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sabato 16 gennaio 2016

CORSICA E ITALIA cap. I° - Luca Cancelliere

Dobbiamo esser sinceri: noi guardiamo alla Corsica come ad una figlia perduta. Alla stregua di Garibaldi, che seppur gravemente ammalato ed infermo, volle ammirare dalla finestra della sua stanza da letto le montagne dell'isola bella fino all'ultimo respiro. Ed ancora oggi a Caprera una statua dell'eroe rimira le Bocche di Bonifacio con aria sognante, a perenne ricordo delle speranze del generale: vedere tutte le terre italiane riunite sotto un'unica bandiera. Da Malta alla Vetta d'Italia, da Nizza alla Dalmazia. Quei sogni sembrano oggi così lontani ed inattuali, avvolti da un'aura malinconica. Di alcune terre sembra sia ormai impossibile rivendicare niente. Ma ciò non toglie che si possa ravvivare la memoria del passato e tessere nuovi legami culturali, soprattutto laddove è ancora vivo un richiamo alle comuni radici. E ciò vale in particolar modo per la Corsica.
Nessuno può negare che l'Italia e la vicina isola abbiano intrecciato più volte i loro percorsi lungo il tortuoso cammino della storia. Torna a ricordarcelo con questo bel articolo Luca Cancelliere, tracciando un profilo sintetico, ma dettagliato, del profondo legame che lega la penisola alla Corsica. Dalla preistoria all'epoca romana, attraverso il medioevo, per giungere al secolo dei lumi e al dirompente sorgere dei primi moti d'indipendenza nazionale in tutta Europa, seguitando lungo il secolo XX°, tra i progetti d'irredentismo filo-italiano e la nascita dei movimenti indipendentisti còrsi. Una lunga storia che si protrae da oltre tre millenni e che, tra alti e bassi, giunge fino a noi. Essendo stato scritto alcuni mesi fa, manca all'appello nell'articolo la notizia più importante degli ultimi per la Corsica. Il 13 dicembre 2015, dopo quarant'anni di lotte, tra attentati, bombe, militanti incarcerati e scontri intestini al movimento stesso, i partiti indipendentisti si sono coalizzati ed hanno vinto le elezioni regionali. Un risultato storico che ha mandato in tripudio tutta l'isola, tra caroselli festanti e canti di gioia. Pure noi non abbiamo potuto fare a meno di guardare con sincera soddisfazione a questo risultato elettorale. E' vero, non siamo mai stati teneri con le “piccole patrie” ed abbiamo scarsa simpatia per il fenomeno indipendentista in genere; ma riteniamo che la strenua lotta degli isolani abbia una profonda giustificazione: la Corsica non è Francia! I còrsi non sono francesi e parlano una lingua che è diretta discendente del nostro amato idioma. Questa vittoria può rappresentare un primo passo di riavvicinamento verso l'Italia. E' vero, i partiti indipendentisti al momento ci sono distanti e forse anche un po' ostili perché, oltre ad esser desiderosi di un'indipendenza tanto agognata, alcuni di loro ci vedono come possibili “dominatori” di domani. Pesa su questo giudizio l'occupazione dell'isola da parte italiana nel 1942, che molti còrsi d'oggi ci rinfacciano con una certa acredine, forse non del tutto giustificata come dimostra Cancelliere stesso nel suo articolo. Ma grazie all'opera emerita di alcuni associazioni, sono stati gettati i primi ponti di collegamento fra le due sponde. Uno su tutti, il giovane sito "Corsica Oggi", composto da còrsi ed italiani, di cui è necessario rimarcare una volta di più l'importanza dell'operato. In primis quello di far riscoprire in Corsica l'italiano, che fu la lingua colta parlata nell'isola fino alla metà del XIX° secolo – prima che i francesi ne vietassero l'utilizzo – e accanto a cui la parlata còrsa prosperava libera e feconda. In secondo luogo raccontare agli italiani la tormentata e complessa storia di questa antica isola e del suo fiero popolo. Obbiettivi di primaria importanza su entrambi i fronti. Perché se i còrsi vogliono che la vittoria di dicembre non sia un fuoco fatuo, dovranno riscoprire l'Italia e la sua lingua quali migliori alleate per la salvaguardia non solo del loro dialetto, ma della loro stessa identità. Mentre noi italiani, assuefatti da una globalizzazione sfrenata e sempre più sradicati e spenti, dobbiamo imparare dal mirabile esempio di dedizione alla causa e spirito di sacrificio dimostrato in questi lunghi anni dal popolo còrso. Nell'articolo di Cancelliere si cita un passo profetico di Pasquale Paoli, “u Babbu di à Patria”, dove affermava che dalle lotte dei còrsi sorgerà per l'Italia il sole della Libertà, quasi a prefigurare l'esplosione del Risorgimento nel secolo successivo. Forse sarò un ingenuo, ma mi auguro vivamente che anche stavolta la Corsica torni ad insegnarci la cosa più importante: senza sacrificio non si ottiene niente. E che questo sia un vivido monito per i giorni bui che si prefigurano di fronte a noi. Solo quando avremo imparato di nuovo a soffrire e a combattere per la Patria potremo tornare ad abbracciare il popolo còrso.


