DA RAPALLO
A CASTEL FONTANA
Edito
integralmente, col sottotitolo
‘Memorie Poundiane nel centenario della nascita del Poeta ’,
nella
collana « Nugellae » ( n. 8 ) del Centro di Studi Atesini ( Bolzano 1985 )
Esaurito in breve, è riprodotto ora in questa silloge.
di Riccardo Maria degli Uberti. Saggio parzialmente pubblicato in
« Italian Quarterly
» periodico della California University ( Riverside, 1972 ) e in « Voce del Sud » ( Lecce 1980-1981).
N.H.
DOTT. AVV. RICCARDO MARIA DEGLI UBERTI
*
Diano Marina (Im) 2 dicembre 1908
+
Stia (Ar) 9 gennaio 1986.
Il saggio che
segue è l'ultimo, compiuto, di Riccardo degli Uberti autore di opere di assai
maggiore impegno ed estensione.
Per
la Sua integrità morale e il fervido ingegno, il Marchese degli Uberti resterà
sempre vivo nel mio ricordo. L'animo fiero, la statura imponente e la rigida
coerenza Lo rendevano in tutto simile al magnifico Antenato, quel Farinata
inciso indelebile nella nostra immaginazione fin dai lontani anni del liceo.
Fu «Ghibellino
di parte italiana», come gli illustri ascendenti, dal capitano
di vascello sommergibilista Farinata Paolo Tolosetto (MOVM 1916) all'ammiraglio
Ubaldo – Suo Padre – ucciso nel tragico aprile 1945. Col
Padre aveva trascorso l'adolescenza,
seguendolo nelle basi della R. Marina
a Pola, Sebenico,
Bengasi, La Spezia, Livorno. Combattente nella seconda guerra mondiale in
Francia e poi a Leopoli dove conobbe Federico Gentile, figlio del Filosofo, al
quale restò legato da grande amicizia.
Nella
vita civile aveva intrapreso una brillante carriera all'Ansaldo di Genova; alla
ripresa, nel dopoguerra, passò all’Editrice Sansoni di Firenze dove per lunghi
anni mise a frutto la Sua vasta cultura.
Viveva nel Casentino «dove
– ci scrive la Consorte N. D.
Leopoldina – ogni cosa Gli piaceva, soprattutto
l'essere vicino alla piana di Campaldino» dove la sobria epigrafe della colonna
eretta nel sesto Centenario di Dante condanna l'odio di parte e la guerra
civile.
Coerente
alle Sue idee, mai volle accomodarsi ai tempi,
ne-anche quando la ristrettezza
poteva essere una scusante.
Stroncato da male inesorabile, Riccardo degli Uberti ha lavorato
intensamente fino all'ultimo giorno.
Lascia incompiuto un importante
saggio letterario sulla poesia giovanile di Ezra.
Bolzano, 23 marzo 1986
F.B.
Appena liberato, Ezra Pound ritornò in
Italia e raggiunse la figlia, Mary de Rachewiltz, a Castel Fontana.
Castel Fontana, Brunnenburg in
tedesco, è una rocca turrita che nel Medio Evo faceva parte della cinta
difensiva di Castel Tirolo; alla sua base ha pietre romane. Il
castello è come appeso all'aprico villaggio di Tirolo di Merano e si affaccia
sull'ampia valle nella quale si stende la città. Dalle finestre che danno a
mezzogiorno, lo sguardo scende a picco e dà un'impressione di vertigini, come
un precipizio: ma quello che si vede sotto il castello è soltanto un ripido
declivio coperto di vigneti ben ordinati, di coltivazioni rigogliose, di meli
digradanti verso l’alberata periferia di Merano. A ponente, invece, è un orrido
quello che separa Castel Fontana dalla mole imponente di Castel Tirolo un
profondo canalone selvaggio. In quel massiccio edificio, quasi una fortezza,
abitava ai suoi tempi la Maultasche,
la
«Brutta Duchessa», che
si suppone ritratta da Leonardo da Vinci nel disegno caricaturale, davvero
feroce, che fece di lei.
In questo quadro ritrovai Ezra
Pound che non vedevo
dal
maggio 1943, quando avevo lasciato
Roma per raggiungere un raggruppamento di artiglieria in Francia.
Fra
i
volumi della mia piccola biblioteca poundiana, uno
mi è particolarmente caro, ed è il Ciung Iung, secondo
dei libri confuciani, tradotto dal Pound in italiano col titolo L'Asse
che non vacilla. Questo opuscolo, di
48 pagine in sedicesimo, risulta finito di stampare il 1°febbraio 1945. Sulla risguardia ha una dedica autografa così concepita:
« Ub 2 da E. con
errori di stampa 31
marzo
XXIII ». Ub
2 era la sigla con la quale Pound designava
mio padre, Ubaldo degli Uberti: Ub
al quadrato.
