Riccardo Maria degli Uberti
Nei primi
sette anni del mio soggiorno in Roma la
mia vita fu quella di tutti coloro i quali,
avendo scelto la «parte perdente» e
non volendo ammettere che
fosse, come taluni dicevano, la «parte
sbagliata», cercavano di rifarsi una vita
senza scendere a compromessi. Mentre i miei tentativi, in
un campo al quale non ero preparato,
ebbero un risultato disastroso, continuavo a seguire le vicende
politiche, con una particolare attenzione per gli
errori, le debolezze,
le defezioni di chi avevamo
creduto «dei nostri».
Rilevai così un
articolo del «Merlo giallo» nel quale Pound veniva accomunato, come «traditore
della Patria», a Tokyo Rose,
a Carlo Sforza e a «Lord How-How». Protestai con Alberto Giannini
in un animato colloquio nel quale la carica di simpatia e di indubbia onestà
dell'uomo mi disarmarono: ed egli pubblicò la mia rettifica sul
«Merlo Giallo» del 7 settembre 1946.
Non ho copia di quello scritto nel
mio archivio: ma ne rimane traccia negli atti del
processo che Pound subì a Washington,
fra le prove a discarico.
Così pure
di un articolo
in difesa
di Pound che
Giannino Marescalchi pubblicò sul
«Corriere della Liguria» nel
1956, ho traccia solo nella traduzione
che Pound ne pubblicò, in appendice alla sua versione delle Trachinie di Sofocle: debbo dire che questo accostamento a Sofocle del
sottoscritto ha provocato non poca ilarità fra i miei amici.
Nel dicembre 1953 era ripresa la mia
corrispondenza diretta con Pound, col quale fino allora avevo comunicato
attraverso la figlia Mary, sposata
al principe Boris de Rachewiltz, che abitava appunto
a Castel Fontana. Il 3 ottobre 1954, nel
ringraziarlo per l’aver citato mio Padre nei Cantos LXXVII
e LXXVIII, gli
raccontai della tomba di Lapo a Vicenza e della premonizione di mio padre. Mi
rispose preannunciando una ulteriore citazione,
che venne pubblicata nella Section
Rock Drill, dove mio Padre è ricordato due volte nel
Canto LXXXIX.
Infine nel LXXXXV
è riportata la storia della tomba di Lapo:
«And
over an arch in Vicenza, the stemma
the coat of arms, stone:“Lapo,
ghibelline exile”
who
knows but I also from some 'vento di siepe'
six centuries later, ‘degli Uberti’» .
In
questi versi, scritti nel Manicomio criminale, Pound
riportava le stesse parole del suo amico, e le commetteva ai secoli, come
monumentum aere perennius.
Ritrovai dunque Pound,
come ho detto, in Castel Fontana, dopo la sua liberazione. Era ancora il colosso d'un tempo, i capelli non più biondo ramati
ma grigi, un po' curve le spalle possenti.
Intorno a lui, nelle sale del castello
piene di libri, gli oggetti salvati dal mio studio
bombardato: le sculture di Gaudier-Brzeska,
una statuetta d'una donna con un
coniglio di marmo alabastrino, una tigre in rilievo su una scheggia di marmo
pario, un cerbiatto accovacciato; e
c'era anche il clavicordium,
una
specie di spinetta che uno studioso
di strumenti antichi, il Dolmetsch, aveva espres-samente costruito per lui e
che era rimasto nella nostra casa di Roma.
Il poeta rimane al castello per tre anni, e
non so se i buoni villici di Tirolo – Dorf Tirol in tedesco – si siano
resi conto che l'ospite della Brunnenburg, quel signore anziano alto e
atletico che alle volte saliva fino al villaggio, fosse il più grande Poeta dei
suoi tempi. Si sarebbero certamente
indignati se avessero saputo che quel signore aveva scritto versi che
– forse sotto
l'influsso dell'atmosfera
antiaustriaca che aveva respirato a Venezia – bollavano a fuoco il loro caro
Kaiser Franz-Joseph, per noi Cecco Beppe l'Impiccatore:
«An because that son a bitch
Franz Joseph of
Austria...(Canto XVI)
«And the Fräulein Doktor nearly wept over the Tyrol
being incapable of seeing [...] the century-old joke on Italia.