Sandro Righini




CORSICA E ITALIA” – Parte I – Corsica e Italia fino al 1729.

Sin dai tempi proto-storici la Corsica, quarta isola del Mediterraneo dopo Sicilia, Sardegna e Cipro con i suoi 8.680 kmq, fu legata da una parte alla penisola italiana, dall’altra alla vicina isola di Sardegna. La prima grande civiltà corsa fu quella megalitica, apparsa nel IV millennio a.C. e legata, secondo Giovanni Lilliu, alla coeva sarda “Cultura di Ozieri”.Durante l’Età del Bronzo si diffuse la c.d. “Civiltà Torreana”, dal nome delle costruzioni tronco-coniche (“Torri”) simili ai Nuraghi sardi. Anche in questo caso, il legame con la coeva civiltà sardo-nuragica è palese.  Abitata da popolazioni liguri sin dal II millennio a.C., la Corsica entrò nella sfera d’influenza etrusca dopo la battaglia di Aleria del 535 a.C. e fu poi occupata dai Romani durante la Prima Guerra Punica (264-241 a.C.). Da allora e per due millenni, fatta salva la breve parentesi dell’occupazione vandalica (65 anni)a cavallo tra V e VI secolo d.C., la Corsica fu ininterrottamente legata alla penisola italiana.Essa fece parte del Regno d’Italia medievale, governato dai Re longobardi fino al 774 e parte del Sacro Romano Impero poi. In quest fase, vi fu una forte presenza in Corsica delle famiglie nobiliari italiane degli Obertenghi, dei Pallavicino e dei Malaspina. Dopo l’anno Mille si impose in Corsica la potenza marinara della Repubblica di Pisa (1073-1284). Infine, dopo la famosa Battaglia della Meloria (1284), iniziò il lunghissimo dominio della Repubblica di Genova (1284-1768). Genova instaurò un’occupazione permanente solo a partire dal 1374, a seguito del venir meno delle pretese aragonesi originate dalla bolla d’investitura di Bonifacio VIII. Già in epoca romana, l’isola aveva subito una profonda romanizzazione, in ragione soprattutto della distribuzione di terre a favore di legionari romani provenienti dalle attuali Sicilia e Calabria e della deduzione delle due colonie di Mariana e Aleria. Ma soprattutto il periodo pisano fu determinante nella costruzione dell’identità corsa come la conosciamo oggi. Il volgare toscano si impose incontrastato nella toponomastica, nell’onomastica (ancora oggi i cognomi corsi sono prevalentemente di origine toscana), nel canto popolare e nell’uso ufficiale dell’italiano come lingua dell’amministrazione e della Chiesa. L’idioma corso formatosi nel Medio Evo fu definito da Niccolò Tommaseo “Lingua possente, e de’ più italiani dialetti d’Italia” e “Dialetto italiano più schietto e meno corrotto”. L’influsso pisano fu determinante anche in campo artistico e architettonico: il romanico pisano divenne lo stile architettonico tipico dell’isola. Dal XIII al XIX secolo, l’Ateneo di riferimento per i giovani Corsi che intendevano proseguire gli studi – anche dopo la conquista francese – fu l’Università di Pisa. Dal XIV secolo in poi, ebbe notevole importanza la “Guardia Corsa Papale”, un corpo militare pontificale composto da Corsi, poi sciolto nel 1662. Il governo dell’isola, a partire dalla fine del XV secolo, fu appaltato dalla Repubblica di Genova al “Banco di San Giorgio”, che sottomise la riottosa aristocrazia isolana e diede alla Corsica un assetto amministrativo definitivo con gli“Statuti civili e militari” del 1571, che affidavano l’isola al “Magistrato di Corsica” con sede a Genova e da un governatore residente coadiuvato dal “Consiglio dei dodici nobili”. I territori erano governati da luogotenenti e i villaggi da assemblee locali che nominavano i “padri del Comune”. Un ulteriore elemento che contribuì ad accentuare i legami tra Corsica e “terraferma” italiana fu il costante afflusso, durato per secoli fino all’inizio del Novecento, di immigrati dalla Toscana e soprattutto dalla Lunigiana e dalla Lucchesia. Ancora fino a pochi decenni fa, con il termine “Lucchesi” i Corsi erano soliti indicare nel loro complesso gli Italiani continentali. La costituzione, ad opera dei Genovesi, di nuove colonie di popolamento di immigrati liguri, come Bonifacio e Calvi, non pregiudicò la supremazia dell’influsso toscano sull’idioma corso. Di origine corsa è invece buona parte della popolazione della Sardegna settentrionale. La città di Sassari nel Medio Evo fu destinataria di flussi demografici corsi e toscani e l’idioma sassarese riflette la base corso-toscana (con apporti sardo-logudoresi e, in misura minore, liguri). Per quanto concerne la Gallura, è noto che dopo le guerre sardo-aragonesi del XIV e del XV secolo, quel territorio fu in buona parte ripopolato da Corsi, che vi impiantarono l’attuale idioma gallurese che può essere considerato una parlata a base corso-toscana affine al corso ultramontano. Molti Galluresi hanno poi compiuto in senso inverso il percorso dei loro antenati, emigrando in Corsica dalla Sardegna. Questo era il quadro linguistico, culturale e politico dell’isola alla vigilia della Rivoluzione Corsa del 1729.
  

