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sabato 27 agosto 2016

C'era una volta... - Maria Cipriano

Quale artificio si è potuto escogitare per “allineare” lo scomodissimo Monumento alla Vittoria di Bolzano, ingombrante relitto fascista, al concetto di nuova Italia e di Europa che ci viene continuamente propinato?
Ce lo svela la nostra Maria Cipriano, la quale con un breve ma vivace articolo, ci fa rivedere questo monumento sotto la sua vera luce, per quello che rappresenta in realtà, nel passato e nel presente, e per quello che, purtroppo, gli viene fatto forzatamente rappresentare oggi, generando uno dei simboli della distorsione morale che appesta la nostra società.

Gruppo di Studio Avser

C'ERA UNA VOLTA...

 
Monumento alla Vittoria deturpato da un osceno anello luminoso.          


C'era una volta un monumento alla Vittoria, a Bolzano.
Costruito da architetti e artisti insigni di cui oggi s'è perso lo stampo. A chi non sa di quale vittoria si tratti e sbalordisce ed è preso dal panico a questa sola parola, bisogna ricordare che, benchè oggi come oggi la sua sola evocazione dia fastidio a molti, l'Italia vinse una guerra mondiale nel 1918 contro il millenario Impero austro-ungarico. I fatti della Storia, se molte volte appaiono controversi e richiedono indagini approfondite e ricerche, certe altre sono invece chiari come l'acqua: e la Vittoria del 1918 è uno di questi casi. Ma tutto ciò non va bene, non è gradito al nostro “nuovo mondo”. Può infatti una Vittoria come quella del 1918 trovare albergo in una Italia come la nostra, dove si vuole equiparare i disertori ai combattenti? Dove un papa ha inneggiato alla pace davanti ai 100.000 caduti di Redipuglia, proprio lui che proviene da un paese che nel 1982 ha fatto guerra a tutto il Regno Unito (e l'ha persa) per alcune isolette nell'Atlantico? Proprio lui che non vede che tutti i migranti dell'Africa e dell'Asia cui insiste a voler spalancare le porte della penisola starebbero molto più larghi e comodi in Argentina?
Il significato e il messaggio del monumento alla Vittoria di Bolzano è sempre stato così chiaro e univoco, così lapalissiano, e così ingombrante la sua presenza per l'antifascismo in servizio permanente, che, proprio con la scusa che fu costruito dal Fascismo, si tentò di esorcizzarlo in varie maniere e c'è chi aveva proposto addirittura di distruggerlo e farlo sparire, come sono state fatte sparire le aquile di Druso dal ponte sul torrente Talvera, nella stessa città. Ma era troppo grossa, e, forse, abbiamo ancora un Ministero dei Beni culturali. Forse. Che fare, allora, per “depotenziare” (è il linguaggio dell'amministrazione comunale, coniato brillantemente per l'occasione) quell'insopportabile architettura della protervia Ducesca? Quell'odioso simulacro trionfalistico di un'Italia che dev'essere sconfitta per definizione, e se osa alzare un pochino la cresta trova subito chi gliela vuole abbassare con una randellata? In poche parole: che fare per accontentare gli austriaci-sudtirolesi, proclamati vittime finanche del nazismo (e dunque assolti da ogni complicità col medesimo), che un recente libretto di Lilli Gruber ha riattizzato nelle loro continue lagne, raccattando stuoli d'italioti indignati e piangiulenti per le angherie subite dalla nonnina della medesima per mano -e che ti pare- dei ben noti loschi figuri in camicia nera? Che fare, insomma, per scrollarsi di dosso l'odioso memoriale nazional-fascista? Semplice. Lo si rimaneggia, lo si ritinteggia, lo si volta e si rivolta, lo s'improfuma di democrazia, finchè non ne viene fuori il significato gradito, in linea coi tempi nuovi. Tempi bui, come tutti i patrioti sanno, se la treccioluta Eva Klotz in costume da Heidi ha potuto indire due anni fa il solito “referendum casalingo fai da te” per il ritorno dell'Alto Adige a quell'ameno