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giovedì 2 gennaio 2014

Nel regno di Saturno


PAROLE D’ORO
di
TESERO, FIEMME E «FÖRAVIA»
___________________
Divagazioni fra lingua e tradizione
a cura di:

Ferruccio Bravi e Tarcisio Gilmozzi

Rielaborazione ampliata e aggiornata di alcuni capitoli dell’edizione a stampa (esaurita) in 8°, di 154 pagine + 7 tavole f.ta colori da tempere dell’artista fiemmese
Bepi Zanon
,.
a richiesta sarà inviato in omaggio un estratto deltesto più ampio e
correttamente impaginato (contattare: silvalentauser@hotmail.it)




Preambolo

È una selezione della rubrica "Parole de or" che per molte domeniche ha intrat­tenuto gli ascoltatori di Radio Fiemme 104. Perché parole d'oro? Pre­sto detto: nella parlata del paese di mia Madre ­– Tesero in Val di Fiemme, inclito borgo di circa 3000 anime che gode fama di ‘Patria de i Sapientoni’ – soprav­vivono voci preziose; preziose nel senso che hanno conservato l'antico suono e la carica espres­siva originaria. Alcune di queste voci hanno co­lore e musicalità 'toscana'; altre, come certe bacche mature, hanno un contenuto denso e succoso da valere un discorso. Su questa torta metto ancora una chicca: la s sorda pure ‘toscana’ accanto a quella dolce veneta. È una s quanto mai asperrima a Tesero e solo a Tesero, secondo me la stessa dei mediterranei Reto-Etruschi stanziati in antico sulle Alpi Orientali. Un blasone glottologico, per cui rimando al capitolo Una S con tanto di cappello.
Le parole fiamazze sono da mettere in cornice. E in cornice abbiamo voluto metterle mio cugino Tarcisio e io. Non ci siamo limitati ad allineare una serie di vocaboli con i rispettivi significati e l'indicazione delle origini; ma li abbiamo aggan­ciati, i vocaboli, al quadro d'ambiente con opportuni ri­chiami alla sag­gezza e alla se­rena quiete del buon tempo an­tico. L'oro delle parole, dunque, non sta nel voca­bolo in sé, ma essenzialmente in ciò che esso contiene, vale a dire nel portato ideale ed affet­tivo che vi è racchiuso.
Certe parole sono da salvare perché si avviano a scomparire o, quanto meno, a sopravvivere come gusci vuoti. In questa prospettiva abbiamo recuperato non solo i vocaboli estinti o in via di estinzione, ma anche quelli tuttora vitali in un conte­sto cul­turale che non esiste più.
L'etimologia, risalendo all'origine della parola, comporta un assiduo va-e-vieni da un dialetto all'altro e al tempo stesso un saldo ancoraggio alla buona lingua. In questo campo mi sono sbizzar­rito io, non proprio forèsto in valle benché vissuto altrove più di tre quarti della mia irrequieta esistenza. Il coautore Gilmozzi. è teserano spòtico, innamorato del dia­letto come Dante dell'idioma gentile: e se Radio Fiemme non gli assorbisse tutto il tempo li­bero, state sicuri che vi regalerebbe un poema tutto in fiamazzo. Insomma: siamo due soggetti dissimili, ma bene appaiati nell’interesse culturale.
Per la competenza lessicale abbiamo utilizzato le note raccolte dei due Zorzi, Aldo e Narciso, e di D. Angelo Guada­gnini, affidabili in specie per le voci an­tiquate.

F.B.

 

Saór da ‘sti agni
SAPORE DEL PASSATO


Di Bepi Zanon, illustratore di questa pubblicazione, hanno scritto: «Affabile e dotato di vasta cultura artistica e scientifica è estroverso e brillante nel conversare, quanto solenne e sublime nell’espressione pittorica: non solo nel ritrarre la Natura, ma anche nelle scene d’interno».

 
Scene, come questo Ritorno dalla pesca, vive nella luminosa tessitura dei colori. La luce che nel dipinto seguente si effonde dalla fiamma in un gioco di chiarori e riverberi, qui filtra discreta a illuminare la serena intimità della costumata famigliola rurale.



