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venerdì 1 gennaio 2016

RIPARTIRE DAL RISORGIMENTO

Il 2015 è stato un anno transitorio per il nostro piccolo gruppo di studio. Nuovi progetti, nuovi contatti, nuove collaborazioni, che stanno piano piano arricchendo l'arsenale auserino, indirizzandone l'operato sulla strada che ci eravamo prefissi. Ed eccoci giunti a questo capodanno 2016, in cui abbiamo deciso di pubblicare una lunga intervista alla signora Maria Cipriano, valente storica e nostra nuova collaboratrice. Lo facciamo in questo primo di gennaio non a caso, bensì tenendo fede alla tradizione degli antichi Romani secondo cui ciò che si fa per capodanno rispecchierà l'andamento dell'anno venturo. Tema dell'intervista il Risorgimento. E per un ovvio motivo: le lunghe e tortuose vicende che portarono all'unità d'Italia sono il più mirabile esempio di concordia dimostrato lungo la storia dagli italiani. Come esporrà in modo nitido la Cipriano stessa nell'intervista, il Risorgimento fu animato al suo interno da varie correnti ideologiche, spesso in contrasto tra loro, ma che seppero relegare in secondo piano le differenze per il fine supremo dell'unità della Patria. Concordia che dovrebbero ritrovare gli italiani d'oggi, per anni divisi da diverse fazioni politiche, regionalismi e campanilismi d'ogni sorta. Una concordia che ci faccia riscoprire le nostre comune radici , dandoci la forza di reagire allo sfacelo culturale, sociale ed economico a cui stiamo assistendo impassibili. La questione non è più “destra o sinistra”, “rossi o neri”, ma tra sovranisti e mondialisti. Tra chi ritiene che le nazioni abbiano un'origine ed un significato e che siano a garanzia della libertà dei popoli che le animano e chi vuole spezzare ogni tipo di legame per confluirlo in una società fluida ed apolide dominata soltanto dalle leggi di mercato, dettate da un ristretto numero di oligarchi aventi il solo fine del profitto e del potere illimitato. Questo deve farci riscoprire il nostro Risorgimento: l'orgoglio di avere una storia condivisa e di appartenere ad una Nazione che, come ebbe a dire un grande del secolo scorso, Beppe Niccolai, nel bene o nel male, come una madre si ama e basta, al di là d'ogni sovrastruttura successiva. E' da qui che dobbiamo ripartire, da qui e da un altro avvenimento che del Risorgimento fu la tragica, ma vittoriosa conclusione: la Prima Guerra Mondiale di cui proprio lo scorso anno è caduto il centenario. Fin tanto che terremo vivo il ricordo delle sofferenze e delle aspirazioni dei nostri padri - "ove fia santo e lagrimato il sangue per la Patria versato" - ci sarà ancora un barlume di speranza per la nostra amata Italia.


Sandro Righini



RIPARTIRE DAL RISORGIMENTO

Maria Cipriano, valente storica, esperta del Risorgimento
e nuova collaboratrice auserina, protagonista di questa nostra intervista


1- Come prima domanda vorrei chiederle da dove nasce il suo amore per il Risorgimento?

Da una presa di coscienza profonda, anche se un po' tardiva, di valori e principi che per tutta la giovinezza mi sono stati estranei. La Storia è sempre stata la mia materia preferita fin dai tempi del Liceo, ma gli argomenti trattati non erano certo quelli che amo trattare adesso. In classe si parlava di tutt’altro che della Patria e del Risorgimento, anche il Fascismo era accuratamente evitato se non per prendere in giro Mussolini, e negli anni universitari io ero una delle tante ragazze di sinistra, accese e convinte, inserite nel contesto fortemente politicizzato di quel tempo. Ho reagito per conto mio, avendo la fortuna di amare lo studio, la lettura, la riflessione. Ho scoperto così pian piano un mondo che non conoscevo e che mi ha lasciato sbalordita: il sacrificio di tanta gente, ciò che l’Italia ha significato nei secoli, i travagli di un paese straordinario che ce l‘ha sempre fatta. Perciò adesso non sopporto i denigratori e gli affossatori della nazione.

2 - Tra i denigratori va sicuramente ascritta proprio quella sinistra di cui anche lei, in gioventù, ha fatto parte. Ma non fu sempre così. Durante il Risorgimento sinistra e nazione corsero a braccetto e tra le sue file vi furono alcuni dei più intransigenti propugnatori dell'unità d'Italia. Secondo lei, perché questa progressiva involuzione? Bisogna forse riconoscere due o più tipi di sinistre agenti nella nostra storia?

