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sabato 13 agosto 2016

In viaggio sulle tracce di Cesare Battisti - Gruppo di Studio AVSER / Intervista ad Eriprando della Torre di Valsassina

IN VIAGGIO SULLE TRACCE DI CESARE BATTISTI 

Un Eroe scomodo



Cesare Battisti in divisa da Alpino


Il Gruppo di Studio AVSER, con l'occasione del centenario del martirio di Cesare Battisti, si è recato in visita alla città di Trento per rendere omaggio alle spoglie dell'eroe Trentino. « A egregie cose il forte animo accendono/ L'urne de' forti, o Pindemonte; e bella/ E santa fanno al peregrin la terra/ Che le ricetta. » scriveva Foscolo in “Dei Sepolcri”. Ed è nostra stessa convinzione che la visita nei luoghi dove sono sepolti, hanno operato o subito il martirio i nostri padri della Patria, possano donarci molto più che la lettura di voluminosi testi. Mantenere saldo il legame coi nostri gloriosi predecessori e ravvivarne la memoria è oggi un atto di fondamentale valore, tanto più in quest'epoca di smarrimento generalizzato dove si sono persi anche i più elementari riferimenti. Perciò l'11 luglio, lontano dai clamori mondani, su un Doss Trento praticamente deserto, abbiamo posto un nostro omaggio floreale sotto l'urna dell'Eroe all'interno del mausoleo ivi eretto nel 1935. Deposizione tra l'altro avvenuta fortuitamente per merito del gentile custode che ci ha aperto i cancelli, altrimenti chiusi.


Il nostro omaggio floreale posto sotto l'urna dell'Eroe


Ma non meno importante è stato vedere di persona come la città stessa e le istituzioni locali e nazionali hanno commemorato la complessa figura di Battisti, politico, geografo, soldato e la sua drammatica morte nella giornata del 12 luglio. Tra gli eventi organizzati per l'occasione, quello di maggior rilievo è stato la mostra d'arte allestita presso il Castello del Buonconsiglio intitolata: “Tempi della storia, tempi dell'arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma”, inaugurata proprio nell'anniversario della sua esecuzione per mano austriaca unitamente al sotto tenete Fabio Filzi. Erano presenti autorità cittadine, militari e un gruppo di Alpini che, nella Fossa dei Martiri, dove fu anche fucilato poche settimane prima Damiano Chiesa, hanno reso omaggio ai loro valorosi commilitoni.
La partecipazione popolare all'iniziativa è stata scarsa e limitata ad un centinaio di persone, le quali, oltretutto, non sembravano cogliere appieno l'importanza di questa data, forse più attratti dalla mostra d'arte e dall'atmosfera mondana piuttosto che dal ricordo della persona, delle sue battaglie politiche, militari e della tragedia consumatasi cento anni prima in quel luogo.
Successivamente, mentre l'inaugurazione della mostra procedeva tra conferenze, fotografi e giornalisti, gli Alpini si recavano sul Doss Trento, presso il mausoleo, per rendere un ulteriore omaggio al Tenente Battisti che tanto amò quel corpo militare di cui vestì la divisa, definendolo in uno dei suoi ultimi scritti: “la sentinella avanzata della Patria”. Se non che la celebrazione si è svolta in un clima molto intimo e istituzionale, riservato alle sole autorità civili e militari, quasi di nascosto. Addirittura la strada di accesso al mausoleo era stata chiusa alle persone “che non erano alpini o autorità” e chi avesse voluto raggiungere il luogo della celebrazione avrebbe dovuto per forza fare l'irto percorso a piedi che fiancheggia la collina.
Tra le autorità, inoltre, era prevista la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lungi da noi esaltare la figura di questo Capo dello Stato, ma è pur sempre vero che la sua presenza avrebbe dato un rilievo nazionale alla ricorrenza, facendo magari balenare il nome di Cesare Battisti anche sui telegiornali più importanti e destando forse in qualcuno un briciolo di curiosità. Ciò non è però avvenuto e il Presidente si è limitato all'invio di uno scialbo discorso incentrato nella prima parte sul ricordo della morte, nella seconda sulla figura di Battisti quale sostenitore “dei diritti universali della persona e dei popoli”, concludendo con un accenno ad un suo presunto animo “europeista” ante-litteram, dichiarazione molto in voga al momento e di cui parleremo a breve. Certo è che in un'Italia più devota e riconoscente verso i propri eroi, Cesare Battisti sarebbe stato ricordato in tutt'altro modo: anche questo è un segno lampante dei tempi bui che stiamo vivendo.


