorno viene annunciato dalla radio la
conclusione dell'armistizio fra l'Italia e gli “alleati”.
La
notizia 'mozzafiato' arriva al campo già la sera stessa. A mio
modesto parere, pur non conoscendo ancora i torbidi retroscena
dell'armistizio badogliano, non mi sento di approvare tale soluzione.
Si era entrati sconsideratamente in guerra e se ne usciva non certo
nel modo più pulito.
Ancora
una volta medito sulle parole di Teseo Tesei a Bocca di Serchio,
subito dopo l'annuncio del nostro intervento nel conflitto: “Le
guerre non si dovrebbero mai fare; ma se si fanno bisogna saperle
combattere fino in fondo, anche in caso di sconfitta”.
Così
aveva detto in presenza di tutti gli altri operatori subacquei. E
coerente a questo principio aveva compiuto il suo dovere, “fino
in fondo”, fino all'olocausto.
La sorte gli ha risparmiato di vivere la cocente umiliazione che
stiamo vivendo.
Sono
frastornato: nel mio animo c'è solo una grande confusione di
sentimenti, non so più cosa pensare e in che cosa credere. La
situazione politica è completamente rispetto alle mie convinzioni e
ai miei principi. Un senso di sfiducia mi invade. Mi conforta almeno
la certezza di aver fatto sempre il mio dovere, anch'io “fino in
fondo”; e comunque con il massimo impegno, nel miglior modo che mi
era possibile..
Cerco
di farmi una ragione, di rassegnarmi alla situazione senza uscita
determinata dalla catastrofe militare; ma non riesco a mitigare il
sentimento di sconforto, a riordinare i pensieri che mi turbinano
nella mente. Che Iddio abbia pietà di questa Italia, che l'assista
in quest'ora grave della sua storia.
Nell'ambiente
ospedaliero, e di certo in ogni altro ambiente, la notizia
dell'armistizio ha colto tutti di sorpresa. Allo stupore generale,
come già avvenuto il 26 luglio, seguono reazioni discordanti, ma
stavolta meno contenute e in qualche caso grottesche.
Alcuni
prigionieri, fra canti e battimani, ridono e si abbracciano, convinti
che tutto sia finito nel modo migliore e che il ritorno sarà
imminente: si figurano di riabbracciare i loro cari e di riprendere
la vita serena di un tempo, come se la guerra non ci fosse mai stata,
come se l'Italia fosse ancora fiorente nella prosperità e
nell'ordine, come l'avevamo lasciata. Poveri illusi! Altri piangono
per lo sconforto o discutono fra loro con grande animazione. I più
sono riservati, si ritirano nelle baracche a meditare sull'incertezza
del loro futuro e sulle incognite che gravano sulle loro famiglie in
un'Italia dall'avvenire sempre più oscuro."
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