Il 22 p.v. il nostro illustre amico Emilio Bianchi compirà i cento anni, tondi tondi.
Chi non ha letto il suo Diario di guerra e di prigionia, deve sapere che il capitano Bianchi è decorato di M.O. per aver fatto saltare con Durand de la Penne, nel porto di Alessandria, la “Valiant” che non era una navicella da poco, ma di stazza era la seconda unità navale al mondo (32.000 tonn. – la prima era la nostra “Littorio” di 35.000 tonn.).
Per il giorno 20 hanno invitato il co-autore del Diario, Bravi, a parlare del valoroso capitano e del libro con una chiacchierata celebrativa a cui assisteranno anche giornalisti dei quotidiani locali ("La Nazione" e "Il Tirreno").
Purtroppo Bravi è in partenza per Caracas e non potrà aderire all'invito. Pertanto ha redatto un testo utilizzabile dal relatore che lo sostituirà e dagli anzidetti quotidiani.
Quanto segue è ciò che verrà letto alla conferenza.
PAGINE
DI DIARIO
1940-1945
di
Emilio
Bianchi
con
note e parerghi di
Ferruccio
Bravi
_________________________________________________
- Presentazione del Diario di Bianchi
- Il Comandante
- Un ardito del Mare
- Gli Uomini-siluro
- Kshatriya d’ItaliaReferenze:Pezzini Editore, Arti Grafiche “Mario e Graziella Pezzini”, Viareggio, – p.e. www.pezzinieditore.itDott. F.Bravi, direttore del Gruppo di studio “Auser”, via Gramsci 115, 55049 Torre del Lago Puccini (Lu) – cell. 348.6001618 – p.e. silvalentauser@hotmail.itSegreteria del Gruppo di Studio “Auser” p. Sandro Righini, via Valenzana di Sotto, 89, 55050 Bozzano (Lu) – tel. 3475660359 – p.e. righini.sandro@gmail.com1..–..PRESENTAZIONE delle due prime edizioni del volume (relatore: il co-autore F. Bravi) in più sedi di associazioni combattentistiche e d’arma delle province di Bolzano e Trento negli anni 1996 e 2000. Il testo è tratto dalle rispettive registrazioni e aggiornato alla ristampa della terza (a. 2008) edita nel corrente anno 2012 dalla Pezzini di Viareggio.Presentare un libro è fuori moda. L’incalzare del progresso ha ricacciato in re-trovia le pagine stampate: la TV, la navigazione in rete, il DVD e altro ancora monopolizzano l’informazione e la gente comune non ama più la lettura. In un sonetto del poeta vernacolare Belli un forbito predicatore ammoniva i fedeli con la pia esortazione: “I libri non son roba da cristiani / figli, per carità, non li leggete!” Mai come oggidì fu osservato con altrettanto scrupolo questo precetto.Un libro che merita comunque d’essere letto è Pagine di diario 1940-1945 – Memorie di guerra e di prigionia di un operatore dei mezzi d’assalto. L’autore, ben noto soprattutto in Lucchesia, è Emilio Bianchi Medaglia d’Oro al Valor Militare, protagonista della leggendaria missione compiuta nel porto di Alessandria d’Egitto dagli uomini-siluro della Decima Mas nel corso del secondo conflitto mondiale. Per giudizio unanime quella missione fu la più fortunata: “In una sola notte il potere navale nel Levante Mediterraneo si capovolgeva in senso sfavorevole agli Alleati. Si dubita che mai, nella storia navale del mondo, sei soli uomini siano riusciti a determinare una distruzione così risolutiva”. Il testuale non è retorica patriottarda degli “anni ruggenti” ma equanime riconoscimento dell’avversario, espresso dall’ufficiale del Servizio Informazioni britannico Frank Goldsworthy.Il Diario di Bianchi è piano e scorrevole, si lascia leggere: in questo suo unico libro l’autore ha dato prova di talento narrativo. Il testo è tutto di sua penna e l’intervento del curatore dell’edizione, Ferruccio Bravi, non è andato oltre il cauto consiglio e qualche occasionale suggerimento