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domenica 2 luglio 2017

Chi ha paura del Risorgimento? - Maria Cipriano

In quanti, tra istituzioni pubbliche, giornali, periodici e telegiornali nazionali hanno ricordato la battaglia di San Martino e Solferino combattutasi il 24 giugno del 1859? Anche sulla rete, solitamente più aperta e attenta alle ricorrenze, la battaglia decisiva della IIª Guerra d'Indipendenza è stata scarsamente ricordata, subissata anche dal ricordo della più eclatante “Battaglia del Solstizio” che vide ribaltare le sorti della Grande Guerra. Sul nostro territorio – la Versilia – il Comune di Pietrasanta si è invece distinto per una meritevole iniziativa al riguardo. Domenica 25 giugno, insieme all'Associazione Reduci delle Patrie Battaglie e Fratellanza Militare, si è svolta nella cittadina una sfilata con deposizioni di corone d'alloro presso vari monumenti, conclusasi con lo schieramento intorno al Sacrario “Reduci Patrie Battaglie” presso il Cimitero Urbano. Lì è avvenuta l'ultima deposizione, seguita dalla benedizione del Sacrario e dal coreografico volo di tre deltaplani a motore sopra il cimitero con rilascio di scie tricolori. Tutto meritevole e degno di nota: una ventata patriottica tra l'asfittica maggioranza delle manifestazioni patrocinate dalle nostre istituzioni pubbliche. Eppure anche qui un neo dobbiamo segnalarlo. La deposizione della corona al Sacrario è stata preceduta da un alzabandiera. Insieme a quella italiana e francese - giacché le truppe transalpine ci furono alleate in quella guerra - è stata alzata anche la bandiera dell'Unione Europea. Non è per fare sterile polemica, ma quella bandiera è un po' come un cazzotto in un occhio, una nota stonata, un'offesa ai numerosi volontari pietrasantini inquadrati nell'Armata Sarda, che per l'occasione si volevano ricordare. Se nei pensieri dei nostri Patrioti dell'800 risuonò il nome di Europa, non è certo a questa costruzione tecno-finanziaria, strangolatrice dei popoli e delle identità, che essi pensavano. Ben ce lo spiega con questo suo nuovo articolo la nostra collaboratrice Maria Cipriano, che per l'occasione traccia un profilo dettagliato dell'attuale situazione servile in cui langue l'Italia all'interno di questa Europa, satellite americano. Sottolineando, altresì, a quale Nazione e a quale Europa guardavano le anime più fervide e lungimiranti del Risorgimento, con l'intento di fare inoltre chiarezza su molti dei luoghi comuni che purtroppo oggi predominano su quel momento storico. Una lettura necessaria, quand'anche dura e severa, per ogni sincero patriota che non voglia fermare lo sguardo alla superficie o lasciarsi abbindolare dai luoghi comuni dei tanti storici da strapazzo che vanno di moda oggi. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, ricordarsi da dove veniamo e chi siamo, per poter trovare una via d'uscita dal vicolo cieco in cui siamo finiti.

Gruppo di Studio AUSER  

CHI HA PAURA DEL RISORGIMENTO?