La sinistra cui si fa riferimento ai tempi nostri non ha nulla a che vedere con nessun movimento Risorgimentale che astrattamente potrebbe ricollegarvisi, in quanto è la sinistra di matrice marxista, nata dalla pubblicazione del celebre Manifesto di Marx ed Engels, i quali furono critici verso il Risorgimento italiano e in particolare verso Mazzini.
Garibaldi stesso, per quanto la sinistra nostrana, soprattutto durante la Resistenza ma anche prima, abbia cercato di appropriarsene, in realtà non ha niente a che vedere con il marxismo. Tutto il Risorgimento in generale, anche nelle sue componenti più radicali, come Pisacane, è ben lontano dal marxismo i cui pilastri sono la lotta di classe intesa come vera e propria conflittualità e il materialismo storico. Le radici del Risorgimento al contrario sono spirituali, identitarie, collaborative, ancorate alla Romanità. Non c’è inno risorgimentale dove non siano orgogliosamente citati gli antichi Romani. Il Risorgimento ha calamitato a sé nobili e plebei, colti e analfabeti, atei e credenti, cattolici ed ebrei, moderati ed estremisti, in una sintesi mirabile che nessuno è riuscito più a ripetere, tanto meno la sinistra marxista il cui linguaggio si è sempre svolto all’insegna della divisione, della contrapposizione e dell’abbattimento e demonizzazione dell’avversario inteso come un nemico mortale. Niente di tutto ciò nel Risorgimento, dove i contrasti di vedute anche forti non hanno intaccato assolutamente l’insieme, e tanto meno il fine supremo da raggiungere: l’unità e l’indipendenza della Patria.

3 - Risposta chiara che non lascia adito a fraintendimento alcuno. Ritengo - e non sono il solo - che il culto della Romanità sia il filo rosso che lega Risorgimento e Fascismo. Fermo restando che il Risorgimento rappresenta un periodo storico entro cui si muovono diverse e variegate ideologie, mentre il Fascismo, pur con tutte le sue sfumature, resta un movimento politico-ideologico meglio definito, vorrei chiederle quali sono a suo parere le affinità e le differenze tra i due?

Dovessimo dar retta a Benedetto Croce e al Manifesto degli intellettuali antifascisti da lui redatto nel 1925 di cui fu firmatario assieme ad altri rappresentanti della cultura italiana del tempo, dovremmo concludere che il Fascismo è stato addirittura la negazione del Risorgimento. Ma, se ciò è passabile dal punto di vista emotivo e delle simpatie personali (e Benedetto Croce era un tipo piuttosto “umorale”), non lo è dal punto di vista storico.
Che piaccia o meno, il Risorgimento è inconfutabilmente legato al Fascismo attraverso la Grande Guerra. E' la Grande Guerra il ponte di collegamento fra i due, che ha trasmesso al Fascismo, con l'apporto originale ed eccentrico del Dannunzianesimo, del Fiumanesimo e del Futurismo, i germi vitali e immortali del Risorgimento. Il Fascismo li potenzia e li vivifica alla luce del nuovo secolo, il secolo della modernità, dell'efficienza organizzativa, della società di massa che chiede di partecipare alla vita politica in modo diverso dagli schemi parlamentari tradizionali che già al Risorgimento stavano stretti, dell'ansia di nuovi spazi e nuove scoperte scientifiche e tecnologiche. In tal modo i contenuti del Risorgimento, divenuti ormai estranei a una classe dirigente liberale desueta e a masse popolari attratte dal socialismo marxista, con il Fascismo vivono una seconda vita e una seconda giovinezza. Ciò che sembrava un capitolo chiuso, incorniciato in un'aura romantica sempre più remota, si trasforma in un evento aperto al futuro e attuale, perenne ammaestramento e incitamento per le generazioni a venire, anche dal punto di vista sociale.
Il guaio è che il Fascismo non ha tagliato il traguardo finale, e il popolo italiano non gli ha perdonato questo fallimento. Al Risorgimento sono state condonate le sue mancanze perché raggiunse comunque un traguardo che sembrava irraggiungibile: l'unità e l'indipendenza. Il Fascismo no. Il fatto di poggiare su di un unico pilastro - il Duce -, ha giocato negativamente. Il Risorgimento poggiava su quattro pilastri differenti, ognuno dei quali ha svolto una funzione fondamentale e imprescindibile. Il Duce era da solo: troppo poco per reggere agli urti imprevedibili della Storia.