d'ordine stilistico. Bravi, di suo, ha redatto il commento e l’apparato critico oltre che la composizione grafica, prestazione umile eppure gratificante. Dal reciproco aiuto, lui che in guerra non fu marinaio ma semplice fante, ha tratto profitto nella stesura del commento e delle note.Bianchi è uomo di mare venuto dal monte: tiene del macigno, è padrone di sé nelle situazioni difficili e di estremo rischio. A convalidare questo giudizio basti un solo particolare della sua avventura.Nella notte di Alessandria, fra le ostruzioni del porto, il suo mezzo d’assalto si blocca per un appiglio e l'esito dell'azione sembra compromesso. Ebbene, Bianchi non si sgomenta, non dispera, ha solo un moto di rabbia, si ribella alla prospettiva del fallimento a un passo dalla preda: raccoglie le sue forze e assesta l'energico scrollone che libera il mezzo. E quando, al termine dell'azione, si trova sotto le lame dei proiettori nemici che lo inquadrano, egli resta immoto sull'acqua per lunghi minuti a riflettere calmo “sul da farsi” benché nella situazione in cui si trova saranno comunque gli altri a decidere.Non meno degli altri incursori, Emilio Bianchi è un signore, nel senso tradizionale del termine. La severa scuola di Bocca di Serchio temprava il carattere non solo militarmente: da quella scuola uscivano non soltanto eroi, ma uomini versatili degni della Rinascenza, uomini superiori anche per virtù civili, come se li sognava il pensatore Nietzsche, nella sua lucida follia: impavidi innanzi al nemico, generosi verso gli altri, onesti con se stessi, cortesi sempre.Chi si è formato in quella scuola le ha tutte quelle grandi virtù e, in più, se non si è montata la testa, sa anche essere semplice e schietto, modesto d'una modestia spontanea che ti ridimensiona, che ti obbliga a darti una regolatina. La boria è caratteristica dei dappoco e la semplicità è dote dell'uomo che vale. Leonardo da Vinci soleva dire che “La spica vòta leva la testa al sole, la spica piena china la testa verso la terra sua madre”.Sappiamo che Leonardo, nostro sommo scienziato, intendeva il senso nobile della vita umana. Il suo Uomo Vitruviano, circoscritto nel cerchio e nel quadrante, è simbolicamente nudo, è spoglio delle vanità del mondo e dei bassi istinti. Oggi che l’istinto e la vanità hanno sommerso i grandi valori l’Artista traccerebbe il cerchio con minor raggio, circoscrivendo la bocca, il ventre e l’inguine. All’esterno del cerchio resterebbe tutto ciò che conta poco o nulla nell’attuale civiltà dei consumi: il sapere, il vedere, il moto degli arti (salvo il dito puntato sul prossimo o pigiato sui tasti del giocattolone chiamato ‘computer’). Ed è lì, fuori del cerchio che si risiedono e si riconoscono i valori epici degli assaltatori e la saggezza antica fondata sul “Cogito ergo sum”. Per la saggezza moderna vale il “Digito, ergo sum”.Tornando al tema la Medaglia d’Oro Bianchi fra i tanti pregi acquisì anche quello di narratore. L’amico Bravi ricorda che una quindicina d’anni fa gli disse quasi per gioco: “Dài, Emilio, butta in carta i tuoi ricordi di guerra e di prigionia”. Lui, restio, si schermiva. Forse il tono del discorso lo infastidiva. L’amico mise il be-molle in chiave e, con una punta di malizia, insistette:”Devi farlo: non per te, ma per gli altri. Le azioni di Gibilterra e di Alessandria sono nella Storia. Sono patrimonio morale del nostro popolo, apparten-gono alle generazioni venture. La nostra discendenza le deve conoscere, se non per altra ragione, per non doversi vergognare di tutto quel che è accaduto poi...». Il suo fu un discorsino suadente, e