Umberto Coromaldi - Camicie rosse - 1898 -
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea - Roma

In questi tempi sciagurati dove banchettano indisturbati i nemici della Patria, ben si capisce che non si riesca a celebrare degnamente il Risorgimento con una data apposita ad esso dedicata, come sarebbe doveroso e naturale; anzi i soliti idioti che ormai infestano la penisola hanno suggerito di fissare una data celebrativa opposta, il che la dice lunga su come siamo ridotti. E che siamo ridotti alla frutta e forse al liquorino è comprovato dal fatto che il tanto festeggiato Trump -festeggiato da chi sperava fosse il contrario di Obama-, è atterrato a Roma per la visita solerte al Santo Padre, cui si è presentato raggiante, come noi fossimo ancora uno Stato pre-unitario, o comunque a sovranità secondaria, limitata in qualche modo da una sorta di Stato Pontificio redivivo cui tutti i capi stranieri con tanto di consorti velate di nero (tranne la regina di Spagna che può velarsi di bianco) sono anelanti di porgere omaggio. La sindrome di Carlo Magno e della notte di Natale dell'anno 800 in cui dal papa dell'epoca il Re dei Franchi fu incoronato imperatore di un Sacro Romano Impero che di Romano aveva solo il nome, striscia tuttora nel terzo millennio, unita ai più flaccidi cascami di un buonismo con cui viene continuamente sbacchettato e messo a cuccia un paese che non è più in grado neanche di abbaiare alla luna, figuriamoci di reagire in modo concreto. Da qui la visita di Ivanka Trump alla comunità di Sant'Egidio, l'ennesima accolita di anime caritatevoli a senso unico in giro per il mondo (che però, ahimè, rimane quello che è e delle due peggiora), del tipo “aiuto chi mi pare e piace, decido io chi va in paradiso e chi no, chi è cristiano e chi non lo è”. Non contenta, la first daughter, con l'immancabile contorno delle solite smancerie italofile culinarie, ha visitato, dopo il Pantheon, la sottosegretaria Boschi, che con il superbo monumento degli antichi Padri non si capisce proprio cosa ci abbia a che fare. Quel che ci sembra di capire è che da parte degli americani si è registrato un allineamento perfetto al potere nostrano catto-comunista da far invidia all'allineamento dei pianeti. In tal modo, il messaggio al fido valvassore della penisola di non uscire dal seminato e continuare nella macabra autodafè che toccherà il culmine il 15 giugno con la discussione al Senato dello ius soli (ormai già bello che deciso in barba a noi poveri fessi), è stato riconfermato in modo chiaro, nonostante speranze iniziali di rivolgimenti con questo nuovo presidente d'oltreoceano, speranze puntualmente andate in fumo. Mentre qualcuno s'illude che l'America cessi di contare e le frecciate della Merkel sull'europa che deve fare da sé significhino qualcosa di diverso da “l'Europa dev'essere comandata dalla germania”, il quadro che se ne ricava è ben diverso, e cioè che l'europa comandata dalla germania è ancora peggio di quella guidata dall'america che, almeno, è una superpotenza, e le alzate di testa della cancelliera non serviranno certo a depotenziare gli Usa sul piano internazionale. Il fatto è che Trump, da buon magnate, vuole incamerare i vantaggi e non le perdite, e dunque i gravi problemi del vecchio continente non li sbroglierà certo lui, e li lascerà tutti a frau Merkel che sarà capace solo di peggiorarli, com'è avvenuto per la povera Grecia.
Morale della favola: l'europa da sola non combinerà un bel nulla perché non esiste altro che sulla carta, è una creatura artificiale e artificiosa che persiste nei suoi errori, sorda ai reclami dei rispettivi popoli i quali rivogliono i propri paesi com'erano prima dell'invasione e tanto meno vogliono i comuni centri sovranazionali che fanno comodo a Berlino; intanto gongolano i Sauditi, nel cui paese vige il reato di stregoneria, alleati in pole position degli americani, cui fa da ostacolo solo l'Iran e quel che resta della Siria di Assad, apparsi in forma smagliante felici e contenti, stracarichi di armi e di soldi con cui potrebbero mantenere mezza Africa, usciti dalla visita di Trump più ringalluzziti di prima, mentre il nuovo Medio Evo oscurantista avanza nel cuore di un continente rimbecillito che a suo tempo inventò gli aerei, il cinema, gli antibiotici, il telescopio, il telefono, il computer, l'automobile, il treno, ma a cui oggi ben si attaglia il celebre detto italico “chi è causa del suo mal pianga se stesso.” E dal G7 di Taormina s'è subito capito che le cose rimarranno tal quali e anzi andranno di male in peggio: gli immigrati (pardon migranti) continueranno a sbarcare a frotte, pasciuti e coi telefonini in mano, curati, assistiti e incarcerati a spese nostre, nonché beneficati della cittadinanza per la gioia e gloria dei caduti del Piave e di Vittorio Veneto, di cui peraltro un esercito di cornacchie pacifiste aveva già decretato l'inutilità e cancellato la festa nazionale che li celebrava; i sospetti di estremismo islamico e addirittura gli espulsi continueranno a girellare indisturbati, i terroristi a colpire, le aziende a chiudere, i poveri a moltiplicarsi, la sovranità nazionale a decrescere, la televisione ad ammansire le folle, la sicurezza dei cittadini a fare acqua da tutte le parti, i prodotti del made in Italy, soprattutto in campo agroalimentare, ad essere seriamente danneggiati da trattati come il CETA, che avvantaggiano smaccatamente le multinazionali d'oltreoceano, dove peraltro i controlli sanitari sono piuttosto larghi e si usano pesticidi proibiti qui in Italia.