Nel
corso
di una amicizia durata dieci anni Pound
aveva avuto occasione di inviare al suo amico molti libri, alcuni dei quali son poi finiti in mano ai ladri; questo, che
fu l'ultimo, oggi è diventato, nella edizione originale, una
rarità libraria, perché l'editore-stampatore, poco prima del
25 aprile 1945, distrusse tutta la tiratura, non ancora distribuita, per via di
quel titolo compromettente; senza preoccuparsi, come forse non se ne sarebbero
preoccupati i malintenzionati, di leggerne almeno le prime pagine, dalle quali
risultava chiaramente che si trattava non d’un libro di propaganda
nazifascista, ma d’un libro che Tsze Sse, nipote
di Confucio, aveva steso sulla base della tradizione orale
cinque secoli prima della nostra era.
È noto quali e quanti amici avesse avuto
Ezra Pound nell'ambiente artistico e letterario internazionale. Cito alla
rinfusa: Henri Gaudier Brzeska scultore
e scrittore; Whindham
Lewis, scrittore
e pittore; Leo Frobenius, etnologo; C.
H.
Douglas, economista; T. S. Eliot,
James Joice, W. B.
Yeats, scrittori e
poeti, ed altri, fino al più popolare Hemingway,
col quale si esercitava nel
pugilato; ma nessun uomo di mare all'infuori di mio Padre.
L'amicizia fra questi due uomini, così differenti per formazione e professione, era nata nel 1934.
Mio Padre, che aveva lasciato da poco la Marina da
guerra, si era ritirato a Diano Marina,
nella Ri-viera di
Ponente; ed
aveva incominciato un'attività letteraria e giornalistica, con
un volume sulla guerra Russo-Giapponese e una biografia del duca degli Abruzzi, collaborando
con diverse riviste e giornali su argomenti di storia e politica navale. Un suo
amico inglese, Beauchamp (pron. ’biciam’)
Domvile, già maggiore dei King's Fusiliers e più tar-di King's Messenger (corriere del
re), gli passava i quotidiani
inglesi cui era abbonato.
Su una copia della « Morning
Post »
del 20 marzo 1934 mio Padre lesse una lettera al direttore firmata Ezra Pound, nella quale fra l'altro
si leggeva: « Ogni volta che io tento un chiaro, sincero
re-soconto della natura costruttiva del Fascismo in Italia, mi
è estremamente difficile,
se non impossibile, arrivare fino a una rotativa ». Il nome di Pound era soltanto vagamente
noto a mio Padre,
le
cui
vaste
letture nel
campo delle letterature
anglofone vertevano, principalmente, sui
classici; ma l'Enciclopedia Britannica gli venne in
soccorso, tantoché in prima pagina del « Giornale di
Genova »
del 1° d’aprile 1934 comparve un suo articolo sotto il titolo (redazionale) «Menzogne
straniere smentite da uno straniero
». Nel corpo dell'articolo, che
citava diversi casi di ostilità dell'establishment
britannico verso l'Italia, veniva riportato
un lungo brano della lettera poundiana che, come scrisse più tardi mio Padre,
«
sarebbe stata simpatica
anche se scritta da un ignoto, e meritava di essere conosciuta da noi ».
«Due giorni dopo – scrisse poi mio Padre – ricevo una
lettera da Rapallo, proprio
di Ezra Pound [ ... ] da questa lettera è venuto
un incontro a Roma, seguito da un vivace scambio di
corrispondenza ».
Queste parole
sintetizzano un periodo che, ad un
osservatore odierno, potrebbe apparire di una
attività frenetica delle poste, oggi impensabile: a
quella di Pound del 2 aprile, ricevuta il 3, mio
padre risponde il 4 con una lettera che il Pound riceve il 5 rispondendo lo
stesso giorno; e il 7 parte da Diano Marina una cartolina
di mio Padre indirizzata a Pound presso un albergo di Roma; in essa mio Padre
preannuncia il suo arrivo nella Capitale il 12; il 12 o il 13 Pound e mio Padre si incontrano nell'ufficio di Francesco
Monotti alla Casa Madre dei Mutilati.
Non so da quanto tempo Pound conoscesse
Monotti; mio Padre aveva stretto amicizia con lui
quando, per
illustrare la sua biografia del Duca degli
Abruzzi, aveva scelto la fotografia di un busto del
Principe modellato dal cieco di guerra Filippo Bàusola.
