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venerdì 12 settembre 2014

La Dalmazia vista da un Dalmata II°


1.5

Alto medio evo
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L'alto medio evo, l'età delle invasioni barbariche, merita una pa­rola in più perché penso sia poco cono­sciuto. Parlo per me, naturalmente, che, al tempo di scuola, su questo pe­riodo non ho imparato niente. Lo si sorvolava e basta.
Per quanto ci riguarda, osserviamo che le città dell'entroterra, che non potevano essere difese o aiutate né da Costantino­poli né da Roma, furono spazzate come fu­scelli al vento.
Le città sulla costa, invece, trovarono in se stesse le forze per difendersi. Nona, Zara, Traù, Spalato, Budua e Ragusa rimasero inviolate. Forse quando i bar­bari tro­vavano l'osso troppo duro lascia­vano perdere e andavano avanti.
Rimane il fatto che una volta passata la bufera, le genti della campagna dal­mata che si erano rifugiate sulle isole di fronte alla costa – isole irraggiungibili per le orde barbaricheritornarono sulla loro terra, ritrovarono intatte le loro città, le loro tradizioni, la loro lingua, la loro fede ed anche il vecchio nome latino di Dalmazia. Il papa Giovanni IV zaratino, dunque Dalmata, spenderà somme considerevoli per riscattare i suoi concittadini Dalmati, o meglio “Romani” come lui li chia­mava, dalla cattività barba­rica. Così non solo le ferite che la Dalmazia deve alle invasioni barbariche si vengono sanando, ma, addirittura consapevoli della propria forza e fieri della loro capacità, i Dalmati escono a testa alta da questa du­rissima prova.

1.6
I barbari

Una breve doverosa nota per identificare i “Barbari”. Nelle nostre terre si parlerà di Avari. Genti bellicose e spietate che non lavorano e quando hanno finito di spogliare un popolo vanno avanti lasciando dietro di sé terra bruciata.
Al loro passaggio nella zona di Kiev, a nord del Mar Nero, gli Avari incon­trano una popolazione pacifica e molto numerosa: gli Slavi. Inevitabilmente gli Avari fanno un solo boccone dei pacifici Slavi che verranno costretti a marciare, davanti ai loro padroni, fornendo quella che oggi si chiamerebbe “carne da can­no-ne”. Questi schiavi costretti a combattere si chiame­ranno bifolchi; gli altri, aggregati alla mandria come schiavi...e basta, si chiameranno bislacchi. Le genti Slave arriveranno in questo modo nei Balcani, a quella terra che un giorno sarà la Jugoslavia: sotto la forma di bifolchi e bislacchi.
Forse le due più evidenti caratteristiche dello Slavo moderno sono da ricer­carsi proprio nelle sue travagliate origini. In­fatti, a momenti lo troviamo estrema­mente tranquillo, addirittura abulico e fatalista. In questi momenti forse ne riaffiora l'indole lontana, di quando era nelle sue terre di origine. A momenti in­vece esplode in atti di selvaggia ferocia, senza misura. Viene spontaneo allora immaginare in lui un rigurgito di dolore a ricordo dei tempi della crudelissima schiavitù che ha dovuto subire.

1.7

In attesa dei tempi nuovi

Per tor­nare alla Dalmazia, osserviamo che, una volta finite le invasioni barbariche, le no­stre città entrano con impeto nella tormentata storia medievale del nostro continente. Con­tese dapprima fra Impero Caro­lingio e Im­pero Bizantino, poi fra Ve­nezia e Unghe­ria, sono costrette anche a misurarsi con la pirateria slava e le in­cursioni turche.
Su queste genti ferrigne e combattive, adusate a difendere giorno dopo giorno con le armi in pugno le loro libertà, arrive­ranno infine i tempi nuovi.

1.8

I tempi nuovi

Con i tempi nuovi sorgeranno in Dalmazia le confraternite delle arti e mestieri. Confraternite nate intorno al 1300 che nel 1422 si erge­ranno a trattare da pari a pari con la no­biltà. Dunque: non spargimento di sangue fra un popolo bestia e una nobiltà indegna, ma un popolo libero e fiero che tratta da uomo a uomo con una nobiltà illuminata per il bene comune.
E dilagherà l'Umanesimo. Le scuole dalmate accoglieranno i migliori maestri pro­venienti da tutta Italia e in breve da quelle scuole usciranno umanisti, storici, scrittori e poeti. Due soli esempi:
L'epigrafia, già conosciuta come cu­riosità erudita, diventa scienza all'inizio del Quattrocento nel triangolo An­cona - Zara - Traù.
Il grandioso palazzo di Urbino sede dei Monte­feltro, che è stato definito “la prima dimora principesca rinascimentale”, è opera dell'architetto zaratino Luciano Laurana.
A questo punto l'identità culturale fra le due sponde del golfo Adriatico mi pare sia una affermazione che non ammette repliche. Al di là dello spartiacque delle Alpi Di­nariche esisteva veramente “un altro mondo”

..segue

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