Mausoleo Battisti sul Doss Trento


Tra le altre iniziative organizzate in quei giorni nella città di Trento, è da ricordare la mostra allestita dal SAT (Società deli Alpinisti Trendentini n.d.r.) presso i propri locali in via Manci ed intitolata “Cesare Battisti e la conoscenza del territorio”, composta da 16 pannelli espositivi tutti incentrati sulla sua attività di geografo, escursionista, speleologo e sciatore, nonché del suo rapporto con la SAT e con il CAI. Sono numerosi infatti in Italia i rifugi e i sentieri ad esso dedicati, e addirittura una cima montuosa, il Monte Corno Battisti, cima del massiccio del Pasubio, così ribattezzato dopo la fine della guerra poiché teatro della sanguinosa battaglia che culminò con la cattura dei due irredentisti Battisti e Filzi da parte austriaca il 10 luglio 1916.
Questo ciò che abbiamo potuto vedere di persona.
Per quel che concerne il risalto mediatico dato all'anniversario dalla stampa, abbiamo osservato che la maggior parte dei giornali locali e nazionali hanno pubblicato articoli a riguardo. Ma a seguito di una nostra ricerca in rete, a parte la curiosa eccezione de “La Repubblica” con un articolo a firma di Paolo Rumiz, e di alcune testate giornalistiche on line, abbiamo constatato la prevalenza, accanto al ricordo della feroce esecuzione di Battisti, di una rilettura distorta della sua ideologia politica. Infatti nella maggior parte degli articoli letti, ricalcando il discorso del Presidente della Repubblica, si è voluto spalmare addosso al socialista trentino la vernice ideologica dell'europeismo se non quando dell'internazionalismo, coll'intento di cercare in Battisti un ulteriore alleato postumo da utilizzare nella minuziosa e costante opera di logoramento delle identità nazionali attualmente in atto. Chiara la volontà di effettuare così l'elogio indiretto dell'attuale costruzione politica, o meglio economico-finanziaria, dell'Unione Europea, tanto cara ai nostri servili giornalisti e “politici”.
Riallacciandoci a quanto detto vale la pena soffermarsi anche sulla messa in onda di un documentario prodotto e trasmesso da Rai Storia intitolato "Cesare Battisti, l'ultima fotografia". Anche qui scaturisce talvolta una figura falsata di Battisti e un contesto storico piegato alle esigenze ideologiche odierne: in un filmato volto a ricordarne la complessa figura storica, nell'affrontare il problema dell'emigrazione italiana di inizio novecento verso l'Austria, con adamantina disinvoltura si è riusciti ad inserire nel cuore del documentario l'attuale problematica dei flussi migratori, trasformandola in una non tanto velata propaganda degli immigrati quali indispensabili risorse per l'economia nazionale. E spingendosi ancora oltre, designandoli come l'inevitabile destino della nostra società sempre più multietnica e liquida, culturalmente appiattita e priva di quell'identità che la contraddistingue dalle altre, dai confini labili, quasi inutili. Quei confini per cui Battisti percorse da nord a sud la penisola infuocando la folla con i suoi ruggenti comizi, dove tra un balenare di tricolori in festa si evocava la gloria di Roma antica contro le barbarie teutoniche e di cui nel documentario si fa misero cenno soltanto sul finire della pellicola. Quei confini che, insieme a migliaia di soldati italiani, fino all'ultimo rivendicò “dal Brennero al Quarnaro”, come scrisse nella sua ultima opera - “Gli Alpini” - lasciataci poco prima di morire. Ed è proprio in riferimento ai confini, che per l'ennesima volta si è cercato in modo subdolo di tirare in ballo il presunto Salornismo di Battisti. In primo luogo scordandosi di menzionare i numerosi passi dei suoi scritti in cui si dichiara esplicitamente il Brennero quale natural confine d'Italia e degli italiani. Secondariamente facendo finta di non riconoscere la perentoria opera di germanizzazione che l'Austria aveva perseguito nei secoli passati in Alto-Adige e Trentino. Operazione sempre più virulenta a partire dalla perdita del Lombardo-Veneto, dopo la III Guerra d'Indipendenza, e tesa a costituire un pericoloso cuneo dell'Impero rivolto verso la giovane e dinamica nazione italiana. Processo che ci si è ben guardati dall'evidenziare, facendo ricadere sul solito Mussolini e sul fascismo la colpa della forzata italianizzazione della regione alto-atesina, fatta passare nel documentario come zona da sempre tedescofona. Citando in maniera incompleta un passo di uno scritto politico in cui Battisti dichiara: “I tedeschi non hanno il diritto di opprimerci. Per crearsi questo diritto sapete cosa hanno pensato? Che noi siamo tutti tedeschi italianizzati e dobbiamo ritornare tedeschi.”, nel documentario si è presupposto che Mussolini si convinse della stessa cosa ed operò di conseguenza italianizzando i “sud-tirolesi”. Evitando però di citare il continuo del discorso, che recita così: “Noi, senza inventar frottole, potremmo davvero dimostrare che la lingua nostra si spingeva un tempo al di là di Bolzano, fino a Merano; eppure di fronte alla realtà del presente riterremmo stoltezza il vantar diritti su Merano e Bolzano.” Nonostante il passo citato sia del 1901, ancora nella fase autonomista e benché riferito ai confini amministrativi e non a quelli nazionali, ci mostra un Battisti consapevole che la lingua italiana si fosse estesa in passato ben oltre Salorno, essendo dunque per primo lui stesso convinto assertore dell'italianità storica di quei territori a nord della cittadina. Ed è inutile che si cerchi di far ricadere le colpe sul ventennio fascista, capro espiatorio di tutte le “scomodità storiche”, piegando ancora una volta Battisti al modello tanto in voga d'intellettuale “rispettoso di ogni minoranza etnica e linguistica”, citando le parole del documentario stesso. Si sa, oggi ricordare certe cose è scomodo, preferiamo far finta di niente oppure, peggio, forzare la storia adattandola alle convenienze di turno. Finisce così che Battisti diviene un eroe regionale, un moderato riformatore socialista dell'Austria felix, semplice fautore dell'autonomia del Trentino, confluito nelle file dell'irredentismo quasi per caso, se non a malincuore e di cui il fascismo fece uso e consumo a proprio piacimento, mentre soltanto oggi possiamo restituirlo alla storia nella sua sincera veste. Ripulito da ingombranti scorie nazionaliste, politicamente corretto, grigio personaggio storico a metà fra l'eroe e il traditore - perché si sa, la par condicio è sacra, almeno finché conviene loro – , ecco il verace volto di Battisti alla luce di questo XXI secolo! Il quale plaudirebbe a vedere le sue lunghe battaglie per un'università italiana, considerata da esso quale imprescindibile baluardo a difesa della propria cultura nazionale, vanificate dai giovani alto-atesini che, vittime del tanto sbandierato bilinguismo, sfociante spesse volte nel predominio del tedesco sull'italiano, preferiscono frequentare le facoltà di Innsbruck anziché quelle della vicina Trento. Ma ancora di più, sorriderebbe soddisfatto nel vedere come sotto lo sguardo severo e minaccioso del padre Dante, che vigila nella grande piazza a lui intitolata in Trento, le nuove “risorse economiche” di questa miseranda nazione proliferino indisturbate e solerti nel gravoso impegno dei loro “traffici alternativi”, tra il degrado e la voluta noncuranza.