La prima lettera
di Pound conteneva una serie di affermazioni che, per quel tempo, costituivano
un' analisi molto acuta e precoce dell'Italia e
del
Fascismo. « All'estero – scriveva – nessuno ha
sentito parlare
dell'ala sinistra del partito fascista […]
per dieci anni si è supposto che il Fascismo fosse reazione pagata dai
banchieri (Comité des Forges ecc.). Intendo
dire, REAZIONE e NIENTE d'altro
».
Più avanti
scrive: « Qui in Italia sembra difficile menzionare
le tre Italie, che sono:
1) il Duce e i tecnici che vivono nell'anno XII e
domani,
2)
... i cosiddetti letterati e artisti che abitano
in qualche parte del
1890,
3)
Gli Universitari che
sono ancora all'incirca nel 1873
».
E
conclude: «
IL PIÙ GRANDE pericolo è ora che il Fascismo scelga
alleati sbagliati [...] cioè
persone che di fascista non hanno che la camicia ». Si
riferiva a fascisti inglesi che Mosley accettava nel suo movimento senza la
necessaria selezione.
La risposta di mio Padre (4
aprile) contiene
innanzitutto una succinta nota
biografica, quindi una schietta professione di fede: « Io non sono un animale
politico. In memoria del mio omonimo fiorentino
io sono un uomo di parte [...] che
non discute mai gli
ordini che vengono dal capo che ha prescelto,
il Duce». Alla
professione di fede di mio Padre, semplice e pacata come si addiceva a un
soldato che, ligio ai regolamenti,
si era iscritto al Partito solo
dopo il congedo, segue quella di Pound: immediata,
non vi è stato tempo per una riflessione.
Pound risponde
il 5 aprile, scrive e imposta cioè lo stesso giorno in cui ha ricevuto la
lettera di mio Padre scritta e spedita, come ho già detto, il giorno 4 aprile.
È subito un
grido di esultanza. Lo trascrivo nell'originale inglese nel quale fa spicco
l'apostrofe in maiuscolo:
«My dear Ubaldo degli Uberti ANCH'IO! a man of part: in the sense, anyway, that I damn well
have to take sides.
And I bet on the Duce time back...» (eccetera).
È proprio
necessario tradurre l'intraducibile stile del Pound, nel
quale anche l'impaginazione delle righe e la scelta del carattere
dattiloscritto ha un suo valore?
«Anch'io uomo di
parte, nel senso,
comunque sia, che
debbo maledettamente prendere posizione.
E ho puntato sul Duce già molto
tempo addietro, senza aspettare che si vedesse da che parte il vento tirava...»
I due uomini si
erano subito intuiti, capiti.
Ma qui si inserisce la solita domanda, che
fanno i miseri, meschini professionisti della cultura, tanto dipendenti dal
«potere» (oggi, ovviamente, da quello orientato a sinistra, che
essi suppon-gono tenga i cordoni della borsa):
«Ma allora Pound era fascista?». Domanda
oziosa, alla quale basterebbe rispondere che allora
tutti lo erano.
Perché forse la
mia risposta non arriveranno a capirla. Il fatto è che Pound era di una statura
tale che nessuno poteva giungere a dargli una etichetta. Chi
abbia letto, meditato e capito gli scritti del Pound, se
si sarà accostato senza preconcetti, da sinistra o da destra, al pensiero del
Poeta, e ne avrà seguito l'evoluzione,
forse potrà rendersi conto che
Pound precede il Fascismo, che sempli-cemente è nato nella stessa atmosfera di
cui lo spirito di Pound si nutriva.
A mano a mano
che il Pound ha vissuto il Fascismo in Italia, ha scoperto le identità, ha
osservato un parallelismo spirituale fra il suo pensiero e certe tendenze, certi
indirizzi che erano nel Fascismo: ma non ne è stato plagiato. Le sue decisioni, per
le quali ha pagato, e duramente,
di persona, non gli sono mai state
imposte da nessuno. (Un giorno qualcuno, più
aperto e spassionato di me, potrà
trovare un parallelismo fra
l'evoluzione del pensiero di Giovanni Gentile e quella di Pound). Le ha scelte
liberamente, consapevolmente, mantenendo
intatto il suo spirito critico con un coraggio ignoto ai tanti osannanti di
allora, che oggi vantano resistenze occulte,
tanto occulte che nessuno se ne è
mai accorto.
Per rendersi
conto di ciò basterà, forse,
quando verrà pubblicato, la lettura
dell'epistolario fra due uomini tanto diversi nella formazione e negli
interessi rispettivi, ma tanto simili nella reciproca sincerità. Non
vi fu mai fra Pound e mio Padre la minima divergenza, perché in entrambi non vi
fu mai un dubbio sul loro dovere di Uomini.
Sapevano che, nei rispettivi campi, che
all'ultimo vennero quasi a identificarsi,
essi combattevano all'arma bianca.
E a viso aperto.
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