4 - Ci parli di questi quattro pilastri su cui poggiava il Risorgimento


C'è un'alchimia straordinaria che permise al Risorgimento di realizzarsi grazie a quattro personaggi diversissimi tra loro, mancando anche uno solo dei quali l'Italia non avrebbe conseguito la sua unità e indipendenza. Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II sono il cemento armato dell'Italia unita, un cemento che ha resistito a oltre 150 anni di scossoni di tutti i tipi, ivi compresi i ricorrenti tentativi di tornare a separarla, per non parlare delle guerre e dei danni di varia specie causati da molteplici nemici esterni e interni, tuttora all'opera.
Senza che ce ne rendiamo conto, i quattro pilastri del Risorgimento continuano a dispiegare effetti ancora oggi, e se l'Italia non poggiasse su cotante basi, la sua riunificazione sarebbe durata ben poco, non reggendo a tutte le sfide che hanno messo a dura prova la sua tenuta.
Si tratta di quattro irripetibili personalità, generose e sincere, che, pur diverse e spesso in contrasto tra loro, hanno saputo interagire, riuscendo a cooperare nei momenti cruciali e decisivi, legate dal filo solido e tenace dell'amore incondizionato per l'Italia. Dietro la veste conosciuta che li vide impegnati a prendere gravi decisioni in così gravi frangenti, si stagliano aspetti meno noti del loro carattere che non ci aspetteremmo: un Cavour buongustaio ed enologo (famoso il Barolo della sua tenuta) che dopo aver respinto sdegnosamente l'ultimatum dell'Austria nel 1859 e dichiarato guerra, disse “e adesso andiamo a mangiare!”, un Garibaldi astemio e protettore degli animali che fondò nel 1871 a Torino la Società Reale per la protezione degli animali antesignana dell'Enpa, un Mazzini che pur vestito sempre di nero per portare il lutto della Patria, amava suonare la chitarra, un Re Vittorio alieno alle etichette di corte, organizzatore di feste campestri per soldati e subalterni con balli, canti e rinfreschi.
C'è chi ha provato a demolirli uno per uno, parlando di “miti costruiti”, scoperchiando magagne e calunnie, ma con scarso successo, giacché sono i fatti stessi a parlare.
L'anima mistica, missionaria e votata al sacrificio di Mazzini, l'anima eroica e battagliera di Garibaldi, l'anima raziocinante e lungimirante del Cavour, l'anima benevola, accomodante, prudente e sagace del Re Vittorio, rappresentano in fondo le quattro anime dell'Italia, che le hanno permesso di passare attraverso le tempeste della Storia, giungendo ai nostri giorni: giorni oltremodo difficili, in cui gli scomposti latrati dei nemici dell'Unità nazionale, chiunque essi siano, rimbalzano miseramente contro coloro che a giusta ragione sono i Padri della Patria scolpiti dalla Storia.
Li avessimo adesso!


5 - Oggi si continua a ricordare, seppur in maniera scarsa e fuorviante, Mazzini e Garibaldi quali apostoli "democratici" dell'unità d'Italia. Ma si tende a dimenticare o addirittura denigrare gli altri due pilastri: Cavour e Vittorio Emanuele II. Ci delinei meglio l'importanza del loro operato ai fini della nostra riunificazione nazionale.