A chi mi chiedesse come mai siamo finiti in questo modo -3000 anni di Storia d'Italia franati sull'orlo di un buco nero-, risponderei che quando si allentano e addirittura si tagliano o, peggio, rinnegano i legami col passato, quando non c'è più la trasmissione dei ricordi dai vecchi ai giovani, quando i vecchi non sanno più raccontare, tramandare e comunicare i grandi ideali a far da stimolo e sprone, incoraggiamento e sostegno alle nuove generazioni, quando non c'è più nulla di cui andare orgogliosi e fieri perché hanno fatto terra bruciata, quando difendere l'Italia diventa quasi una colpa (e diventerà un reato se andiamo avanti così), quando la Patria viene ridicolizzata e considerata un anacronismo perché bisogna guardare oltre (dove, all'europa della Merkel?), quello è il momento in cui il buco nero si avvicina per inghiottire con la sua forza attrattiva anche la luce. Allora non ricorderemo più, la nostra Storia sarà stata uccisa, rimodellata secondo i nuovi parametri stabiliti dai nuovi dispotici padroni di un'europa gradita solo a loro e alle pecore che li seguono. Ai nostri figli, nipoti e pronipoti è questo che li aspetta: il buco nero, il punto di non ritorno. Già si vedono chiaramente gli effetti di questo risucchio nel nulla: mentre prima c'era chi faceva argine e decisa opposizione alla denigrazione e banalizzazione della nostra Storia, alla messa in ridicolo perfino della Grande Guerra, in una parola ai tentativi di infangare e cancellare l'Italia, nonché di recarle danni economici, ora queste bertucce trovano sempre più spazio, sproloquiano indisturbate, hanno invaso ambiti politici che si credevano immuni, creando uno zibaldone confuso, un polverone di sciocchezze in cui sguazza una becera plebaglia invasata dal “cupio dissolvi” della nazione.
L'appena scorsa riunione in pompa magna del G7, nella splendida vetrina del golfo di Taormina, del Teatro Greco, degli storici hotel San Domenico e Timeo, e della famosa piazza Duomo di Catania, gestita dalla placida mansuetudine del presidente del Consiglio Gentiloni, non è stata, appunto, che una bella vetrina, del tutto avulsa dal popolo italiano che il governo dovrebbe rappresentare. Dietro di essa, si agitano le ombre di una nazione che non comunica più coi suoi governanti che cordialmente detesta, e vive rassegnata, fredda e distante, nelle sue ambasce e nei suoi problemi irrisolti. E' un popolo che ormai non ha quasi più reazioni, come fosse stato addormentato, perché sennò non gli si sarebbe potuta sbattere in faccia impunemente la marcia pro-migranti come uno schiaffo sulla ferita, né il presidente della regione Lombardia Maroni potrebbe indire, coi suoi comparucci veneti, un referendum sull'autonomia, intorno a cui la furbetta truppaglia leghista rompe le scatole da decenni. In questo caravanserraglio ognuno ormai può dire e fare ciò che vuole contro l'Italia, tanto l'apatia degli italiani col suo inconcludente silenzio pregno di rancore, non sfiora nemmeno i nostri governanti i quali, come già Maria Antonietta e Luigi XVI di Francia dentro le belle mura di Versailles, bellamente se ne infischiano del malcontento generale e stanno procedendo a lunghi passi alla firma di altri dannosi trattati, alla cessione di altra sovranità, alla legalizzazione di milioni di stranieri, incuranti del fatto che gli autori dei sanguinosi attentati spesso e volentieri avevano la cittadinanza del paese d'accoglienza.