CORSICA E ITALIA” – Parte II – La Rivoluzione Corsa (1729-1769).

Il notabilato rurale corso, che aveva maturato nelle assemblee locali del periodo genovese una non trascurabile esperienza politica e che costituiva un ceto dotato di una propria orgogliosa autocoscienza,fu il protagonista della lunga Rivoluzione Corsa, scoppiata nel 1729. La storiografia non è solita ricordare questo importante evento storico, che pure costituisce la prima delle “rivoluzioni borghesi” settecentesche e che è direttamente debitrice, se non addirittura anticipatrice, della cultura illuminista e riformatrice dell’epoca. L’insurrezione armata contro i Genovesi scaturì nel 1735 nella dichiarazione costituzionale di Corte, con la quale si proclamò l’indipendenza del “Regno di Corsica”. In questofoto lapide Corsica per libro su Nizza frangente la Corsica si dotò del suo attuale inno “Dio ti salvi Regina” scritto in lingua italiana dal pugliese Francesco De Geronimo. Successivamente all’intervento francese, richiesto dalla Repubblica di Genova che non era in grado di sedare la rivolta, e all’assassinio del capo insurrezionale Gian Piero Gaffori (1753), la Rivoluzione Corsa trovò un nuovo capo, Pasquale Paoli (1725-1807), nobile corso formatosi nell’ambiente illuminista napoletano di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri, che nel 1755 fu proclamato “Generale della Nazione Corsa” e promulgò la “Costituzione di Corsica”, scritta in lingua italiana. Il carattere italiano della Corsica era per Pasquale Paoli fuori discussione: “Siamo Italiani per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni (…). E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio (…). Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né “ribelli” e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani (….). O non saremo nulla (…) O vinceremo con l’onore o moriremo con le armi in mano (…). La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l’Italia il sole della libertà”.L’importanza che Pasquale Paoli annetteva al legame tra Italia e Corsica è rimarcata anche dal suo testamento del 1804: “Lascio cinquante lire sterline annue per il mantenimento di un abile maestro, che nel paese di Morosaglia, luogo di mezzo della pieve del Rostino, insegni a ben leggere e scrivere l’italiano, secondo il più approvato stile normale, e l’aritmetica alli giovinetti di detta pieve, ed agli altri che vorranno profittare di tale stabilimento (…). Avendo desiderato che fosse dal governo riaperta una scuola pubblica in Corte, luogo di mezzo per la maggior parte della popolazione dell’isola, lascio ducento lire sterline annue per il salario di quattro professori, il primo perché insegni la teologia naturale e i principj di evidenza naturale della divinità della religione cristiana; il secondo la etica e ii dritto delle genti; il terzo i principj della filosofia naturale, ed il quarto, gli elementi della matematica. E desidero che agli alunni l’insegnamento dovrà farsi in italiano, lingua materna de’ miei nazionali. (…) In caso poi che questa scuola in Corte non potesse aver luogo, fermo nel proposito di contribuire all’istruzione de’ miei nazionali, lascio ducentocinquante lire sterline annue per il mantenimento di cinque alunni in alcuna delle migliori università del continente italiano. Due dovranno essere scelti nel dipartimento del Golo, due in quello del Liamone (…), il quinto sarà della pieve di Rostino”.Pasquale Paoli, dopo varie vicissitudini che lo videro anche protagonista delle vicende rivoluzionarie del 1789, morì in  esilio a Londra nel 1807 e fu sepolto nell’Abbazia di Westminster. Quando nel 1889 i suoi resti furono portati nella tomba di famiglia a Stretta di Morosaglia, la lapide fu scritta in italiano. Ma torniamo alle vicende della Rivoluzione Corsa anteriori al 1769. In un primo momento, la fortuna delle armi e la volontà di indipendenza del popolo corso riuscirono ad avere la meglio sulla potenza militare francese. I Francesi ebbero in quella guerra più caduti che nella guerra d’Algeria. Tuttavia, dopo alcuni anni durante i quali Pasquale Paoli si era dedicato con successo e sagacia a gettare le fondamenta amministrative e militari della Corsica indipendente, la cessione dell’isola da Genova alla Francia avvenuta con il Trattato di Versailles del 1768 mise in difficoltà i Corsi, che furono definitivamente sconfitti dai Francesi nella celebre e sfortunata battaglia di Ponte Nuovo del 7 maggio 1769.


CORSICA E ITALIA” – Parte III – La Corsica sotto l’occupazione francese (1769-1918).