Il poter contare stabilmente sulla Monarchia Sabauda fu determinante per la riuscita del Risorgimento. Fu l'insostituibile sostegno di uno Stato efficiente e organizzato, solido e ordinato, i cui due massimi esponenti impegnarono per la causa nazionale ingenti risorse umane, materiali e spirituali, compresa l'accoglienza di migliaia e migliaia di profughi da tutte le regioni italiane, cui era devoluto un sussidio mensile. Consci delle difficoltà che si trovavano davanti, il re Vittorio Emanuele II e Cavour accettarono la sfida, non si tirarono indietro, architettando strategie e tattiche talvolta alla luce del sole, talaltra sottobanco, senza lesinare proficui espedienti, il che protesse da molti pericoli un'Italia ormai in completo fermento.
Garibaldi e Mazzini avevano idee all'avanguardia, ma non avevano uno Stato dietro di sé, un Esercito regolare, una diplomazia, una disponibilità finanziaria. Essi agivano via via, all'avventura, senza una programma di largo respiro, affidandosi unicamente ai volontari. Non era una differenza da poco, e infatti gran parte dei patrioti, anche quelli di idee repubblicane-mazziniane e garibaldine, si orientarono ben presto verso la Monarchia di Vittorio Emanuele II, accettando la soluzione del “juste milieu” (la giusta distanza da tutti gli estremismi) proposta dal conte di Cavour.
Nonostante il malanimo anti-sabaudo di questa repubblica, in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia nel 2011, è stata allestita una mostra proprio su Vittorio Emanuele II il Re galantuomo, a cura del Ministero dei Beni culturali e sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica, in cui sono stati messi in luce i meriti, il fiuto politico e il ruolo di primo piano da lui svolto nel processo Risorgimentale, in simbiosi con Cavour. Entrambi dotati di un carattere forte e determinato e di una mente calcolatrice, presero in mano il bandolo incandescente del Risorgimento nel momento peggiore, dopo la tragica conclusione della 1a guerra d'indipendenza, la tragica resa di Venezia e l'altrettanto tragica fine della Repubblica Romana e delle cinque giornate di Milano. Quando tutto sembrava perduto, quando le insurrezioni da nord a sud finivano malamente, e le prigioni erano gremite e gli esiliati si contavano a decine di migliaia, furono il Re Vittorio e Cavour a risollevare le speranze abbattute di una nazione piombata nello sconforto. Il prestigio e la risonanza delle vicende italiane dopo la guerra di Crimea quando il Piemonte poté sedere al tavolo delle grandi potenze per porre la questione dell'Italia, fu enorme. La reazione sprezzante e minacciosa dell'Austria che lasciò il Cavour impassibile e ancor più determinato a reagire, catalizzò attorno allo Stato Sabaudo le attese frementi del popolo italiano, nonché l'ammirazione e la simpatia dell'opinione pubblica europea e mondiale. Unanimemente stimato all'estero per la sua serietà e competenza, legato a circoli influenti e potenti di Ginevra attraverso i suoi parenti materni (la madre era una nobile ginevrina) che lo incoraggiavano sulla via della redenzione d'Italia, Cavour rappresentò per l'Austria, il Papa e il Re Ferdinando II un pericolo mortale, perché agli ideali che lo ispiravano s'accompagnava la ferrea lucidità di un calcolo politico, la visione chiara della realtà, la volontà di raggiungere il fine a qualunque costo. Vittorio Emanuele II gli fu compagno e sodale, dietro la sua apparente faciloneria bonaria non meno deciso di lui nei propositi di farla finita con tutti gli stranieri e con il Papa. Nelle turbinose circostanze del Risorgimento l'ultima decisione fu sempre quella del Re, a cominciare dai sotterranei preparativi per la 2a guerra d'indipendenza mentre l'Austria credeva il contrario. Le sue mosse meditate a sorpresa (come quando esortò di nascosto Garibaldi a passare senza indugio lo stretto di Messina o quando varcò lui stesso i confini dello Stato Pontificio alla testa del suo esercito in faccia a uno sbigottito Napoleone III), furono determinanti nel coronare il Risorgimento, portandolo dal limbo dei sogni alla realtà concreta: accettata, volente o nolente, da tutte le cancellerie d'Europa.


6 - Facciamo un passo indietro. Abbiamo visto l'incompatibilità della moderna sinistra con il concetto di Nazione. Ma anche gli eredi del Fascismo, coloro che avrebbero dovuto più di altri mantenere viva la fiamma risorgimentale, nel dopo guerra ed in particolar modo dopo il '68, denigrarono quelle pagine di storia. Tra le causa di questo disprezzo giocò un ruolo importante la forte pregiudiziale anti-massonica. Può riassumerci il ruolo della Massoneria e delle altre società segrete nel Risorgimento e dare un suo giudizio in merito?

E' ben vero che il fronte anti-Risorgimentale attualmente comprende una variegata mescolanza di provenienze, compresa quella fascista, il che può stupire: ma a mio parere il vero Fascismo è finito con il Duce e i suoi collaboratori, e tutto ciò che ne è seguito -il cosiddetto neofascismo- non è che una confusa deriva di elementi non di rado permeati di filo-nazismo e di atteggiamenti che il Duce non avrebbe condiviso.
Circa la pregiudiziale anti-massonica, essa era già presente durante il Ventennio e non comportò per questo un allontanamento del Fascismo dal Risorgimento neanche nei due anni della Repubblica Sociale, ragion per cui la causa dell'anti-Risorgimento di una certa parte del neofascismo è da ricercarsi più verosimilmente in una sorta di snobismo culturale ammantato di tradizionalismo anti-illuminista, non alieno da venature clericali, che vede il Risorgimento come un'emanazione della Rivoluzione francese e del materialismo ateo che la caratterizzava. Niente di più falso, dal momento che la matrice spirituale e identitaria del Risorgimento è evidente, e le vicende giacobine e napoleoniche non sono la causa del Risorgimento, ma un antefatto storico del medesimo. Naturalmente era molto più comodo per la Chiesa e i sovrani spodestati puntare il dito contro una regia potente e occulta che avrebbe agito dietro le quinte muovendo addirittura i fili della Storia mondiale. Ma in verità, al di là del nome ereditato da un antico passato medioevale con cui non aveva più nulla a che fare, di Massonerie o presunte tali ce n'erano tante a quel tempo, anche con altri nomi, ogni nazione aveva la sua con caratteristiche diverse che risentivano dei diversi contesti storici e dei singoli fondatori, e trovare in esse un bandolo comune, una regia comune e intenti comuni è assolutamente antistorico. Per esempio, la Massoneria francese dell'epoca murattiana operante in Italia era ben diversa da quella inglese operante nella stessa epoca nello stesso luogo, legata al Regno dei Borboni: entrambe agirono per un certo tempo rivaleggiando tra loro, in un ginepraio di logge ansiose di ritagliarsi angoli di potere e d'influenza entro un paese in perenne ebollizione che né la Francia né l'Inghilterra volevano lasciarsi sfuggire.
Ma il Risorgimento nacque e si sviluppò lungo un filo tutto suo, originale e indipendente, sul quale agì una società segreta rigorosamente autoctona, nata nel mezzogiorno, di cui gli studiosi non sono mai riusciti a venire a capo, che fu imprendibile e sovrana: la Carboneria. Nel 1809 Gioacchino Murat scriveva a Napoleone una lettera allarmata, in cui lo informava del dilagare della Carboneria. I rapporti della Polizia asburgica non erano da meno. La Carboneria fu la croce del Regno delle due Sicilie, dove la Polizia fu impegnata per molti anni nella caccia al carbonaro, che poteva essere chiunque, dal nobile al plebeo, giacché la Carboneria era vera fratellanza impregnata di spiritualità dei suoi adepti, votati all'azione e al martirio. Nulla di ciò nella Massoneria, che nondimeno fece di tutto per immischiarsi nel Risorgimento, animata da zelante presenzialismo, da ansia partecipativa e dall'ambizione di condividere allori e potere. In Italia cominciò a esercitare un'influenza dopo la riunificazione, a tal punto che Mussolini, andato al potere, reagì con una legge apposita. Al di là dei pur legittimi intendimenti culturali, intellettuali o umanitari, del tutto innocui, che la caratterizzavano, l'ambiguità di fondo di questa società ondivaga, dalle tante facce, interpretazioni e adattamenti, e dunque potenzialmente pericolosa, la rende molto lontana dallo spirito e dall'anima autentica del Risorgimento carbonaro e dei suoi padri fondatori.