In tutto questo, il Risorgimento doveva servire a tenere in mano la bussola, doveva svolgere il suo prezioso e insostituibile contributo storico al mantenimento dell'identità nazionale, doveva essere una bandiera perenne. Non è stato così, anzi gli hanno sputato addosso, inventando accuse inesistenti, il che non è avvenuto certo per caso. E se l'antirisorgimento apportatore di disgrazie rifulge anche dall'anacronistica smania di baciare la pantofola vaticana, che dovrebbe quantomeno seguire l'omaggio alle nostre istituzioni per quanto disastrate esse siano, ma che invece le precede o sostituisce addirittura, le scosse che si pensava Trump avrebbe assestato al nuovo ordine mondiale vanno relegate nel mondo dell'elettrotecnica, perché l'unica scossa che ha dato -perlomeno a noi- è stata quella d'ingiungere al nostro Governo di raddoppiare i contributi finanziari alla Nato, in quanto gli americani non vogliono pagare per la sicurezza degli altri. Il che sarebbe anche giusto se noi, a dir la verità, con 120 basi americane sul territorio (non ne bastavano una dozzina?) -e altre venti super segrete di cui non si conosce neanche l'ubicazione-, ci accolliamo un'enormità di spese all'anno che gravano sul già spremuto limone del contribuente italiano. Ma dovremo pagare e zitti: altro che l'europa farà da sé!...
Ma torniamo al Risorgimento, i cui protagonisti, se vedessero come siamo messi, farebbero finta di non conoscerci. Infatti, anche per chi pone l'accento sul presunto europeismo di Mazzini e Garibaldi, c'è da precisare, a scanso di equivoci, che quest'europa scombinata e combinaguai non ha assolutamente nulla a che vedere con quella vaticinata dai due grandi del nostro Risorgimento, che auspicavano un'Italia grande e forte, protagonista e artefice della politica internazionale, entro un'Europa collaborativa, custode delle identità nazionali, quelle sì una ricchezza e una risorsa da salvare, fatta di cultura, tradizioni, usanze, costumi, lingue, popoli. Mai, dico mai, Garibaldi e Mazzini avrebbero voluto un'europa come questa: anzi, non l'avrebbero immaginata neanche nei loro incubi. Chiaro dunque che l'attuale contesto ove, sotto il paravento dell'europa, si stanno annullando popoli e nazioni, abbia generato la paura del Risorgimento, gloria e vanto dell'Italia: una paura che si nutre di un'ignoranza enormemente lievitata negli ultimi tempi, in cui è da vedere addirittura un soprassalto d'invidia e disgusto per ciò che i nostri avi riuscirono a fare in confronto a noi che non riusciamo a combinare praticamente nulla, cresciuti come siamo nel senso di colpa antifascista pubblicizzato da De Gasperi che andò a chiedere scusa a destra e a manca per aver osato l'Italia dichiarar guerra a qualcuno e affondare un po' di navi e aerei altrui.
Così, le insultanti fanfaronaggini che assalgono puntualmente i protagonisti del Risorgimento, screditando chi lo studia da anni su migliaia di pagine di documenti e libri seri, provengono da persone di tutte le risme, tutti i credi e tutti i ceti che si stenta a credere possano esistere nel 3° millennio, eppure esistono, e mai come ora servono a chi sta portando avanti la cancellazione dell'identità nazionale per annegarla nell'europa. Serve questa massa teledipendente, sostanzialmente incolta anche se in possesso di ottimi titoli di studio, amante degli scoop giornalistici o semplicemente dell'aria che tira, permeata di disprezzo verso la Patria, di vanteria esterofila, mondialista, europeista, cristianista, di vaneggiamenti internazionalisti, secessionisti, nostalgici e rabbie personali, e che magari ha letto due o tre libretti di tono scandalistico su Garibaldi e l'impresa dei Mille, ha intravisto la fotografia dell'eroe dei due mondi in veste massonica additata da tutti come uno scandalo, e dunque pretende d'aver capito tutto e possedere le prove inconfutabili che il Risorgimento fu generato da una perfida Massoneria internazionale che in realtà non esisteva affatto. Insomma una babilonia di cialtroni che pretende pontificare di Storia, e, se continua così, domani pontificherà anche di Scienza, magari negando che viviamo in un universo di galassie, e accusando gli astronomi di essere una congrega di visionari nemici della religione e della tradizione.