[...] they could sentimentalize over that lousy old
bewhiskered
sonvabitch François Giuseppe, of whom
nothing good is
recorded...». (Canto XXXV)
«And a greasy bastard in Austria
by name François
Giuseppe... (Canto XXXVIII)
E potrei continuare: il
loro Imperatore, l'Imperatore della loro vana nostalgia, è
un son of a bitch, un lousy old sonvabitch, un
greasy bastard.
Son of a bitch – nella
grafia poundiana sonvabitch – signifi-
ca chiaramente ‘figlio di puttana’, lousy significa ‘pidocchioso’, non
occorre tradurre bastard;
in quanto alle lacrime sparse sul
Tirolo da Fräulein Doktor,
si intende che essa era «incapace
di vedere il giogo secolare sull'Italia».
Dove joke, ‘giogo’, presenta
un gioco di parole con joke ‘scherzo’, uno scherzo volto a danno di chi
lo aveva fatto.
Fu dunque a Castel
Fontana che vidi Pound per l'ultima volta,
se ben ricordo nel '61. Un
anno più tardi Pound lasciò l'Alto Adige,
dividendosi come un tempo fra
Rapallo e Venezia, e da allora non mi fu più possibile incontrarlo; per ragioni di lavoro
e di famiglia non mi era possibile muovermi da Firenze.
Così non lo vidi
mai vecchio, come lo raffiguravano le numerose
fotografie che comparivano sulla stampa,
in occasione di festival, di
concerti, di incontri, tutte manifestazioni a me estranee. Egli
vi si recava, doverosamente invitato, anche
se spesso non capito, onorato ed ammirato.
Lo seguivo attraverso la corrispondenza con
la figlia Mary e col genero, Boris de Rachewiltz, insigne egittologo e
antropologo. Lo ritrovavo sfogliando le lettere scritte a mio Padre, ora conservato, con
il più breve carteggio con me, nella biblioteca dell'Università di Yale. Più tardi
le mie visite a Castel Fontana ripresero, ma di Pound vi ritrovavo soltanto il ricordo. Un
ricordo che si riallacciava alle visite a Rapallo, agli
incontri a Genova negli anni felici e più tardi,
a guerra iniziata, a Roma, quando
già presaghi dell'imminente fine di un'èra,
rimanevamo uniti nella nostra
coerente fedeltà.
Visitando ora il
castello, le sculture di Gaudier-Brzeska, e
il clavicordium, rimasto tanto tempo in casa mia,
mi parlano di lui. Lo
strumento ora tace, ma se ne accarezzo le colonnine a spirale, i tasti di
avorio ingialliti dai quali un tempo mi azzardavo a trarre qualche nota, mi
sembra di evocare un genio sulla lampada di Aladino. In
quelle sale Pound leggeva i Cantos ai nipotini, che
lo seguivano attenti sulla loro copia del volume.
Io ascoltavo la lettura, come un
tempo a Rapallo, in silenzio.
Questa è la visione che
evoco ogni volta che visito Castel Fontana,
e riporto con me. È
viva in me ora, mentre si celebra il centenario del Poeta.
Cento anni, e lo ricordo ancora nella sua robusta maturità. Centoquattro
ne avrebbe mio Padre che da quarant'anni ormai riposa «esule ghibellino in
Vicenza»; mia Madre invece era coetanea di Pound. E
come ricordo mio Padre ancora nel pieno vigore delle sue forze – quando lo
lasciai, e non quando fu stroncato dal fuoco dei barbari – così
sono lieto di non aver veduto Pound vecchio e malato, pur
nella maestà del silenzioso isolamento dei suoi ultimi anni.
D. Brullo
Genio: la capacità di vedere dieci cose dove l'uomo comune ne vede una e dove l'uomo di talento ne vede due o tre, più la fa-coltà di registrare questa percezione multipla nella materia
della sua arte.
E. P., Jefferson and/or Mussolini.
O Dio,
o Venere,
o Mercurio protettore dei ladri,
prestatemi una piccola tabaccheria
o avviatemi ad un qualsiasi mestiere
che non sia
quello maledetto dello scrittore
in cui bisogna sempre
strizzarsi il cervello.