Monito posto sotto la maestosa statua di Dante a Trento,
costantemente disatteso dagli abituali frequentatori della piazza


Il nostro tono polemico è d'obbligo, non ci sono scuse. Quello che dovrebbe essere un fulgido esempio di dedizione alla Patria, ma anche e soprattutto l'universale e sempiterno simbolo dell'uomo che fissa negli occhi la morte e non batte ciglio, è ridotto a secondario e prosaico personaggio. Non ci stiamo! E siamo qui a ribadire una volta di più la grandezza di Cesare Battisti. Grandezza dell'Uomo e grandezza dell'Eroe, che traspare in quelle vecchie foto in bianco e nero vestito da soldato o di fronte al patibolo, in quegli occhi corvini, in quel volto asciutto ed austero, dove rifulgono la fermezza e l'orgoglio di una Nazione e di un popolo che sperimentarono sulla propria pelle il valore del sacrificio. Uno sguardo che oggi ci sfida ad elaborare più alti pensieri, a non mollare la presa o come ci ha detto Eriprando della Torre, a credere che un altra Italia sia ancora possibile. Ed è proprio ad Eriprando, autore di un breve ma valido saggio su Cesare Battisti, edito dalle edizioni Phasar, che abbiamo voluto porre delle domande sull'Eroe trentino, al fine di ricollocarlo nella sua giusta dimensione storica. Di seguito l'interessante e corposa intervista, che speriamo tutti voi apprezzerete.