sotto sotto c'era un innocente ricatto. Emilio ci pensò alquanto, poi decise.Bisognava vederlo lavorare l'estate nella sua cantinetta, un cubattolo fresco e tranquillo dove si accedeva per una scaletta di ferro e dava proprio l'idea d'una cambusa: là sotto, seduto ad un piccolo tavolo fra le damigiane, riempiva tranquillo con la sua scrittura pulita, un po' spigolosa, dei grandi fogli quadrettati che poi passava a Bravi per le note e la composizione grafica. Non che lo scrivere fosse per lui un diversivo di tutto riposo e senza rinunce: anzi, aveva messo da parte qualche svago innocente, più d'una partita di bocce in pineta, dove si ritemprava negli afosi pomeriggi d‘estate.Il racconto di Emilio è una confessione limpida, senza vanagloria né vittimismo. Seguendolo passo passo anche l’amico acquisì la stoffa del narratore e non sfigurò nel Commento. Le sue cognizioni militari erano limitate a esperienze di guerra da fante affardellato, ma nella circostanza egli acquisì non soltanto il senso della misura e lo stile del narratore, ma anche una scorta di cognizioni marinare necessarie alla stesura del Commento e del corredo di note che andava digitando al “computer”.Si suol dire “Libri sua fata habent”: i libri hanno un loro destino, una loro sorte buona o cattiva. Il Diario di Bianchi ebbe un destino splendido: la prima edizione smaltita in un anno seguita da una ristampa e da una seconda edizione in breve tempo esaurite. Una terza edizione, ridotta, fu stampata a insaputa degli autori e dell’editore Pezzini di Viareggio da una editrice milanese e venduta on-line dalla Hoepli, una delle più prestigiose case librarie italiana.Sulla scia del successo del Diario Bravi ha pubblicato una rielaborazione ampliata e aggiornata del Commento, un volume alquanto smilzo di 150 pagine stampato dalla Tipografia editrice “La Reclame” di Trento. Vi sono esposte in generale le azioni dei mezzi d’assalto della Decima Mas. Oltre che di Emilio Bianchi vi si parla di Teseo Tesei ingegnere ufficiale del Genio Navale che progettò, costruì e pilotò il siluro a lenta corsa da lui chiamato “maiale” per la sua forma inelegante. E con quell’ordigno di micidiale potenza saltò in aria nella sfortunata e pur gloriosa incursione nel porto di Malta nel 1941. Accanto a lui si colloca la figura mistica di Salvatore Todaro, leggendario eroe del cielo e del mare. Invalido per un incidente di volo poteva ritirarsi a casa sua in pantofole e godersi una pensione privilegiata, ma lui la cosiddetta guerra “non sentita” la sentiva: passò ai sommergibili e mandò a picco in Atlantico 30.000 tonnellate di naviglio americano. Poi compì 13 missioni di guerra coi mezzi d’assalto nel Mar Nero e sul finire del ’42, rientrando da una missione contro gli invasori in Algeria fu ucciso da un mitragliamento aereo.Vi si parla ancora di tre Medaglie d’Oro istriane: Licio Visintini dilaniato nel porto di Gibilterra nel tentativo di assalire una corazzata inglese, e due compagni di Bianchi affondatori di una seconda corazzata inglese nel porto di Alessandria. Con loro sono ricordati altri dieci operatori di mezzi d’assalto dalmati e giuliani a difesa della Patria e in particolare delle loro terre insidiate dagli slavi. Uno di loro, Antonio Marceglia formulò una profezia purtroppo avverata: “Per noi giuliano-dalmati una guerra persa sarà sempre una guerra persa due volte”.Dal Comandante della Decima all’operatore più basso in grado – quale fu l’istriano Schergat – ciò che rende meravigliosa la tempra di questi eroi è soprattutto il loro stoicismo nel rassegnarsi alla morte o alla