E. P., The Lake Island. .
Postilla in memoria di Riccardo
Maria degli Uberti
RICCARDO
MARIA DEGLI UBERTI
nei
ricordi di un patriota dalmata
* Estratto da
«La Voce del Sud» (Lecce, sabato, 5
aprile 1986, n°
3) sotto il titolo: Quel
ragazzo mio compagno di giuochi,
quell’Uomo di sì nobili
sen-timenti. Autore: Eugenio
Dario Rustia-Traine (* Sebenico
1907 +
Trieste 1992: patriota,
Volontario di guerra, docente
universitario, scrittore,
musico e atleta).
Qualche
giorno prima dello scorso Natale, mentre rovistavo in una scatola di vecchie
fotografie, ricordo di tempi andati, mi
capitò fra le mani una piccola foto in bianco e nero, formato 6 x 6, con sul retro un'affrettata annotazione a matita: ‘Sebenico
1919’. Era del mio caro amico d'infanzia Dick (all'anagrafe: Riccardo
M. degli Uberti), compagno di giuochi, passatempi
e allegre chiassate, cui noi ragazzi di Sebenico, suoi
coetanei, partecipavamo nelle ore della giornata libere da impegni scolastici.
Sebenico (mia città natale) era
allora retta dall'Amministrazione Militare Italiana, in forza
delle clausole del Patto di Londra (26 aprile 1915),
in base alle quali circa la metà della Dalmazia e delle isole adiacenti sarebbe
dovuta essere assegnata all'Italia, a guerra finita.
Spalato era esclusa dal «Patto», come
pure il resto della Dalmazia meridionale e relative isole.
Gli italiani di Sebenico fraternizzavano con
le truppe di occupazione e in modo particolare noi ragazzi con i giovani figli degli ufficiali le cui famiglie
erano venute al loro seguito a Sebenico.
(Nel 1919,
nella cosiddetta Dalmazia del Patto
di Londra nessuno
dubitava che le clausole del «Patto» non
sarebbero state integralmente applicate a favore dell'Italia).
Governatore della Dalmazia e delle isole dalmate e curzolane
era l'Ammiraglio Enrico Millo, che aveva la propria sede a Zara. Il padre
di Dick, ufficiale superiore di marina, destinato al comando marines
[= fanti di marina, S. Marco –
n.d.c.] di Sebenico vi aveva fatto venire la consorte, donna
Corinna e il figlio Dick.
Conoscerci e diventare amici fu tutt'uno e la
nostra amicizia durò ininterrotta fino al 7 gennaio scorso, giorno in cui
purtroppo Dick morì.
Dopo la
guerra ci incontrammo a Firenze nel '74, dove mi ero recato per
partecipare alle onoranze a Niccolò Tommaseo (Sebenico 1802-Firenze 1874), nel
centenario della morte.
La nostra corrispondenza post-bellica aveva preso
l'avvio, però, fin dal maggio del '71. A ritrovarmi fu Lui. Rileggo con
commozione la lettera che mi scrisse, che conservo amorevolmente, e ne
trascrivo alcuni periodi, che valgono la pena di essere letti, perché danno
meglio di ogni altra descrizione l'idea della statura dell'Uomo e dei suoi
nobili sentimenti.
«Chiarissimo Professore, rilevo
il Suo nome dalla "Rivista Dalmatica" che per puro caso ho consultato
presso la Biblioteca Nazionale centrale.
Giunto ad un’età
nella quale si vive
principalmente di ricordi - anzi, dovrei dire, in cui nei ricordi del passato
si cerca di evadere dalla sgradevole realtà del presente – tutte le volte in
cui leggo il nome di un vecchio Amico, io cerco di riprendere il contatto
perduto: anche se questo è destinato, per forza di cose, a limitarsi ad uno
scambio di lettere 'una tantum' che pertanto mi basta per aggiornare i ricordi
lontani.
Premessa questa
spiegazione Le chiedo: è Lei forse
il
Dario
Rustia che ebbi il piacere di frequentare
a Sebenico nel 1919?
