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martedì 8 settembre 2015

SETTEMBRE 1943 - Emilio Bianchi

A pochi giorni dalla morte del capitano Bianchi, avevamo promesso ai nostri lettori di onorarne la memoria attraverso i suoi stessi scritti. In occasione di questa tragica data per l'Italia abbiamo ritenuto opportuno riportare alla luce le impressioni dell'eroe di Alessandria. Bianchi visse l'8 settembre da lontano, nell'ospedale del campo di prigionia inglese in Sud Africa, ma le sue annotazioni sul diario dimostrano che intuì subito la gravità dell'avvenimento. Comprese in modo repentino quali tristi conseguenze, di lì a poco, avrebbero trascinato l'Italia nel più profondo baratro. E ci sembra quasi di vederlo, solitario, osservare impassibile gli sciocchi gridolini di gioia di tanti prigionieri convinti che la guerra fosse finalmente finita, mentre in realtà si preparavano i giorni più bui della nostra Patria.


SETTEMBRE 1943 ( estratto da Pagine di Diario )


"Intanto, come si temeva, la situazione militare in Italia va precipitando. Conquistata la Sicilia, le armate anglo-americane si apprestano ad invadere la Penisola. Dopo massicce incursioni di fortezze volanti sulle grandi città del centro-sud, sui porti, sui nodi stradali e ferroviari, le forze d'invasione sbarcarono sulla costa meridionale della Calabria il 3 settembre e nel golfo di Salerno l'8 settembre. Alle 19.45 di questo infausto giorno viene annunciato dalla radio la conclusione dell'armistizio fra l'Italia e gli “alleati”.
La notizia 'mozzafiato' arriva al campo già la sera stessa. A mio modesto parere, pur non conoscendo ancora i torbidi retroscena dell'armistizio badogliano, non mi sento di approvare tale soluzione. Si era entrati sconsideratamente in guerra e se ne usciva non certo nel modo più pulito.
Ancora una volta medito sulle parole di Teseo Tesei a Bocca di Serchio, subito dopo l'annuncio del nostro intervento nel conflitto: “Le guerre non si dovrebbero mai fare; ma se si fanno bisogna saperle combattere fino in fondo, anche in caso di sconfitta”.
Così aveva detto in presenza di tutti gli altri operatori subacquei. E coerente a questo principio aveva compiuto il suo dovere, “fino in fondo”, fino all'olocausto. La sorte gli ha risparmiato di vivere la cocente umiliazione che stiamo vivendo.
Sono frastornato: nel mio animo c'è solo una grande confusione di sentimenti, non so più cosa pensare e in che cosa credere. La situazione politica è completamente rispetto alle mie convinzioni e ai miei principi. Un senso di sfiducia mi invade. Mi conforta almeno la certezza di aver fatto sempre il mio dovere, anch'io “fino in fondo”; e comunque con il massimo impegno, nel miglior modo che mi era possibile..
Cerco di farmi una ragione, di rassegnarmi alla situazione senza uscita determinata dalla catastrofe militare; ma non riesco a mitigare il sentimento di sconforto, a riordinare i pensieri che mi turbinano nella mente. Che Iddio abbia pietà di questa Italia, che l'assista in quest'ora grave della sua storia.
Nell'ambiente ospedaliero, e di certo in ogni altro ambiente, la notizia dell'armistizio ha colto tutti di sorpresa. Allo stupore generale, come già avvenuto il 26 luglio, seguono reazioni discordanti, ma stavolta meno contenute e in qualche caso grottesche.
Alcuni prigionieri, fra canti e battimani, ridono e si abbracciano, convinti che tutto sia finito nel modo migliore e che il ritorno sarà imminente: si figurano di riabbracciare i loro cari e di riprendere la vita serena di un tempo, come se la guerra non ci fosse mai stata, come se l'Italia fosse ancora fiorente nella prosperità e nell'ordine, come l'avevamo lasciata. Poveri illusi! Altri piangono per lo sconforto o discutono fra loro con grande animazione. I più sono riservati, si ritirano nelle baracche a meditare sull'incertezza del loro futuro e sulle incognite che gravano sulle loro famiglie in un'Italia dall'avvenire sempre più oscuro."


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