Nel regno di Saturno
Falciare a mano è un'arte sempre meno pra­ticata. E in un certo senso è un rito: c'è chi at­tribuisce un significato magico-reli­gioso ai ge­sti che accompagnano l'opera del falciatore o ai sim­boli che ne decorano gli attrezzi.
A Trodena – villaggio di lingua tedesca integrato nella Magnifica Comunità di Fiemme – è tuttora viva la tradizione di fal­ciare ‘a ruota’ disegnando spirali e vor­tici. È un riflesso del culto solare. Così pure le croci, le stelle, le corna, le teste di serpenti, in­cise sui foderi dove si riponeva la falce fienaria per tenere lontane le streghe e le serpi. E il far "cantare" la lama, prima d’iniziare il la­voro e nelle pause, scaccia i folletti che mandano a male il fieno appena tagliato. Folletto o gigante, si riconduce al culto del sole anche il salvanèl che a Tesero bada ai fatti suoi, ma altrove fa dispetti e guasta i lavori dell'uomo. Se ne parlerà più avanti a proposito di Silvano, divinità solare prima che silvestre.
Credenze agresti e residui del culto antichissimo di Saturno sono penetrati nelle nostre valli in età più recente, quando i Romani intro­dussero nella Rezia le loro tecniche, i loro attrezzi e la termino­logia della fienagione.
Ad es. secare: in latino vuol dire anche ‘tagliare’ in particolare il foraggio; ne derivano sia il trentino siegar che lo spagnolo segar, ambedue col significato di ‘falciare’. Segare si usa con tale accezione anche nella buona lingua: «La gente che sega le magre sue messi» (D’Annunzio).
Mi par di ravvisare un riverbero del culto di Saturno nel Latercolo del Sator, cioè del seminatore. Questo latercolo, definito ‘quadrato magico paleocristiano’, è diffuso in una vasta area del nostro continente; in Italia in particolare dalle Alpi alla Campania. L’attestazione più recente l’ho rinvenuta nella ritirata di un corridoio di ronda di Castel Mareccio a Bolzano. Risale al XVI secolo e fu nota ben prima di quella pompeiana (graffito anteriore all’eruzione del 79 d. C., rivenuto nel 1936).
Il quadrato contiene cinque parole così disposte e leggibili nei quattro sensi:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Formano una frase latina traducibile letteralmente: ‘il seminatore Arepone tiene con l’opera le ruote’. Il senso sfugge, tanto che le interpretazioni, in quasi quasi venti secoli, non si contano e fanno a pugni fra loro. La zuffa più accanita infuria sul nome Arepo accaparrato dai tedeschi in una con Aribone ed Arbeone, personale di là da venire, ma presente in Italia fino alla Sicilia.
Un po’ per celia e un po’ per non mancare, sparo qui la mia interpretazione che non sfigura troppo rispetto alle altre: ‘Saturno Creatore governa le ruote del creato col suo operare’ (arepo < mediterraneo *ar- ‘fare, creare’ da cui anche Aremia epiteto di Reitia creatrice, la Madre Terra dei Reti e dei Veneti).
Sulla matrice cristiana del quadrato gli esperti sono divisi da evidenti contraddizioni. Nondimeno negli Anni Venti due studiosi, Sigurd Agrell e Felix Grosser, l’uno all’insaputa dell’altro, disposero in croce le lettere del latercolo in modo da leggere due volte "Pater Noster" con l'avanzo di due A ed O significanti l'alfa e l'omega, il principio e la fine:

A P Ω
A
T
E
R
P A T E R N O S T E R
O
S
T
E
A R Ω
Il mistero perdura. Per un panorama delle infruttuose indagini segnalo lo studio, ‘quadrato’, – sì. per acume ed esattezza d’informazione –di Rino Cammilleri: Il Quadrato Magico, un mistero che dura da duemila anni, Milano (Rizzoli, BUR) 2004.

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