Gruppo di Studio AVSER

INTERVISTA 

ad Eriprando della Torre di Valsassina




1) In concomitanza con il centenario del martirio di Cesare Battisti, è stato pubblicato il suo libro sul patriota trentino. Cosa l'ha spinta a dare alle stampe questo scritto?

Mi ha spinto il desiderio di ricordare l’irredentista trentino attraverso, soprattutto, la lettura di parti di suoi scritti e discorsi, con i quali ho inteso in modo particolare confutare il suo presunto “Salornismo”..

2) Parliamo un attimo del contesto in cui si muove il protagonista del suo libro. Battisti nasce a Trento il 4 febbraio del 1875. Qual era la situazione politica, economica e sociale nel Trentino di fine '800?

A seguito della pace di Vienna del 1866, e la conseguente cessione all’Italia del Veneto e del Friuli, il Trentino rimase l’unico cuneo di penetrazione austro-ungarico all’interno della penisola italica e il solo baluardo contro un neonato Regno d’Italia alla ricerca di confini sicuri, all’interno del quale di lì a poco si sarebbe scatenata la tempesta irredentista rivendicante la frontiera al Brennero. L’Imperial Regio Governo trasformò il Trentino in una sorta di campo trincerato in cui l’area nazionale italiana era sempre più ostacolata, osteggiata e contrastata a favore di quella tedesca. In un Consiglio dei ministri del 12 novembre 1866, presieduto dallo stesso Francesco Giuseppe, furono adottate severe misure contro la presenza italiana in Trentino, Dalmazia e lungo il litorale adriatico. Da quel momento cominciò una forte opera tedeschizzatrice mirante anche a portare il cosiddetto confine linguistico alla stretta di Salorno, cercando inoltre di dimostrare la preminenza dei confini linguistici su quelli naturali. In effetti, però, lo scopo era quello di giustificare un eventuale futuro arroccamento, dovuto ad eventuali ulteriori perdite territoriali, presso quel confine naturale che è la stretta di Cadino nei pressi appunto di Salorno.
Al congresso di Berlino del 1878, con la richiesta italiana di Trento e di Trieste, Roma alzò per l’ultima volta la voce a favore dell’italianità del Trentino; l’Italia si stava ormai apprestando a stringere con Austria e Germania la Triplice alleanza che sarà sottoscritta il 20 maggio. Il due giugno 1882 muore Garibaldi e l’Italia, di lì a poco, rinuncia ufficialmente a ogni rivendicazione su Trento e Trieste. Così l’Austria può inasprire indisturbata la sua azione contro l’Italianità di Trieste, Trento e della parte italofona dell’Alto Adige.
I trentini, in particolar modo la gioventù colta, abbandonati da Roma cercarono di ottenere un’autonomia dal Tirolo e l’istituzione di una Università italiana. Con il 1904, e la demolizione, sia in senso figurato sia in senso proprio, della facoltà di giurisprudenza enipontina, le questioni autonomistica ed universitaria cadono in un accidioso letargo. Sulla scena politica agiscono un Partito Liberale in grave crisi e un Partito Clericale, un’accozzaglia affaristico religiosa non in grado di opporsi efficacemente alla tirannide asburgica e incapace di dare una risposta ai problemi concreti dei trentini. Ai primi del Novecento sorse anche in Trentino il Partito Socialista, presentato dai suoi dirigenti come un movimento innovatore, che però riuscì a sfondare solamente tra la minoritaria classe operaia per le sue proposte di affrancamento dalle ingiustizie sociali.
Da un punto di vista socioeconomico, il Trentino stava uscendo da un periodo sfortunato. Il censimento del 1869 indica una popolazione di 340.000 abitanti, il 90% dei quali impiegati nell’agricoltura e sparsi su di un territorio di 635.653 ettari, il 33% del quale era improduttivo: rocce, laghi, paludi e stagni; il 46% coperto da boschi e solo il restante 21% coltivato a seminativi, vigneti, orti, vigneti, utilizzato a pascolo e prato.
La pellagra fino al Novecento era una malattia endemica. Tra il 1865 e il 1885 l’allevamento del bestiame aveva subito una forte crisi a causa delle malattie, delle inondazioni, del cambiamento delle barriere doganali e della crisi europea generalizzata. Per molti, l’unica soluzione fu l’emigrazione. Verso gli Imperi Centrali e, in maggior misura, verso il Nord America. Questo periodo viene ricordato come quello della “grande emigrazione”. Questa crisi durò circa fino alla prima guerra mondiale, nonostante un miglioramento in alcuni settori agricoli (viticultura e coltivazione delle foglie di gelso), anche grazie alle rimesse degli emigranti, e del turismo.


