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martedì 16 settembre 2014

La Dalmazia vista da un Dalmata III°


1.8

I tempi nuovi

Con i tempi nuovi sorgeranno in Dalmazia le confraternite delle arti e mestieri. Confraternite nate intorno al 1300 che nel 1422 si erge­ranno a trattare da pari a pari con la no­biltà. Dunque: non spargimento di sangue fra un popolo bestia e una nobiltà indegna, ma un popolo libero e fiero che tratta da uomo a uomo con una nobiltà illuminata per il bene comune.
E dilagherà l'Umanesimo. Le scuole dalmate accoglieranno i migliori maestri pro­venienti da tutta Italia e in breve da quelle scuole usciranno umanisti, storici, scrittori e poeti. Due soli esempi:
L'epigrafia, già conosciuta come cu­riosità erudita, diventa scienza all'inizio del Quattrocento nel triangolo An­cona - Zara - Traù.
Il grandioso palazzo di Urbino sede dei Monte­feltro, che è stato definito “la prima dimora principesca rinascimentale”, è opera dell'architetto zaratino Luciano Laurana.
A questo punto l'identità culturale fra le due sponde del golfo Adriatico mi pare sia una affermazione che non ammette repliche. Al di là dello spartiacque delle Alpi Di­nariche esisteva veramente “un altro mondo”
1.9

Le mille e una notte

Un piccolo 'stacco' per dare spazio ad una simpatica curiosità. La famosa raccolta di novelle che ci viene offerta dal mondo islamico sotto il titolo Le mille e una notte, no­mina, pura­mente di passaggio e senza nessun intento propagandistico, alcune città italiane. Le città italiane nominate nelle Mille e una notte sono sei: Roma, naturalmente, la sede degli 'infedeli' è ben nota alla gente di religione islamica, Genova, Pisa e Venezia sono Repubbliche marinare in continuo con­tatto con l'Oriente e chiaramente cono­sciute le ultime due sono Zara e Ra­gusa! Zara e Ragusa, citate di sfuggita come città italiane da una fonte insospettabile.

1.10

Ragusa

Ragusa si affaccia alla sto­ria nel 634 e per la grande impronta da lei lasciata merita un cenno a parte. Si chiamerà “libera e sovrana repub­blica di ragusa” fino al 1814.
Per mille e duecento anni a Ragusa si è parlato italiano. Nei suoi giorni mi­gliori aveva in mare fino a settecento navi! Dico settecento. Nel 1416 abolì la schiavitù. Che cosa ne pensano i nostri amici Inglesi, che pretendono di inse­gnare la democrazia al mondo intero? Loro hanno abolito la schia­vitù nel 1807, quattro secoli dopo, o mi sbaglio?

1.11

Venezia

Nel passare alla vene­zianità della Dalmazia mi pare di sfon­dare una porta aperta. Basta guardare quanti sono in Dalmazia i leoni di S. Marco e quanti i campanili veneti per rispondere con un sorriso disarmante. Ma a questo proposito desidero ricordare un parti­colare storico dal sapore di aneddoto. Nel 1797 a Venezia, durante l'ultimo gran consi­glio, i pareri erano di­scordi: chi voleva resistere ad ol­tranza e chi voleva evitare un inutile spargimento di sangue. Il doge Lodo­vico Manin tentennava. Si dice che allora il procuratore anziano gli gridò, additando il berretto che rap­presentava il potere dogale: Tolé suso el corno e andé a Zara. A significare che una eventuale estrema e disperata difesa della Serenissima sarebbe stata possibile solo dalle mura di Zara.

1.12

Campoformio 1797

Con il trat­tato di Campoformio, Venezia passa all'Austria. Se­gue il destino di Venezia ovviamente anche la Dalmazia conside­rata quasi come un op­tional della Re­pubblica. Nel 1866 Venezia ritorna li­bera, ma la Dalmazia rimane sotto il giogo austroungarico.
L'entusiasmo risorgimentale che aveva infiammato i cuori dei ragazzi ita­liani che si battevano nel Lombardo-Veneto, per esplodere in Dal­mazia dovrà aspettare la fine della prima guerra mondiale e la ca­duta dell'Impero asbur­gico. Quando finalmente parte della Dalmazia potrà ricon­giungersi alla madrepatria, par­lare di deli­rio collettivo non è esage­rato.
Il giorno in cui a Zara si issò il Tricolore sulla cima del campanile del Duomo, fu incaricato dell'alto onore un ragazzo della Società Ginna­stica di Zara. Questo ragazzo, dopo alzata la bandiera, posò le mani avanti ai piedi e fece la verticale... in cima al campanile.
E quel ragazzo non cadde di sotto per­ché sostenuto dai cuori di tutti i suoi con­cittadini presenti.
Io che non potevo essere presente per­ché non ero ancora nato, mentre scrivo queste righe mi sento un groppo in gola e non so perché.
Vedo i drogati, vedo i morti del sa­bato sera e li confronto con quel ra­gazzo sulla cima del campanile...

