La famiglia del cucco
Non tutti hanno un
rapporto equilibrato con il danaro. C'è chi lo spende come
spenderebbe il pensiero che è inesauribile
e chi invece fa economie sballate, come andare al lavoro in auto per
risparmiare il biglietto del tram. Quando si taglia nelle spese minute e si largheggia
nel resto, i fiamazzi dicono tegnir da la spina e molar dal caocon, da intendere:
‘stringere la spina della botte e spillare allegramente il vino togliendo
lo zaffo’. Il detto è ben noto dal Veneto all'Engadina.
Il caocón – occorre
spiegarlo? – è il tappo della botte o del tino, fatto di legno a tronco di cono
e avvolto in tela o canovaccio. In buona lingua si chiama cocchiume, parola
nobile, ma non così espressiva come la fiamazza.
Caocón viene
da cucco e ci riporta a età immemorabile: infatti si definisce
"più vecchio del cucco" tutto ciò che sfida il tempo e la pazienza
della gente. Cucco vuol dire 'cucuzzolo' e
ha dato il nome a Montecuccoli,
a Moncucco / Guggen-berg e
a vari Cucal che sono montagnole a forma di polenta. Un tempo il Cücal
di Tesero doveva essere tondo come quello di Anterivo che pare appena
scodellato da un enorme paiolo.
La
parola cüco nel senso di 'cuculo' viene invece dal richiamo
del maschio, dall'insistente "cucù"
che risuona canzonatorio quando ci troviamo disorientati nel bosco.
Secondo
un antico pregiudizio, il cuculo occupa il nido altrui e per questo una volta
si diceva «'l va cüco» se
un tale si ammogliava e andava a vivere
in casa della sposa.
Da cucco
a ciucca il passo è breve. Dalle Venezie ciucca si è diffuso
in tutta Italia a significare ‘sbornia’.
In
Fiemme chi fa la ciüca di festa, e magari pure di sabato, si chiama ciüchèra.
Stando
all'etimologia il ciüchera dovrebbe essere imbevuto d'acqua.
Invece, lui, l'acqua non la vuol vedere
né scritta né dipinta: "infradicia i ponti", dice,
"arrugginisce la secchia", insomma fa male e, per
contro, il vino esalta la personalità e il senso del dominio. Infatti,
quando è in cimbali si sente sicuro, tiene per sé tutta la strada,
pendolando da un bordo all'altro.
Già nel
suono della parola il ciüchera ha un non so che di solenne e risveglia
reminiscenze classiche: me lo figuro ornato di pampini e
ghirlandette, scortato da due compari anche loro alticci
e canterini.
La solennità
gli è conferita dall'efficacia espressiva del vocabolo,
in specie dalla terminazione -èra, degna
d'un grande di Spagna.
In
passato la gente era devota a Bacco molto più di oggi come conferma una ricca
terminologia: accanto all’usuale voce ubriaco, la
tradizione allinea sinonimi pittoreschi in parte desueti. Nella
lingua comune ve ne sono una cinquantina più un buon numero di locuzioni. Fra i
più pregnanti: cotto, concio, incagnato,
spranghetto, imballato, pinzo,
imbronzinato, ciuschero, trincone,
ciuschero, in bernecche, alla
banda, in gloria, in scilloria.
Nel
fiamazzo ne trovo assai meno. Accanto al già ricordato ciüchèra che
richiama ciütera, la fiasca (che ben si accorda con ciucciare
e chi troppo ciuccia prende la ciucca) troviamo embriaghèra stemperato
poi, con una punta di indulgenza, in ‘mbriaghèla
che va col toscano bria’ella. Oltre alle varianti ciüchetón
ed embriagón non trovo altri sinonimi nel dialetto.
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