3) Come s'inserisce nel partito socialista Cesare Battisti e quali novità apporta?

Battisti è il primo segretario socialista del Trentino, dopo i tentativi di strutturazione del partito operato da alcuni operai e artigiani che conobbero le nuove idee rivoluzionarie mentre, emigranti, lavoravano in Francia o in Germania. Il Partito Socialista trentino nacque come costola italiana del Partito Sociale Democratico dell’Impero. Battisti stende il programma titolato: “Patria e Socialismo”. Per Battisti si devono onorare i propri eroi e rispettare quelli altrui. Inoltre, ritiene che i lavoratori italiani potranno essere gelosi della propria stirpe solo dopo aver avuto la possibilità di acquisire il patrimonio linguistico e letterario italiano e dopo aver preso coscienza della loro condizione sociale. Un Battisti, dunque, che osteggiava il nazionalismo borghese che, secondo lui, aveva il solo scopo di allontanare i lavoratori dal prendere di coscienza della loro condizione e di impedire loro il riscatto e l’emancipazione. In sostanza, il pensiero del Martire si poggiava su due pilastri: l’ideale della Giustizia Sociale e l’ideale della Patria. Cioè il suo era un Socialismo Nazionale. Il Partito Socialista di Battisti nasce autonomista e affermala sua piena solidarietà con tutti coloro che si fanno difensori degli interessi nazionali perché, come afferma, «all’opposizione recisa contro ogni violazione ad un sentimento innato, al rifiorire della cultura italiana nel nostro paese, alla maggiore partecipazione a tutto lo svolgersi della vita sociale, che specialmente per l’uomo del popolo è intimamente connessa con la chiara coscienza della propria lingua, dovrà seguire nella coscienza del popolo una stima maggiore di se stesso e una convinzione più esatta dei propri doveri, dei propri diritti. Con questo intendiamo di dire che noi non esitiamo a proclamare la santa lotta per la nostra nazionalità, ma non vogliamo che essa ci impedisca di combattere per più grandi ideali. Noi affermiamo il bisogno dell’autonomia del paese per impedire lo sperpero e la distruzione di tutte le nostre forze materiali e morali».
Battisti si rivolge quindi anche alla borghesia trentina per spingerla a combattere insieme per conquistare quei diritti civili e politici conculcati dalla monarchia asburgica. In primis l’autonomia, il suffragio universale e l’Università italiana. Per Battisti, dunque, il Partito Socialista deve combattere per eliminare tutti quegli ostacoli che impediscono la libera manifestazione del pensiero e dei mezzi necessari per poter diffondere tale manifestazione. Senza aver raggiunto prima ciò, è impossibile, in un regime poliziesco, che le masse operaie e lavoratrici in genere possano emanciparsi. La borghesia però non può seguirlo, soprattutto per quanto riguarda la battaglia per il suffragio universale, perché, se ottenuto, avrebbero perso quei privilegi che ancora possedeva.

4) Nel suo pensiero e nel suo operato politico, quanto ha influito la filosofia di Marx e quanto il repubblicanesimo risorgimentale di stampo mazziniano?