prigionia pur di infliggere all’avversario il massimo danno materiale. Esponevano la loro vita e risparmiavano la vita altrui: su una trentina di assaltatori decorati di Medaglia d’Oro più di un terzo si immolarono nell’azione, senza causare perdite umane in campo avversario, salvo due sentinelle inglesi (una a Malta, l’altra a Gibilterra) annegate per loro balordaggine.La guerra è deprecabile, d’accordo, anche quando è sacrosanta e quindi necessaria, secondo un equo giudizio di Tito Livio. Ma c’è modo e modo di guerreggiare. I Romani definivano lo scontro armato col termine BELLUM, da duellum, vale e dire scontro cavalleresco ad armi pari. Con le invasioni barbariche penetrò anche in Italia il termine germanico WERRA che significava “mischia disordinata”, sporca guerra con strage e saccheggio. Adesso la guerra è più sporca che mai: è aggressione a scopo di rapina (e non solo di petrolio), mena stermini orrendi, soggioga i popoli al sistema del vincitore, toglie loro l’indipendenza. Ed è regola che i sovrani o capi di governo sconfitti siano indiscriminatamente assassinati, anziché essere civilmente processati e condannati.Tornando al passato che, come ogni tempo, ha le sue ombre ma anche le sue luci, dobbiamo dare a ciascuno il suo: il comportamento civile oltre che eroico di Bianchi e degli altri uomini-siluro è edificante e, per contro, bisogna riconoscere che anche l’avversario in determinate circostanze dimostrò senso d’onore e sentimento di umanità, almeno nei confronti del nostri prigionieri. Dal racconto di Bianchi sappiamo che i detentori inglesi erano gentiluomini, rispettavano la dignità della persona umana, almeno quando l’internato meritava rispetto. Questo non alleviava tuttavia le sofferenze connesse alla condizione del prigioniero, privato della libertà che per l'Uomo degno di questo nome è un bene supremo. Nella memoria di Bianchi e in una cinquantina a dir poco di pubbli- cazioni in argomento, troviamo pagine e pagine stillanti dolore e nostalgia, pagine su pagine che vanno ad aggiungersi al gran libro dei sacrifici d'una guerra perduta.“Sacrifici inutili ” dicono e ripetono da stuccare coloro che in guerra non ci sono stati. Emilio Bianchi c'è stato e almeno lui, a buon diritto, avrebbe dovuto porre la domanda: “A che è valso il nostro sacrificio?” La risposta è nel testamento spirituale dell’eroe istriano Licio Visintini, l’uomo-siluro immolatosi a Gibilterra lottando e sfidando la morte che dà “alle nostre anime la pace eterna dopo una vita impiegata coscienziosamente al servizio della Patria”. Visintini morì giovane, Bianchi reduce di una impresa non meno rischiosa fu risparmiato e ora compie i cento anni. Nel sacrificio supremo servendo un ideale supremo l’eroe di Gibilterra sovrasta l’eroe di Alessandria ma non ne oscura la fama.Sacrificio è termine bandito dalla coscienza collettiva attuale. Eppure, nessun sacrificio è vano, neanche nel deserto che ci circonda. E il ricordo degli eroi che hanno immolato o rischiato la vita per servire un ideale è l’unico testimone che possiamo passare alle future generazioni.2..–..IL COMANDANTE – Nel volume Un po’ fuori del mondo e del tempo... di Ferruccio Bravi è tracciato – con dettagli ignorati o taciuti dall’informazione conformistica – il profilo biografico di una Medaglia d’Oro che alla nobiltà di sangue unisce una sublime nobiltà d’animo, un ardimento, una generosità, una rettitudine esemplari: il Principe Iunio Valerio Borghese, Comandante interinale e poi effettivo della Decima Flottiglia Mas. A bordo del leggendario sommergibile “Sciré”, fra innumerevoli insidie, accompagnava gli arditi del mare in vista degli obiettivi nei porti del Mediterraneo. Era oggetto di ammirazione degli stessi arditi del mare che ne apprezzavano il coraggio, l’intelligenza e la profonda umanità.