Mi è capitato perfino di leggere la tesi di qualcuno che fa risalire nientemeno al 1789 (l'inizio della rivoluzione francese, per chi non lo sapesse) il principio di tutti i nostri guai. Per fortuna non si tratta di un medico sennò, a fronte di una simile diagnosi, ci sarebbe da segnalarlo all'ordine. Poiché un ordine degli storici purtroppo non esiste, bisogna subire gli strafalcioni di questi personaggi nostalgici del Medio Evo e del rococò, della Santa Alleanza e della manomorta, i quali sognano restaurazioni di mondi incantati che il Risorgimento e, prima ancora, l'Illuminismo, la rivoluzione francese e Napoleone (tre fenomeni collegati tra loro ma molto diversi l'uno dall'altro e in molti casi opposti) avrebbero brutalmente travolto, in tal travolgimento individuando i germi causali delle nostre attuali disgrazie sociali e politiche, che rappresentano casomai la negazione dell'Illuminismo e il processo all'inverso di ciò che il papa chiamava sprezzantemente “modernismo”, e che sono la negazione esatta del Risorgimento. Non contenti, mentre rimpiangono Franz Josef e il duca di Modena, Ferdinando II e il papa Re, si guardano bene dal raccontare le meravigliose dolcezze dell'ancien regime, dove, tra l'altro, potevi essere arrestato e torturato per un semplice sospetto, e le denunce e segnalazioni anonime erano la regola. Un mondo meraviglioso, dove il giovane Luigi Carlo Farini venne trascinato per i capelli in galera e rovinata tutta la sua famiglia per aver gridato all'università “viva l'Italia!”.
Non vi è dunque da meravigliarsi se l'Italia si volse alla monarchia Sabauda quando questa, unica fra tutte, dismise l'assolutismo, concesse la Costituzione e la mantenne, osò sfidare l'Austria, osò sfidare la Chiesa, buttando all'aria tutto un bagaglio d'insopportabile vecchiume: dalla ghettizzazione degli ebrei al monopolio del clero nell'istruzione dei giovani, dall'invasione di ordini e conventi di tutte le fogge e dimensioni che inflazionavano la penisola, all'endemica assenza dello Stato inteso nel senso moderno del termine, cioè nell'unico senso possibile in cui si possa parlare di Stato. Non è un caso che le forze che vogliono abbattere lo Stato sono le forze anti-risorgimentali; e poco importa che alcuni tirino fuori il Tricolore quando fa comodo per addolcire la pillola, o rispolverino Mazzini e Garibaldi per darsi le credenziali che non hanno o per senso di colpa o chissà quali altre ragioni. Il Risorgimento va dimostrato coi fatti, e chi ha ridotto lo Stato a un pallido simulacro destinato a sparire nella completa soggiacenza all'Europa, è un nemico giurato del Risorgimento.