staterello montano di 8 milioni di abitanti che è l'Austria. E d'altra parte con un Presidente del Consiglio che regala pezzi di mare alla Francia la quale farebbe meglio a occuparsi d'altro, può meravigliare tutto ciò? Di cosa possiamo più meravigliarci se circa la metà degli italiani sembra divertirsi di fronte allo sfascio della nazione o comunque non curarsene affatto? E' diventato un paese, questo, abitato da un gregge cloroformizzato dove le parole magiche - europa, convivenza, pace, bontà planetaria - che mai si sono realizzate e mai si realizzeranno, sono sufficienti a mettere in funzione il meccanismo di un subdolo ricatto morale e addirittura religioso.
In tal modo anche a Bolzano si è compiuto un esercizio molto di moda oggigiorno: stravolgere la realtà storica. E così come i briganti meridionali sono stati trasformati in eroi, Garibaldi in un furfante, il Risorgimento nell'invasione dei Piemontesi, e ribattezzate come “fedelissime dei Borboni” città che non lo furono affatto, poteva in siffatto clima anche il venerabile monumento di Bolzano non fare una fine altrettanto miseranda? Si fa presto a prendere un monumento e “ribattezzarlo” alla luce dei tempi nuovi: buonisti, europeisti, mondialisti. Fatto sta che un monumento è storico quando conserva e trasmette ai posteri il proprio intatto significato originale. Che ai posteri questo significato non vada più bene e vogliano sostituirne un altro, per opportunità e opportunismo, per superamento dei confini (che non sono superati affatto), per l'Europa (che esiste solo sulla carta) e per cento altre ragioni, è un'alterazione del monumento stesso, il quale apparentemente risulta intatto, ed anzi restaurato e ridipinto, ma in realtà è stato rimaneggiato nel suo profondo significato storico. Anche nel libro 1984 di Orwell si dilettavano a manipolare il passato a uso e consumo del presente, mi pare.
Dunque, per stuoli di persone smaniose di ammucchiare e integrare in un magma informe tutto e tutti, codesto “nuovo” monumento di Bolzano ripulito e lucidato dalla vernice della pace, deturpato da un orribile bracciale abbarbicato a una colonna che è il suo nuovo marchio di fabbrica, è cosa bella e buona. Ma per noi che lo teniamo vivo nella memoria per quel che era e dovrebbe essere, esso è morto, ha perso la sua vita, ucciso e defraudato dei suoi contenuti autentici, dell'energico messaggio di cui era portatore. Era un messaggio nazionalista, patriottico, fascista? Era il suo messaggio, un messaggio Italico-Romano. Un messaggio sacro che mai come oggi servirebbe. Un messaggio chiaro. Adesso, in questi tempi ambigui, i vari corifei della democratica ammucchiata multietnica potranno rimestarci dentro ciò che vogliono, ma la Storia resta quella che è, per chi ha la fortuna di conoscerla.
Che poi ci siano code di visitatori incantati, questo non significa niente, anzi: è un motivo in più per darsi alla fuga.
Il monumento alla Vittoria è diventato così, sotto gli occhi degli Italiani impotenti ad abbozzare una qualsiasi reazione foss'anche artistica e di buon gusto, una vuota e triste rimembranza del tempo che fu, un sepolcro imbiancato dall'ipocrisia di questi tempi sciagurati, dietro a cui si celano e si complicano gli irrisolti problemi del presente, del passato e del futuro di una regione dove gli italiani hanno sempre dovuto lottare strenuamente per non essere cancellati completamente dalla protervia dell'elemento germanico che, calando da nord in casa loro, ha fatto di tutto per sostituirvisi: peraltro senza riuscirci. E questa è la Vittoria più grande che nessun rimaneggiamento potrà mai cambiare. La Vittoria della nostra innata resistenza, contro tutti e tutto, che i grandi Avi Romani ci hanno lasciato come doverosa consegna per tutte le generazioni.

Maria Cipriano

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