Dopo la brevissima esperienza del c.d. “Regno anglo-corso” del 1794-1796, che darà un’altra Costituzione della Corsica, anche questa volta scritta in lingua italiana, l’Ottocento vide la definitiva scomparsa delle tradizionali istituzioni assembleari dei villaggi corsi e un sempre maggiore accentramento in capo al governo di Parigi delle funzioni amministrative, esercitate tramite i due Prefetti dipartimentali dell’isola. La “guerra del Fiumorbo” del 1815-1816 fu l’ultima grande fiammata insurrezionale corsa. Durante l’Ottocento, in virtù di un decreto del 10 marzo 1805 che derogava per l’isola all’uso obbligatorio del francese, l’Italiano era ancora la lingua ufficiale dell’amministrazione, della Chiesa e della cultura. L’uso puro della lingua italiana era tipico degli esponenti del notabilato corso che “parlanu in crusca”, mentre il popolo parlava il vernacolo corso. Il primo significativo brano in idioma corso apparve all’interno dell’opera in lingua italiana “Dionomachia” del 1817, scritta dal magistrato Salvatore Viale: “O Spechiu d’e zitelle di la pieve/O La miò chiara stella matuttina/Più bianca di lubrocciu e di la neve/Più rossa d’una rosa damaschina/Più aspra d’a cipolla, e d’u stuppone/Più dura d’una teppa, e d’un pentone…”. L’autore così rivendicò l’appartenenza Corsica_ponte_genovese_tavignano_Altianidell’idioma corso alla lingua italiana: “Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l’italiana. La fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d’essere e di sentire: cose tutte nelle quali l’uomo corso essenzialmente differisce da quello del continente francese e soprattutto dal prototipo dell’uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi stessi principi; e la lingua corsa è pure italiana; ed anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d’Italia”. Mazzini, che nel ’31 vi giungeva da Marsiglia, così descrisse il suo arrivo in Corsica:“là mi sentii nuovamente, con la gioia di chi rimpatria, in terra italiana… Da Bastia ed Ajaccio in fuori, dove l’impiegatume era di chi lo pagava, ogni uomo si diceva d’Italia, seguiva con palpito i moti del centro e anelava a ricongiungersi alla Gran Madre”. Il 18 febbraio 1831, a testimonianza della concorde reputazione della Corsica come terra italiana, nell’ambiente rivoluzionario parigino il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi inserirono nell’accordo tra rivoluzionari italiani e francesi lo scambio tra Corsica e Savoia. Molti Corsi parteciparono al Risorgimento Italiano, come Leonetto Cipriani, che partecipò alla Prima Guerra d’Indipendenza del 1848-1849 e alla Spedizione dei Mille del 1860. La lingua italiana cominciò a essere vietata a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione di Parigi del 4 agosto 1859 che ribadì – dopo che già dal 1852 era stato