Contro il quale la cricca dei guastatori e sabotatori d'avanspettacolo ha da sventolare una mezza dozzina di ritornelli che ripete ossessivamente, e contro i quali l'illuministica ragione non ha possibilità di competere, trattandosi di tesi emotivo-irrazionali che non trovano riscontro né nei documenti nè nei fatti, e tantomeno nella logica, ma interessano la psicologia. Una di queste, la più sterile e ricorrente, è la teoria del “complotto massonico” da cui sarebbe stata originata l'Unità d'Italia: uno spauracchio agitato da menti infantili che credono di orientarsi nella scura foresta della Storia servendosi della guida maldestra di qualche libretto che semina il panico contro il lupo cattivo rappresentato dalle società segrete in generale di cui straripava il secolo XIX° e dalla Massoneria in particolare, risalente al secolo precedente. Il fatto che qualche centinaio di massoni o ex massoni sparsi per l'Italia e scollegati tra loro prese parte al Risorgimento, significa per loro che fu una perfida Massoneria nascosta a originare il Risorgimento e non che codeste persone, in via individuale, parteciparono al Risorgimento per i fatti propri, indipendentemente dall'essere massoni e anzi spesso uscendo dalla Massoneria la cui natura e struttura risultava incompatibile con il Risorgimento. Uno dei principi cardine di questa era infatti che le questioni politiche dovevano esser tenute rigorosamente fuori dalla vita di loggia che è vita eminentemente speculativa, e dunque rientravano nella sfera della libertà individuale di ciascuno. Ci furono massoni che parteciparono al Risorgimento, e massoni che non vi parteciparono e lo guardarono anzi con sospetto o sussiego. Nè ciò desta meraviglia, in quanto la Massoneria cosiddetta “moderna” nacque e prosperò durante l'ancien regime, di cui rispecchia molti aspetti (anzitutto l'esasperante formalismo e la deferenza verso l'autorità costituita), tant'è che vi si affiliarono sovrani (lo stesso Luigi XVI di Francia), principi, uomini di Stato e funzionari della Polizia e della Magistratura, nonché rappresentanti della più alta cultura del tempo. Insomma, l'affiliazione massonica fu una vera e propria moda settecentesca coltivata nelle alte sfere della società, un segno di distinzione che attestava il rango altolocato dell'adepto, la sua levatura, la sua posizione nei ruoli del potere e “dell'intellighenzia”. Fu piuttosto la crescente diffidenza della Chiesa a creare problemi ai circoli massonici, ma non perchè miravano ad azioni sovversive della società, bensì per questioni eminentemente spirituali: nei “templi” massonici, infatti, si portavano avanti discorsi che di fatto competevano e concorrevano con la verità unica rivelata della religione ufficiale che non ammetteva contraddittori, e la Chiesa non tollerava concorrenti nè poteva ammettere associazioni ove s'inscenavano riti diversi da quelli suoi propri. Conseguentemente, non poteva lasciar passare “cammini interiori salvifici” differenti da quelli rigorosamente previsti da lei medesima. In tal modo il “Tempio” massonico diventava inevitabilmente un rivale della Chiesa, un suo nemico giurato, passibile dell'Inquisizione. Anche se non ne avevano l'intenzione, anche se si rifacevano a Dio e giuravano sulla Bibbia, una sorta di presunta laicità e di affrancamento individuale si poteva sospettare nelle riunioni dei framassoni, in verità impregnate di un formalismo esasperante, di discorsi ricercati, involuti e non di rado oziosi, e soverchiate da temibili gerarchie che di fatto impedivano qualunque esercizio di libertà da parte dei gradi inferiori, in pieno stile settecentesco. In questo senso, basata com'era sull'obbedienza e l'adesione cieca dell'adepto, la Massoneria, anche nelle sue architetture, scenografie e arredi raffinati, nelle sue vestizioni eleganti, nel suo frasario fine e nella gestualità sibillina e non di rado incomprensibile, atta a impressionare i neofiti creando tutto un clima suggestivo di solennità misteriosa e iniziatica, è stata lo specchio del suo tempo, e nessun tipo di rivolgimento politico e sociale -e tantomeno il liberalissimo, scamiciato, rivoluzionario, ardimentoso, giovanilista, combattivo e passionale Risorgimento italiano- potevano nascere da essa. Immaginare perciò la Massoneria settecentesca come una congrega che andava controcorrente per determinare i cambiamenti e rivolgimenti politici del mondo -la stessa Rivoluzione francese!- è del tutto anti-storico e campato per l'aria. Piuttosto è vero il contrario: e cioè che i rivolgimenti storici che in via spontanea si producevano e si producono nell'inquieta e imprevedibile società umana, furono inevitabilmente veicolati in ogni tempo all'interno della Massoneria dai più intelligenti e culturalmente più elevati dei suoi adepti. E dunque, sotto questo profilo, la Massoneria è stata una società permeabile al mondo di fuori, il quale ha inevitabilmente influito su di essa, rendendola quell'aggregazione cangiante e un po' camaleontica, oserei dire ondivaga e opportunistica, adattata e adattabile all'ambiente in cui si trovava e al potere di turno verso cui si è sempre allocata in posizione di contiguità. Per questo è più giusto parlare di Massonerie, al plurale, differentemente sparse nello spazio e nel tempo: perché, al di là di un generico richiamo alla Casa Madre inglese, ognuna fu espressione dell'ambiente in cui nacque, dei suoi fondatori e maestri, delle ambizioni e dei fini specifici che intese darsi in un dato momento storico.