Se è Lei – ma in
tal caso la presente sarebbe da volgere
interamente al 'tu', e col 'tu' La prego di
rispondermi – mi dia Sue notizie. [ ... ]
Perché Lei possa identificarmi nei ricordi di quell'epoca Le dirò che, figlio d'un Ufficiale di Marina
ero un ragazzetto di 10 anni, piuttosto grasso e robusto, occhi
scuri, capelli a spazzola, vestito
quasi sempre alla marinara [ ... ],
Se Lei è
effettivamente il mio amico d'allora,
La ricordo su per giù mio coetaneo,
snello ed elegante, vestito per lo più di scuro (mi pare Lei fosse in lutto);
era bruno di capelli portati lisci e con scriminatura, occhi scuri, colorito
piuttosto pallido, era piuttosto riservato e fine, in contrasto
con la chiassosa sbracatezza dell'ottimo Tonio Marassovich». Quel
Dario Rustia ero effettivamente io e gli risposi subito dandogli ovviamente
del 'tu' e dicendomi meravigliato del fatto che a tanti anni di distanza egli
ricordasse con numerosi particolari di avvenimenti, figure, luoghi e
nomi di tempi così lontani dei quali nemmeno io serbavo memoria. La ripresa
della nostra corrispondenza data, dunque, dal 1971 e prosegue ininterrotta fino
alla sua morte che non lo cancella, però, dalla mia memoria [...].
Nel mese di settembre del 1985 aveva portato
a termine la sua ultima fatica letteraria: Ezra Pound: da Rapallo a Castel
Fontana. Me la mandò con una laconica dedica: «da
Dick, Settembre 85». Non gli risposi subito, per
una serie di circostanze dovute soprattutto alle mie non buone condizioni di
salute. Poi, improvvisamente, la
notizia della sua morte apparsa su «Voce del Sud» del 18
gennaio di quest'anno, che la pubblicò come cappello al suo ultimo pezzo
giornalistico: Ma la cometa mi ingannò [...]
Egli mi è sempre vicino e la sua 'passione dalmatica' (v. «Voce
del Sud» dd. 3-12-83) continua a tormentarmi come
tormentò in vita Lui, dalmata di elezione, forse più dalmata di tanti altri, che si
professano tali anche se non lo sono mai stati, nell'accezione
del termine che Dalmazia vuole significare.
«Ma la cometa mi
ingannò…»
L’ultimo scritto di R.M. degli Uberti
dettato alla consorte Leopoldina e pubblicato dalla «Voce del Sud…» (Lecce,
18.01.86).
Riferimenti bibliografici
Ubaldo degli
Uberti, Nei mari
dell'Estremo Oriente,
Milano 1933-XI; L'Ammiraglio
Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi,
Torino, 1935-XIII.
Giorgio M.
Sangiorgi, Zibaldone
di una battaglia.
Yvon de Bégnac,
Colpo di Stato,
Roma, 1960.
Inoltre,
nella Bibliografia generale (pg. 153 sgg.):
Chung Iung 1945 e Doob 1978.
Una delle ultime lettere del
Marchese Riccardo
M. degli Uberti a Ferruccio Bravi con notizie sul carteggio
fra Ezra Pound e il padre di Saturno Montanari poeta soldato, del quale il
letterato statunitense tradusse in inglese alcune apprezzate liriche. .
«Stia
14. III.85 / Caro dott. Bravi, / La principessa de Rachelwiltz [la figlia di
Ezra] mi scrive a proposito de “L’ultima ora”: / “Sì, l’ “Ultima ora” di Saturno
Montanari è pubblicata insieme con altre 4 sue poesie in Traslation di E,P.
(nuova edizione di Faber & Faber, London, uscita proprio in questi giorni).
S. Montanari era un giovanissimo poeta italiano caduto sul fronte nel 1941. Suo
padre mandò i suoi versi a mio padre, che ne tradusse subito alcuni. Il padre
di S.M. rimase in contatto ma ormai da molti anni non ho più sue notizie. Se
Bravi ne avesse, sarei contenta di sapere. Temo sia morto anche lui. Dovrebbe
avere parecchie lettere di mio Padre – ma qualche collezionista le avrà già
scovate… ». /Tanto le dovevo. Se ha qualche notizia, si metta in contatto
diretto, oppure scriva. P.ssa Mary de R., Brunnenburg [Castel
Fontana], 39019 Tirolo di Merano. Tel. 0473/93303.
/ Cordiali saluti / suo R.d.U.
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