Battisti sicuramente non si rifà al pensiero marxiano quando rifiuta il concetto di lotta di classe. Anzi, il capo del socialismo trentino afferma senza mezzi termini che la sua azione vuole rappresentare la continuazione e l’espansione della politica rivoluzionaria dei vecchi liberali trentini, i cui principi sono stati traditi dall’attuale borghesia. Per Battisti era una pia illusione che il proletariato fosse in grado di guidare ed educare la borghesia. Inoltre, riteneva che in un territorio piccolo, povero e lacerato dal malgoverno, come quello in cui agiva, sarebbe stato impossibile conquistare anche il più piccolo risultato con le sole forze delle masse lavoratrici. Battisti si prefiggeva un programma, definibile interclassista, se per interclassismo s’intende l’appellarsi alle forze dinamiche delle varie categorie sociali in contrapposizione alle forze pigre e acquiescenti della maggioranza della popolazione. Un programma che era finalizzato a chiamare a raccolta le forze spirituali della gioventù studiosa, al prendere coscienza da parte della classe media dei propri doveri, in modo da risolvere preliminarmente la questione dell’autonomia e dell’Università. Soltanto una volta ottenuto ciò, ognuno avrebbe ripreso la sua strada. Per Battisti, come scrive Luigi Filippi, «Accapigliarsi in famiglia, sotto il ghigno beffardo della polizia austriaca, sarebbe stato lo spettacolo più stupido e più miserando». Sicuramente è in sintonia con Mazzini quando quest’ultimo afferma che «era necessario aver il popolo, suscitare le moltitudini, a farlo bisognava convincerlo che i moti si tentano per esso, per il suo meglio, per la sua prosperità materiale, perché i popoli ineducati non si muovono per nudi vocaboli, ma per una realtà». O che «le rivoluzioni hanno a esser fatte per il popolo e dal popolo, né, fintantoché le rivoluzioni saranno, come ai nostri giorni, retaggio e monopolio d’una sola classe sociale e si ridurranno alla sostituzione di un’aristocrazia a un’altra, avremo salute mai!». Per Mazzini bisogna dare al popolo la certezza che la rivoluzione si fa per il suo benessere, perché il contrasto non è tra classe e classe ma tra il popolo e il privilegio. Non basta, dice Mazzini, urlare il motto di Giulio II «fuori i barbari», per gettare il popolo contro lo straniero, perché per il popolo «il barbaro è l’esattore, è il doganiere che gli inceppa il traffico, il barbaro è l’uomo che vìola, insultando, la sua libertà individuale».
Battisti, inoltre, è vicino anche a Pisacane, quando l’eroe di Sapri afferma che le due rivoluzioni, quella sociale e quella relativa all’indipendenza e all’unità della Patria, non possono camminare separate, ma unite. Per Pisacane, la grande idea forza che avrebbe guidato le masse lavoratrici, e anche la borghesia che si sarebbe alleata con esse per i propri scopi, contro lo straniero, sarebbe stato il Socialismo. Ma la borghesia sarebbe poi stata sconfitta dalle stesse masse condotte dal Socialismo verso un nuovo patto sociale che le avrebbe viste sostituirsi alla stessa borghesia.

5) A Trento, nei primi del '900, uno dei compagni di lotte di Battisti e collaboratore presso il suo giornale fu Benito Mussolini. Quali furono i rapporti tra i due in quegli anni?