stabilito che si dovessero redigere esclusivamente in lingua francese tutti gli atti dello stato civile – che la sola lingua ufficiale in Corsica era la lingua francese. Si temeva infatti, all’indomani della Seconda guerra d’Indipendenza italiana, che il neonato Regno d’Italia potesse avanzare rivendicazioni sulla Corsica. Nel 1870, peraltro, diversi esponenti politici italiani suggerirono a Vittorio Emanuele II, che non accolse il suggerimento, di approfittare della sconfitta francese a Sedan, oltre che per annettere Roma, anche per recuperare la Corsica. Nel marzo 1871, il giovane deputato radicale Georges Clemenceau propose all’Assemblea nazionale di prendere in considerazione la cessione dell’isola di Corsica all’Italia. Questa proposta si giustificava alla luce del sostegno che la Corsica, e particolarmente Ajaccio, avevano dato alla persona dell’Imperatore, e al conseguente ondata discriminatoria contro i Corsi che seguì alla proclamazione della Terza Repubblica Francese. Il 19 maggio 1882, pochi giorni prima della sua morte, Garibaldi affermò che“La Corsica e Nizza non debbono appartenere alla Francia; e verrà un giorno in cui l’Italia, conscia del suo valore, reclamerà a ponente e a levante le sue province, che vergognosamente languono sotto la dominazione straniera.” In quegli anni Emmanuel Aréne di Ajaccio, repubblicano moderato, impose i metodi clientelari e corruttivi della sua “consorteria” nella vita politica e sociale della Corsica. La Francia, con la sua politica doganale isolazionistica e discriminatoria per l’isola (cui vennero applicati, fino al 1912, un dazio del 15% per le merci esportate verso la Francia, ma del 2% per quelle importate dalla Francia), recise gli storici legami economici tra la Corsica e la “terraferma” italiana, con grave danno per l’economia dell’isola. L’istituzione di numerose scuole elementari nell’isola e l’arruolamento di tanti giovani Corsi nelle Forze Armate Francesi durante la Prima Guerra Mondiale (con quasi 20.000 caduti), intanto, acceleravano la diffusione della francofonia nell’isola.


(segue...)

Luca Cancelliere

3 commenti:

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  2. Da quest'articolo si evince come Pasquale Paoli non si sentisse solo un eminente uomo di governo della Corsica, ma il suo essere politico andava al di là dei confini isolani e guardava l'Italia come a una patria più grande. Io mi auguro che i Corsi di oggi possano seguire e scoprire lo stesso itinerario politico e culturale.

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  3. Buonasera Sig. Gianfranco,
    è ciò che ci auguriamo noi stessi. E' necessario riprendere a guardarsi, ma con uno spirito nuovo. Abbiamo di che guadagnarne, in senso alto, su entrambi i fronti.

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