7 - Come leggere allora l'adesione alla Massoneria, tanto per fare due nomi di spicco, di Garibaldi - per il risorgimento - e di Balbo - per il fascismo - ? Vanno inquadrati come eccezioni all'interno di una società segreta già tendenzialmente deviata o dobbiamo casomai notare una progressiva involuzione degenerativa della stessa?

Mi aspettavo la domanda su Garibaldi. Tutti i libri e gli articoli che sono stati scritti su di lui evidentemente non sono bastati a chiarire la sua personalità, complessa come quella dei grandi uomini che hanno influito sul corso della Storia: nel suo caso positivamente, per l'Italia e per noi.
Ma la risposta al perché egli aderì alla Massoneria è molto semplice, anzitutto perché a quei tempi aderire alla massoneria (o meglio a una delle tante massonerie) o a qualsiasi altra società segreta di cui pullulava il secolo, era normale, usuale, naturale, e non aveva nessuna delle connotazioni negative che noi oggi vi attribuiamo per ragioni politiche contingenti che riguardano il nostro tempo, bensì il contrario: era un segno di distinzione e di qualificazione. Le Massonerie, poi, accoglievano solo persone colte e di ceto elevato, e farne parte era un biglietto da visita che attestava il rango superiore dell'adepto e il suo ruolo sociale.
L'Ottocento fu il secolo delle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, il secolo del progresso in cui l'uomo cercava risposte alternative a quelle della religione tradizionale e del potere tradizionale, il secolo in cui si osò mettere in dubbio la storicità del Vangelo, il secolo dello spiritismo, dei marziani e saturniani cui quasi tutti credevano o volevano credere, e le società segrete incarnavano queste visioni alternative, davano risposte, aprivano orizzonti nuovi, e dunque proliferavano a vista d'occhio.
Proprio il mondo marinaro a cui Garibaldi apparteneva era particolarmente invaso, in ragione del suo cosmopolitismo, da affiliazioni a sette di tutti i tipi, e chi non ne avesse fatto parte sarebbe stato riguardato con le più grandi meraviglie, come oggi noi guardiamo chi si rifiuta di guidare la macchina. Essere presentato e ammesso in una società segreta, anche la più scalcinata, era di per sé un motivo di orgoglio personale, oltre a costituire un importante veicolo di socializzazione e solidarietà.
Lo spessore psicologico e la tensione esistenziale di Garibaldi che non credeva alla religione imposta dal potere, e cercava nuove risposte alle umane inquietudini, lo rendeva particolarmente permeabile a queste affiliazioni, senza parlare della sua fama strepitosa, che lo portò a essere invocato da tutte le associazioni di ogni specie, segrete e non, compresa la Massoneria italiana, piccola, frammentata e ininfluente, che lui accettò di presiedere per un certo tempo, allo scopo di imprimerle chiari connotati nazionali e impedire che finisse sottomessa a gruppi massonici stranieri grandi e organizzati.
Tutto ciò non urta e non collide con il Risorgimento, che seguì la sua propria strada tracciata dalla Carboneria -cui Garibaldi senza dubbio apparteneva-, corteggiato e inseguito dalle varie massonerie per le quali costituiva un motivo di gran vanto poter dire di aver contribuito alla riunificazione italiana che tanto rumore fece nel mondo, quando vi ebbero invece una parte marginalissima.
Nel tempo in cui vi aderì Italo Balbo, la Massoneria italiana teoricamente era ancora quella a cui Garibaldi aveva impresso il suo input, e certamente fu con questo spirito limpido e onesto che Balbo vi aderì. Ma le cose non stavano del tutto così, evidentemente, se Mussolini emanò già nel 1923 la legge che vietava agli iscritti al PNF l'affiliazione alla Massoneria, paventando chiaramente il suo deviazionismo: le nubi del sospetto aleggiavano sulla società segreta già da allora, e infatti Balbo ne uscì proprio a quella data, e da quel momento la Massoneria perse il suo smalto e la sua credibilità, il suo prestigio e la fiducia di cui era circondata, fatta oggetto di accuse anche gravi: non si sa, invero, quanto fondate. Ma questa è un'altra storia.

