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sabato 6 settembre 2014

La Dalmazia vista da un Dalmata - Incipit

Quanto segue è la riproposizione succinta di un testo edito dal Centro di Studi Atesini, scritto dallo zaratino Giuliano De Zorzi. Vogliamo con questa nostra pubblicazione riproporre all'attenzione dei lettori la storia e le vicissitudini di quella regione amaramente perduta ed omaggiare al contempo l'opera del buon De Zorzi, che da molti anni si profonde per difendere e divulgare l'italianità della sua terra d'origine.  

 

Due parole di presentazione..

«Tu dalmata? Questa mi giunge nuova. Ti credevo bolzanino, anzi, ter­razzano dell'inclito borgo di Cor­nedo...». Divertito per la mia sorpresa, l'uomo venuto dal mare e tagliato nel macigno abbozza un sorriso fra ironico e sornione. E su due piedi mi improvvisa una parodia della nota quartina del Vannetti:
­
"A scanso d'incresciosi malintesi,
sono atesino sol per accidente,
ché gli antenati ed ogni mio parente
zaratini son già, non tirolesi...".

Dopo di che prende ad enumerare tutto il parentado dal­matino, col serio impe­gno dell'eroe omerico che prima di in­filzare l'avversario snocciola il suo al­bero genealo­gico: dalmata il padre – veterinario condotto emigrato da Zara a Prato Isarco – dalmati la madre e il fratello, nativi di Zara; e zaratini i nonni, i bi­snonni e gli incliti catanonni. Solo lui, Giuliano, per una bizzarria della sorte, è foresto di nascita e resta a tutt'oggi l'unico kruko1 della fami­glia; solo per anagrafe, s'intende, ­ché in tutto il re­sto – spirito e sangue, giovialità e piccole bizzarrie – è dalmata verace, più di San Girolamo.
Per tale singolarità Giuliano, in un certo senso, è il mio reciproco. Infatti, fra i miei parenti, tutti peninsulari, fa spicco una zia dell'altra sponda che ri­deva sempre e credeva che tutto il mondo si esprimesse in veneto. Proprio a Zara imparai a parlare, e il mio primo dialetto fu il veneto di Dalmazia, presto di­menticato perché mio Padre esigeva che anche in famiglia si parlasse in lingua.
La novità delle origini dalmate saltò fuori quando Giuliano mi invitò ad una sua chiacchierata sulla Dalmazia. L'esposizione fu seguita con interesse da un uditorio attratto dalla novità dell'argomento e con­quistato dal tono flautato dell'oratore. Giuliano parla non da pre­tenzioso cattedratico, ma da sem­plice Cit­tadino del libero Comune di Zara in esilio.
In tale veste, con espres­sione sobria e cattivante dominata a tratti da una forte tensione emotiva, rifà la sto­ria della sua Dalmazia, della nostra Dalma­zia, della Dalmazia di­menticata ma non per­duta, perché un giorno, perdìo, l’Italia dovrà pur tornare sulla negata quarta sponda.
Le parole si perdono, la carta stampata resta: l'antica saggezza ci ha indotti a ri­proporre il testo della con­versazione in queste pagine. Nell'esposizione, qua e là ritoc­cata, il let­tore troverà cose in parte già note e pic­cole cu­riosità forse mai raccon­tate che arrivano al cuore e, al tempo stesso, restano im­presse nella mente di ciascuno come realtà, non come vana astra­zione.
Giuliano significa per verba e non per immagini. Sa che a far conoscere la Dal­mazia attra­verso le diapositive, ne verrebbe fuori una telenovela di cento e cento puntate. D'altronde l'immagine su pellicola dai colori sma­glianti (mari al co­balto e tramonti in salsa rossa) si ad­dice più all'informazione massificata che all'approdo cultu­rale; e, passi la meta­fora, è più appetibile al pollo allevato in batte­ria che al ru­spante al quale egli ri­volge il suo discorso. 2
Come già nel par­lato, l'iconografia è qui ridotta ad una serie di illustra­zioni che, per lo più, danno voce al lin­guaggio delle pie­tre: pietre venerande che narrano di Roma, di Ve­nezia e dell'Italia, pietre dei monumenti di Zara, di Spalato, delle isole incantate che in­ghirlandano la costa, giú giú fino a Ragusa, supinamente chia­mata Du­brovnik da certi gazzettieri slavofili. 3
Illusi: credono che un postic­cio nome barbaro che sa di tubero 4 possa d'un tratto cancellare un millennio e passa di storia, sto­ria civile di una Com­munitas italiana assurta poi a civilissima Re­pubblica, a buon diritto quinta delle Re­pubbliche marinare d'Italia.

Ferruccio Bravi

1 Absit iniuria verbo: il nomignolo “kruko”, datogli dalle cuginette zaratine, sta per 'allogeno' e corrisponde a un dipresso al nostro “tognín”.
2 Tutt’altro discorso si farà per le immagini d’epoca. Una strenna per amatori è la videocassetta «Zara» realizzata dall’Associazione Nazionale Dalmata (Piazza di Firenze 27, 00185 Roma) e dal Libero Comune di Zara in Esilio: momenti magici della Zara felice del ventennio 1921-1941.
3 * FONTI, RAGUSA, il nome).
4 Cervario «Tuberone» fu bizzarramente chiamato lo storico raguseo Lodovico Cerva


 segue..

 

 

 

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