Benito Mussolini arrivò a Trento il 6 febbraio del 1909 e ne venne espulso il 26 settembre dello stesso anno. Nella città del Tridente assunse le funzioni di segretario della Camera del Lavoro e divenne redattore capo del settimanale “L’Avvenire del Lavoratore”. Il 2 agosto fu chiamato da Cesare Battisti quale redattore capo del suo quotidiano “Il Popolo”. A Trento, oltre che di Battisti e della moglie, il futuro Duce, è amico dell’avvocato Antonio Pischel e del deputato Augusto Avancini. Subì vari processi e sei condanne per reati di stampa, tranne quella subita assieme a Battisti, Avancini e al socialista Angelo Pedrini per avere organizzato una manifestazione di protesta sotto l’abitazione del viceprocuratore di Trento, Pio Tressadri, che aveva ripetutamente posto sotto sequestro vari numeri de “Il Popolo”. Dei suoi amici Mussolini dirà che: «Con Battisti vissi, specie durante l’ultimo periodo del mio soggiorno a Trento, in familiare dimestichezza; il Pischel mi fu, più che compagno, fratello, in particolar modo durante la prigione a Rovereto».
Da un punto di vista politico, il rapporto con Battisti non è tutto rose e fiori. Un punto d’attrito nasce quando, anni dopo, Mussolini affermerà che gli irredentisti Trentini sono, in pratica, una sparuta minoranza. Scrive il Figlio del fabbro che «gli irredentisti italiani sappiano che il Trentino è austriaco: austriaco dai montanari che inneggiano a Franz Joseph agli ignoti che pochi anni fa gettarono nell’Adige le corone votive deposte a piè del monumento a Dante, austriaco dal vescovo che vende terre e castelli ai pangermanisti, ai liberali nazionali che si “vergognano” di parlare italiano, agli operai che hanno ottenuto riforme sociali importantissime (cassa ammalati, suffragio universale, fra poco pensioni invalidi e vecchi) e sono tratti a vivere la vita austriaca. Ma basta di ciò. È un argomento troppo doloroso». Battisti, inoltre, critica in Mussolini la sua posizione neutralista espressa in un articolo sull’ “Avanti”. A tutto ciò il Martire risponde con una lettera pubblicata il 14 settembre del 1914, in cui tra l’altro afferma che «Certo nel Trentino non v’è un irredentismo che negli ultimi anni abbia pensato a congiure, forme ormai superate. Non c’era, né potea esserci finché si vedeva l’Italia legata alla Triplice, un irredentismo d’azione. Ma oggi dai campi insanguinati della Galizia e della Bosnia come dalle città e dalle valli e da ogni luogo ove siano trentini si guarda fremendo all’Italia. Un cuore italiano che vive nella fortezza di Franzensfeste, coperto della divisa austriaca, mi scrive oggi eludendo la rigida sorveglianza: “Il mezzogiorno non si muove? Venite!” Ora è il momento in cui l’irredentismo prende forma concreta ed ha ragione di essere. Ora c’è e mette in fuga tutte le paure, le prudenze, gli interessi dei tempi andati. E c’è non in questo o in quel partito. C’è nel cuore di tutto il popolo». E ancora: «Se così non fosse le stesse carceri austriache non ospiterebbero oggi, per la stessa colpa di amor patrio, e il redattore del giornale socialista Martino Zeni e il prete Mario Covi e l’organizzatore dei contadini Vero Sartorelli e non pochi liberali e nazionalisti. Se così non fosse, le città d’Italia, Milano prima fra tutto non ospiterebbero tanti profughi trentini, qui venuti sfidando infiniti pericoli. Vivono essi in trepida attesa ed in fervida fraternità; e son uomini delle più disparate classi sociali, avvocati, professori, contadini, operai, vecchi e giovani, ricchi e poveri, qui venuti nella speranza di tornare presto lassù con le armi in pugno. Per un tacito patto essi sono fino ad oggi vissuti oscuri, modesti, senza far parlare di sé. Io rompo oggi la consegna per gridar con loro la mia protesta, per dire ai fratelli d’Italia: Se l’Italia non può ricordarsi di noi, irredenti, sia. Se l’operare per la nostra redenzione dovesse recarle rovina, noi subiremo ancora il servaggio. Sia tutto questo! Dimenticateci, se volete, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa. È una bestemmia». C’è da dire, però, che Mussolini proclamava la neutralità soprattutto perché l’Italia non entrasse in guerra a fianco degli imperi centrali.

6) Dal progetto autonomista, all'interventismo deciso. Come maturarono e quali furono le cause scatenati di tale risoluta scelta?

Le istanze dei trentini, atte ad ottenere un’autonomia dal Tirolo che salvaguardasse la loro identità, furono sempre respinte dal Governo austro-ungarico. Più la richiesta autonomistica veniva rimandata al mittente e più in Cesare Battisti si rafforzava la convinzione che bisognasse andare oltre, che il Trentino dovesse essere annesso alla Madre Patria italiana. Anzi, nel pubblicare, nel 1915, sei suoi discorsi tenuti alla Camera di Vienna, Battisti premise che tale pubblicazione era nata per provare che non si era mai illuso di risolvere i problemi trentini rivolgendosi all’Austria e che aveva sempre pensato dell’inutilità di chiedere giustizia a Vienna, e che, quindi, l’unica soluzione fosse quella del ritorno del Trentino all’Italia.
Scoppiata la prima guerra mondiale, Battisti capì subito che l’Italia sarebbe dovuta intervenire per rendere sicuri i propri confini. Decise quindi di lasciare Trento per rivolgersi direttamente agli italiani e convincerli della necessità dell’intervento per distruggere l’Impero asburgico. Il delenda Austria era oramai il suo scopo e, già dal 1912 o 1913, si era messo a disposizione dello Stato Maggiore italiano per la stesura delle guide dei confini alpini del Bel Paese.