1.13

Fascismo

Naturalmente, quando su­bito dopo arrivò il Fascismo, trovò in Dal­mazia terreno fertile. È facile dire oggi: ma voi Dalmati eravate tutti fasci­sti! E ti credo! rispondo io, che altro saremmo po­tuti essere? Mussolini ci parlava di Ban­diera, di Patria e di Onore e tanto ci ba­stava. Non crede­vamo di fare niente di male.
Soltanto dopo la guerra perduta, gente come Sandro Pertini, “il più amato (?) da­gli Italiani”, ci ha infor­mato che eravamo tutti cattivi. Ma prima della guerra crede­vamo di es­sere persone normali, anzi, me­ritevoli di lode per i nostri sforzi disinte­ressati tesi solo ad onorare la bandiera.

1.14

Epilogo

A guerra perduta, Pa­renzo, tanto per fare un esempio nomino quella cittadina istriana proprio di fronte a Chioggia, Parenzo, dicevo, depone le armi e cavallerescamente si consegna al vincitore. Ma il vincitore non si mo­stra degno di tanto onore, anzi, forse memore dei suoi disgraziati avi, i bi­folchi e i bi­slacchi, si comporterà in una maniera tale che gli abitanti di Parenzo saranno costretti a la­sciare la loro città e i loro averi. In quei giorni lascia Parenzo il 98% della po-pola­zione.
In tutto i profughi da Istria, Fiume e Dalmazia saranno 350.000. Non certo 350.000 bar­bari migrati dalle steppe, ma popolo civi­lissimo depo­sitario di una storia e di una cultura che gli intellettuali progressisti no­strani non possono neanche immaginare.
In quei giorni, prefetto della città di Zara..., anzi non si chiamava Pre­fetto ma Capo della Provincia, era un siciliano di nome Serrentino. Questo siciliano si pro­digò al limite delle possibilità umane per seppellire i morti. Zara infatti aveva subito 54 bombardamenti. Dico 54 bombarda­menti su una città grande come un fazzoletto senza una contraerea ade­guata perché non era obiettivo mili­tare. Questo significa che gli 'eroici' aviatori anglosassoni avevano agio di giocare al tiro a segno contro le bar­che di civili che cercavano di lasciare la città durante gli attacchi aerei (*Fonti: 301 bis Talpo/Brćić, 259); 322 Bam­bara, 151; 601 Carter/Mueler).
Serrentino, dicevo, soccorre i feriti, seppellisce i morti e organizza la evacuazione. Lui stesso lascia per ultimo la città in fiamme quando ormai gli fischiano le pal­lottole dietro le orecchie. Ma le brigate partigiane di Tito lo inse­guono e lo rag­giungono in territorio italiano dopo la fine della guerra, lo strappano da casa sua e lo trascinano oltre il confine. Sarà fucilato, naturalmente, era fasci­sta, non poteva essere che fucilato.
Cade così Vincenzo Serrentino il 19 maggio del 1947. Due anni dopo la fine della guerra (* 1221).
Finisce qui la storia della mia Zara e della mia Dalmazia. Grazie.

Giuliano De Zorzi


Son nude le selci, son aride e nude
ma piene di fato: ciascuna in sé chiude
per l'urto faville di grande virtude.
Ricòrdati e aspetta.

È piena di fato la muta ruina.
All'ombra dei marmi la via cittadina
si tace pensando che l'ora è vicina.
Ricòrdati e aspetta (...)

Fra l'erba che cresce davanti ai palagi
terribili, spogli dell'armi e degli agi,
s'ascondono forse divini presagi.
Ricòrdati e aspetta.

È figlia al silenzio la più bella sorte.
Verrà dal silenzio, vincendo la morte,
l'Eroe necessario. Tu veglia alle porte,
ricòrdati e aspetta.


(D'Annunzio, Laudi, II, xvi, 9 sgg.).


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