Per quel che riguarda l'Italia, la frammentarietà e labilità particolare delle sue logge massoniche (alcune delle quali si facevano e disfacevano nel giro di poche settimane) rifletteva la divisione e instabilità della penisola: fino al 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, quando, per ovvie ragioni, si volle costituire una Massoneria nazionale permeata di ideali patriottico-risorgimentali e fedele a Casa Savoia, le logge massoniche erano composte da pochi adepti e caddero in disgrazia con la caduta di Napoleone, il quale, volendo fare dell'Italia uno stato subordinato alla Francia, aveva creato una fitta rete di logge totalmente acquiescienti alla sua politica imperialista, che si segnalarono per le lodi sperticate e le piaggerie rivolte a lui stesso, di cui si ritrova precisa eco nei documenti. Va da sé che questa situazione di precarietà e mutevolezza delle massonerie italiane non avrebbe consentito nessun tipo di pianificazione così ambiziosa e impegnativa come quella dell'unificazione nazionale e della lotta allo straniero (ivi inclusi i francesi), pretesa invece dagli improvvisati della Storia.
Per chiarificare ulteriormente questo tema, finito in mano a gente di passaggio, sono proprio le differenze sostanziali intercorrenti tra la Massoneria e la Carboneria, dalla quale ultima soltanto si sviluppò il nostro Risorgimento, a dimostrare che i massoni costituivano una cerchia aristocratica intellettuale piuttosto distaccata dalla società e dai suoi reali e prosaici problemi, sui quali si compiacevano di stendere una visione astratta e utopistica, basata su costruzioni teoriche e ottimistiche, tipiche della mentalità settecentesca, ancora legata alla tradizione monarchico-assolutista, alla rigida divisione delle classi sociali, all'ossequio della religione ufficiale. Niente di più lontano dalla Carboneria, dove l'umile conviveva con l'altolocato, dove non solo bisognava esser pronti alla morte per la Patria, ma anche a dare la morte ai nemici della Patria, traditori, invasori, tiranni e spie. Non a caso i “pugnali carbonari” sono ben in vista in alcuni musei del Risorgimento, e non erano certo dei soprammobili. Anzi, il pugnale era previsto anche per le donne carbonare, le cosiddette “giardiniere”, che lo nascondevano nel reggicalze. Quando, il 15 maggio 1822, lo studente universitario Mordini accoltellò a morte il capo della Polizia di Modena Giulio Besini, tristemente famoso per i suoi duri interrogatori e grande protetto del dispotico duca di Modena Francesco IV, realizzò un tipico atto carbonaro, distante anni luce dalla pacifica Massoneria che aborriva azioni del genere. Come s'è detto, però, la cedevolezza di quest'ultima agli influssi del contesto storico circostante fece sì che essa entrasse prima o poi in contatto con la Carboneria e dunque nel mirino della polizia, ma l'esistenza stessa della Carboneria sta a dimostrare che per unificare l'Italia e liberarla dallo straniero occorreva ben altro che le innocue e sparute riunioni massoniche intorno all'architetto dell'universo, un ben altro tipo di associazione clandestina enormemente più numerosa, attiva sul territorio, operativa, militante e armata, i cui proseliti venivano scelti e smistati in base alla loro capacità di azione, non alle costruzioni intellettuali. La Carboneria insegnò perciò agli Italiani l'azione e il sacrificio per la Patria, due cose sconosciute alla Massoneria, peraltro orientata all'universalismo, e dove, al contrario, gli adepti, proteggendosi a vicenda, tendevano non già ad affrontare i pericoli ma a garantirsi benefici, favori e conoscenze, a ritrovarsi in simposi, feste, teatri e salotti ove l'affiliazione massonica di Tizio e di Caio era di pubblico dominio: cosa impensabile nella Carboneria, i cui adepti erano vincolati al più rigido segreto e chiunque, anche il più insospettabile, poteva essere un carbonaro, dal notaio al farmacista sotto casa, dal prete al calzolaio all'angolo, il che dette un gran filo da torcere alle polizie degli Stati pre-unitari.