8 - Abbiamo visto come nel Risorgimento, anche tramite le società segrete di cui abbiamo appena parlato, fu forte il richiamo all'antichità greca e soprattutto romana, sia nella simbologia che nei richiami spirituali. Ma parliamo adesso del mondo cattolico, che non fu totalmente ostile ai moti per l'indipendenza nazionale. Può tracciare un veloce ritratto delle aspirazioni, dei contrasti e delle contraddizioni interne ai patrioti cattolici?

Fortunatamente gli Italiani anteposero il proprio essere italiani al proprio essere cattolici, altrimenti il Risorgimento sarebbe stato un fiasco. Le scomuniche e gli anatemi che il papa lanciava a destra e a sinistra non impedirono al Risorgimento di realizzarsi, e una “questione cattolica” non è mai esistita durante il corso della riunificazione, nonostante gli sforzi della Curia Romana per farla esistere. Anche Cavour fu scomunicato, e il sacerdote che gl'impartì l'estrema unzione richiamato urgentemente a Roma e sospeso a divinis. L'opposizione del Papa e della Curia Romana, che si radicalizzò in un anacronistico impuntarsi sul mantenimento del potere temporale che già molti religiosi consideravano superato e ingiusto, non impedì che una lunga schiera di preti prendesse parte attiva al Risorgimento, a partire soprattutto dal basso clero e dalla Sicilia, ove il clero locale si schierò pressoché totalmente con Garibaldi, aprendogli chiese e conventi, e addirittura combattendo sul campo di battaglia.
Una volta messa da parte la “brutta utopia” (come la chiamò il pur cattolico Manzoni) del Gioberti e del Rosmini -i due sacerdoti riformatori che contemplavano una Confederazione italiana sotto l'egida del papa-, il Risorgimento imboccò i binari della riunificazione sotto l'egida di uno Stato di diritto che garantisse le libertà personali che la Chiesa tacciava di “modernismo”. Già nel 1848 il cattolico sardo Giorgio Asproni aveva dichiarato che “chi combatte per la libertà e l'indipendenza d'Italia combatte per il Vangelo”, un dichiarazione che aveva subito raccolto entusiastiche adesioni da parte dei destinatari. Fu anche per questo che il Papa e i vertici ecclesiastici incolparono fantomatiche regie occulte massoniche internazionali: dovevano trovare un capro espiatorio del disastro, dal momento che tra le fila dei loro stessi preti soffiava il vento della libertà e del cambiamento, e di quella “libera Chiesa in libero Stato” che il Cavour con tanta maestria aveva definito. Anche se non tutti furono d'accordo, e soprattutto dopo la presa di Roma e la laicizzazione dello Stato intrapresa dal Regno d'Italia, si crearono malumori e defezioni, pur tuttavia il quadro complessivo dell'adesione dei cattolici al Risorgimento rimane nettamente a favore di questo. Non dimentichiamo che per la Carboneria Gesù Cristo era il primo carbonaro e San Teobaldo il protettore: ragion per cui non c'era ateismo né materialismo anticristiano cui la Chiesa potesse attaccarsi.

9 - Dopo questo bel quadro del Risorgimento e delle figure che lo animarono, se fermiamo la nostra considerazione sull'epoca che stiamo vivendo, bisogna ammetterlo, prende un certo sconforto. Eppure ritengo - e credo di non esser il solo - che la lezione dei nostri Padri è quanto mai attuale; proprio oggi in cui non ha più senso parlare di contrapposizione tra destra e sinistra, ma casomai tra mondialisti e sovranisti, tra "cittadini del mondo" e patrioti. Ritiene che ci sia ancora speranza per l'Italia e che il richiamo ai valori e a agli uomini del Risorgimento possa ridestare le coscienze di questo nostro popolo assopito?