7) Si parla spesso di una strumentalizzazione da parte del fascismo dell'eroe trentino. La moglie stessa di Battisti si oppose all'idea di Mussolini d'intitolargli il Monumento alla Vittoria di Bolzano. Anche se la storia non si fa né con i se né con i ma, secondo Lei cosa avrebbe pensato Battisti del Fascismo?

Chiaramente non posso sapere cosa avrebbe pensato Battisti del Fascismo. Di certo si può affermare che, fino a quando Mussolini fu dirigente del Partito Socialista, il pensiero di Battisti fu più simile a quello che teorizzò poi il Fascismo, col suo tentativo di collaborazione tra le classi in nome dei superiori interessi nazionali, cioè il concetto mazziniano di popolo da sostituire a quello di classe, di quello più massimalista e classista di Mussolini. Ipotesi per ipotesi si potrebbe pensare che Mussolini sia stato condizionato dalla concezione di Battisti.

8) Una strumentalizzazione di diversa forma fu invece propugnata dagli austriaci, con un Battisti dipinto quale traditore. Purtroppo al giorno d'oggi sembra ritornare in auge questa versione. Lei che vive a Bolzano e conosce meglio di noi la realtà del Trentino Alto-Adige, ci racconti il clima che si respira in loco e come sia oggi vista e ricordata la figura di Cesare Battisti?

Diciamo che le autorità locali non si sono sperticate nelle celebrazioni del centesimo anniversario dell’assassinio del Martire. Da parte di molti dirigenti della SVP si dimostra un certo rispetto della figura di Battisti, anche in funzione strumentale perché lo indicano come fautore del “Salornismo”.


9) Vi sono molti documenti storici, scritti dallo stesso Battisti, e numerosi studiosi i quali indicano chiaramente che il confine dell'Italia e degli italiani arriva fino “alla grande catena alpina di Resia, al Brennero, a Toblacco”. Di contro ancor oggi vi sono accaniti sostenitori della teoria del “Salornismo” di Battisti, tra cui addirittura il nipote Marco, scaturita forse da volute “distorsioni storiche”, secondo cui il vero confine linguistico e amministrativo dell'Italia dovrebbe coincidere con l'attuale Alto Adige.
Secondo Lei quali sono i motivi per i quali si continua tutt'oggi a sostenere con forza questa tesi “storica”?

Nel mio breve saggio ho citato numerose dichiarazioni di Battisti che smentiscono categoricamente l’ipotesi “Salornista”. Tale tesi è sostenuta per motivi di convenienza politica, per avvalorare la tesi del confine linguistico di Salorno quale confine austriaco con l’Italia o confine di un eventuale statarello indipendente altoatesino. Non dimentichiamo che fino ad un paio di decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Austria cercò di annettersi l’Alto Adige, ma non poteva certo pretendere il confine a Borghetto. Quello di Salorno, la stretta di Cadino, è un confine naturale trasformato in linguistico a colpi di snazionalizzazione. È una posizione strumentale sostenere la supremazia dei confini linguistici su quelli naturali. Fino a quando non ha perso la grande guerra, l’Austria si è ben guardata da applicare tale principio e consegnare il Trentino all’Italia. Invece come abbiamo visto non concesse neppure l’autonomia.

10) Qual è secondo Lei il motivo per cui la vita, le imprese, le idee di personaggi così importanti per il nostro paese, come ad esempio Mazzini, Garibaldi, Sauro, Battisti ecc., vengono oggi così scarsamente ricordate dalle istituzioni pubbliche?

Perché questi personaggi parlano di un’Italia socialista, libera, forte e indipendente con una missione da compiere nel mondo. A seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale e dell’accettazione dell’ignominiosa resa incondizionata, l’Italia è diventata una Nazione a sovranità limitata governata da proconsoli imposti dai vincitori.

11) In conclusione, cosa possono insegnarci oggi la vita e le opere di Battisti? Cosa spera che susciti nei lettori la sua pubblicazione?


Battisti ci insegna che un’altra Italia è possibile, che una società più giusta è possibile e che unito il popolo italiano può riconquistare la propria dignità e sovranità.

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