Al contrario della Massoneria che esorbitava in costruzioni teoretiche, la Carboneria fu carente in quest'ambito, intorno a cui hanno ragionato gli studiosi di varie epoche cercando enuclearne una visione chiara e concludendo che non l'aveva. In verità questa visione chiara doveva averla per forza sennò non si sarebbe propagata così estesamente su tutto il territorio italiano: viceversa, proprio il fatto che si sia diffusa ovunque -perfino nella lontana Dalmazia- fa concludere che solo un verbo e un messaggio ideale molto forte, univoco e chiaro, era in grado di valicare i polizieschi confini dei vari Stati italiani così arcignamente custoditi. E infatti questo messaggio c'era, ed era sorprendentemente semplice: l'unità e l'indipendenza della nazione, basata anzitutto sul sangue e sul suolo (concetti sconosciuti alla Massoneria), rispetto a cui tutto il resto (Costituzione, riforme varie, questione sociale, monarchia o repubblica) era collaterale.
Pur tuttavia, la complessità delle vicende storiche e, soprattutto, la difficoltà di agire contro nemici numerosi e potenti in un territorio vasto e diviso come l'Italia, finì per creare un insieme complicato di società segrete emule della Carboneria (gli Adelfi, i Sublimi Maestri Perfetti, i Raggi, etc.) che a volte ingenerarono confusione e dispersione, senza contare l'azione di spie e infiltrati delle varie monarchie, e soprattutto il tentativo dei francesi di appropriarsi della Carboneria italiana creando una “Carboneria affiliata a Parigi”, millantando poi le origini francesi della medesima. Sia che gli agenti francesi in Italia fossero al servizio della famiglia Bonaparte e mirassero a mettere sul trono d'Italia un Bonaparte, sia che fossero dei giacobini anti-bonapartisti (come il filofrancese ed ex partigiano di Robespierre Filippo Buonarroti) invasati di rivoluzione libertaria repubblicana, essi cercarono di piegare e distorcere il progetto carbonaro ad altri fini. Ma fortunatamente ciò non avvenne, perchè la Carboneria fu più forte di tutte le trame che le si affollarono intorno. Forti furono i suoi membri, votati alla morte e al martirio, e il cui sacrificio non fu vano. Essi innalzarono il vessillo più prezioso del Risorgimento -l'unità e l'indipendenza da ogni straniero- trasmettendolo alle nuove generazioni che, pur cresciute nella paura di ciò che vedevano (arresti, patiboli, retate, intimidazioni, violenze) seppero trasformare quella paura in coraggio e raccogliere il testimone da chi li aveva preceduti.
Oggi che ci sarebbe bisogno come non mai di far garrire al vento questa bandiera per riprendere ciò che è nostro, la nostra stessa dignità di nazione, ecco che i truffatori e i traditori sono all'attacco, fomentatori di caos, divisione e bizantinismi intellettuali, e addirittura hanno sputato su quella bandiera, coi fatti e con le parole.
Ad essi vada l'esecrazione degli antenati e la giusta punizione che meritano dalla Storia.

Maria Cipriano

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