Numquam desperamus”, dicevano i Latini nostri padri: non bisogna mai disperare. La situazione è grave, certamente, sconfortante come dice lei, e però l'Italia ha in sé forze speciali che in tanti secoli dalla caduta di Roma le hanno permesso di affrontare prove ben peggiori di queste che viviamo attualmente. Proprio chi ha davanti a sé il quadro della Storia d'Italia può rendersi conto che c'è una forza dello spirito sotterranea al popolo italiano che gli ha consentito non solo di sopravvivere fino al XXI° secolo, ma anche di far raggiungere all'Italia una posizione di primo piano nel consesso di tutte le nazioni.
Imperi potenti che si reputavano invincibili e hanno cercato di schiacciarci sono finiti schiacciati essi stessi: penso all'impero spagnolo e a quello asburgico. Popoli che sognavano di soppiantare il nostro e di cambiare anche il nome alla penisola, sono finiti cancellati dalla Storia: penso ai longobardi, agli arabi che cercarono d'invaderci e d'invadere Roma,e furono ributtati a mare. Conquistatori stranieri che vennero per conquistare furono conquistati, e si adoperarono per la grandezza e il benessere dell'Italia, diventando parte di noi e salvandoci da gravi pericoli: penso a Federico II di Svevia, a Ladislao d'Angiò, a Teodorico re degli Ostrogoti,a Giustiniano imperatore d'Oriente, allo stesso Gioacchino Murat.
Oggi, di fronte alla sfida della mondializzazione, la ricetta da seguire è quella di prendere dalla mondializzazione solo quello che ci torna utile, e conservare a tutti i costi l'identità nazionale, la coscienza storica, le tradizioni più sacre, l'amore per la nostra terra e le nostre avite radici Romane e pre-Romane, imparando a fare i nostri interessi, in primis economici, e difendendoli a spada tratta come fossimo in trincea.
Il Risorgimento non può non fungere da fonte ispiratrice di qualsiasi riscossa che volessimo affrontare: perciò esso va studiato e fatto conoscere alle nuove generazioni, e noi stessi possiamo nel nostro piccolo attuarlo ogni giorno con una parola, un atto, un pensiero, un voto speso per la Patria.


10 - Concordo sulla necessità di raggiungere le nuove generazioni. Invece di fare il solito elenco di corposi testi storici, ci indichi qualche titolo che potrebbe fungere da viatico verso i giovani. Qualcosa che possa farli appassionare ai sacrifici e alle lotte che intrapresero i nostri progenitori.


I ragazzi d'oggi purtroppo sono disincentivati alla lettura perché la scuola non assolve il suo dovere educativo e comunque è insufficiente. Inutile dire che uno studio approfondito e dettagliato sul Risorgimento non può prescindere dalla consultazione di libri vetusti, corposi e impegnativi, e dunque dalla frequentazione delle biblioteche dove questi libri si trovano. Rimanendo però sul piano semplice, nonostante il mercato attuale sia invaso da frastornanti libretti “revisionisti” e anti-patriottici cui hanno dato un contributo diretto e indiretto giornalisti di fama televisiva e personaggi mediatici, si possono comunque ancora trovare testi buoni o discreti, curati o scritti da studiosi seri la cui preparazione storica è affidabile.
A un giovane che volesse approcciare il Risorgimento entrando subito nel vivo del suo spirito, consiglierei “Umili eroi del Risorgimento italiano” del toscano Ettore Socci, partecipe diretto degli eventi, garibaldino e mazziniano, poi deputato al Parlamento del Regno d'Italia. Si tratta di un libro recentemente redatto a cura del professor Andrea Favaro, di scorrevole lettura e non eccessivamente lungo, appassionante come un romanzo, senonché parla di fatti veri. Venendo ai nostri tempi, pur coi limiti dati dall'incompatibilità spirituale con quelle gesta eroiche, consiglio il libro del prof. Domenico Fisichella Il miracolo del Risorgimento”, spunto a varie riflessioni sul ruolo fondante della Monarchia Sabauda, e ancora il valido libro della prof. Ivana Pederzani “I Dandolo. Dall'Italia dei Lumi al Risorgimento”, che in modo avvincente conduce ai due leggendari fratelli martiri, Enrico ed Emilio, partendo dal nonno paterno, scienziato illuminista. Un altro libro che consiglio vivamente, breve ma estremamente significativo, è “Camillo Benso di Cavour - Discorsi per Roma capitale” (ed. Donzelli), con prefazione dell'intellettuale cattolico Pietro Scoppola, dove sono riportati i tre discorsi storici che il Conte pronunciò in Parlamento rispettivamente il 25, il 27 marzo e il 9 aprile 1861, poco prima di morire.
Per chi è pigro anche per affrontare queste letture, suggerisco di fare almeno una visita ai Musei del Risorgimento sparsi nella penisola (Genova, Milano, Torino, Roma, Bologna, eccetera), ricchi di tanti documenti interessanti e cimeli unici, o quantomeno di consultare gli articoli inseriti nei siti relativi ai 150 anni dell'Unità d'Italia, dove lo Stato e gli Enti locali si sono impegnati in una lodevole attività divulgativa, accessibile a chiunque e utile soprattutto a chi è a digiuno dell'argomento.
Infine, la visione di una semplice pagina facebook come quella di “Nuovo Risorgimento per l'Italia” legata alla rivista Il Nuovo Monitore napoletano” erede di quella storica, nata al seguito della rivoluzione francese nel 1799, offre non di rado articoli molto interessanti.
Bisogna tuttavia tener presente che il libro perfetto, completo, infallibile ed esauriente sul Risorgimento, non esiste, non è stato ancora scritto.

11 - Siamo all'ultima domanda. Nella sua precedente risposta ha citato una pagina di facebook e alcuni siti che trattano del Risorgimento. Secondo il suo punto di vista che ruolo stanno svolgendo i nuovi mezzi di comunicazione nella divulgazione storica presso i giovani? Ed il cinema? Possibile che così tante belle figure non trovino un adeguato spazio sulle pellicole nazionali?

Per fortuna c'è Internet. Pur con tutti i suoi difetti, Internet è una piattaforma informativa, comunicativa e di libera espressione che permette di veicolare contenuti, idee, ragionamenti e commenti che altrimenti sarebbe impossibile esternare, tanto meno sui giornali, in televisione o al cinema, controllati e diretti dall'alto. Sapendo scegliere il buono e scartare il ciarpame, vi si possono trovare contributi interessanti dal punto di vista storico, naturalmente tenendo conto dei dovuti limiti. In televisione compaiono sempre le stesse persone, sui giornali scrivono persone gradite al potere, al cinema si vedono film fatti in serie, pedissequamente allineati alle nuove mode americane. Anche nelle librerie non è tanto diverso.
Per carità di Patria non affondo il coltello nella piaga del nostro cinema attuale, ma certamente non si può non deprecare l'uso maldestro che si fa di un mezzo dalle così alte potenzialità. Il Risorgimento come portatore di idealità, valori e memorie da condividere avrebbe potuto in 70 anni essere egregiamente veicolato con cento film diversi, uno più bello dell'altro, ma, fatti salvi alcuni lontani sceneggiati televisivi di ottimi registi di cui giusto quelli della mia generazione si ricordano, è meglio stendere un velo pietoso. L'incapacità di trattare come si deve il Risorgimento si estende poi a tutto il resto della Storia d'Italia, lunga tremila anni: una storia troppo impegnativa e dunque scomoda per poter coinvolgere registi e sceneggiatori, interessati ad assecondare i vari venti politici. Il film "La Grande Guerra" di Monicelli ne è la riprova. E, d'altra parte, piuttosto che assistere a veri e propri scempi (si pensi a quelli sugli antichi Romani), è meglio niente. Sì, decisamente penso che sia meglio niente piuttosto che la falsificazione, la mercificazione e la mortificazione della nostra illustre e grande Storia.

12 – Abbiamo così concluso questa lunga chiacchierata sul Risorgimento. La ringraziamo per la sua paziente e cortese disponibilità e nel salutarla le chiediamo di esprimere un pensiero per questo 2016.

Anzitutto sono io che ringrazio lei per le sue acute domande, e l’Avser per avermi dato l’opportunità di parlare di un argomento storico che mi sta molto a cuore e considero fondamentale per ogni vero italiano.
Per il 2016 avrei tanti pensieri, desideri e perfino sogni nel cassetto da dedicare alla nostra Italia, ma in primo luogo voglio ricordare che proprio in questi anni ricorre il centenario della Grande Guerra dove tanti giovani morirono con la chiara consapevolezza di sacrificarsi per un alto traguardo ideale e materiale, quale la riunione delle terre irredente, amatissime dai Romani.
Ho proprio qui sottomano un libro di Attilio Tamaro, un grande irredentista triestino, e voglio citare una sua frase che in modo sublime esprime meglio di quanto potrei fare io l’augurio che formulo per il nuovo anno a tutti gli Italiani di buona volontà: “Lunghi sono stati gli anni dell’attesa. In essi, abbiamo aspettato la libertà come se dovesse venire di tra il sogno e la vita, in un mistico avvenire profetizzato in ogni cuore dalla fede.”
Ecco: ai connazionali auguro di non perdere la fede, di seguire la voce del cuore, di vivere come vissero coloro che non smisero di credere e di sperare, nel tempo dell’attesa, protesi a un mistico avvento di rinascita, di liberazione e di Vittoria.

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