È retaggio regale far bene ed essere vittima di cattiva fama: così fu per il Comandante esaltato a suo tempo e, per contro, emarginato ed infamato nel clima di guerra civile che dalla disfatta del 1945 divide gli animi degl’italiani. Calunnia e fango a non finire oltraggiano questa figura meravigliosa che, dal vertice all’ultima recluta della Decima Flottiglia Mas, aveva fatto di essa la punta di diamante delle nostre Forze Armate nella guerra sciaguratamente perduta. I calunniatori lo hanno chiamato “Principe Nero”, l’hanno marchiato di fascismo con implicita licenza di eliminarlo anche fisicamente, l’hanno incolpato di stragi inesistenti e incrimina-to come “golpista”. In un opuscolo a lui dedicato – Squarci di controstoria: il Principe Junio Valerio (Lucca, 2004) – il Bravi ha smentito i denigratori documentando la verità: il Comandante Borghese fu Italiano e basta. Italiano esattamente come me, nel mio piccolo, se è lecita una comparazione: Lui per nobiltà e ardimento, io per obbligo morale verso i miei antenati garibaldini e irredentisti trentini. Borghese fu semplicemente italiano, non fascista, né antifascista; e oppose la sua caparbia italianità ai nazisti che l’avversavano e meditavano, non meno dei terroristi partigiani, di assassinarlo all’americana.Diciamo pane al pane e vino al vino: il voltafaccia dell’8 settembre mutò un alleato antipatico e arrogante in nemico invasore dal nord e in “liberatore”un nemico invasore dal sud. L’ex alleato, che ci accusava di tradimento, tradì a sua volta gl’italiani che non avevano tradito e l’ex nemico alla resa dei conti ce la fece pagar cara privandoci dell’Indipendenza nazionale, conseguita con enormi sacrifici, e di estesi lembi di italianissime terre. Dopo l’infausto otto settembre ognuno di noi soldati dové fare una scelta comunque balorda. Quanto quella medievale imposta dal duca di Milano ai messi del Papa: o mangiare o bere, o ingollare la bolla di scomunica o morire affogati. Come poteva scegliere Borghese? Da nobile qual era non poteva mancare alla parola data all’alleato, ma nemmeno sottomettersi. Proseguì la guerra per conto suo come un capitano di ventura e ne pagò le conseguenze: fu esposto al fuoco dei tedeschi e dei partigiani e fu arrestato per ribellione alla Repubblica del Nord; all’opposto versante dell’Italia divisa l’eroico comandante Fecìa di Cossato, fedele alla Monarchia aveva scelto il Regno del Sud, ma non sopportando l’umiliante occupazione “alleata” e si tolse la vita.Quanto all’accusa di aver ordito un “golpe”, oltre che infondata, è tutta da ridere. Come ben sappiamo proprio allora la miserabile Prima repubblica era ormai così marcia che si disfece per implosione di lì a poco; e il Principe, morto in esilio, fu scagionato del tutto – come ben pochi sanno – da una tardiva sentenza d’una Cassazione non ancora allineata al Sistema. Assai prima di certa “giustizia” che marcia a tempi ora immediati ed ora esasperanti, che giudica e manda secondo il colore, il Comandante l’ho assolto io in chiusura d’un breve articolo in sua difesa, affermando che Egli era della stessa nobile razza di Gabriele D’Annunzio del quale seguia il motto “Ardisco, non ordisco”.Silvano Valenti3 - UN ARDITO DEL MARE
Settantadue
anni fa
–
il
10 giugno 1940
–
l'Italia
interveniva nel se-condo conflitto mondiale. Nell’anniversario di
questo evento de-terminante per le sorti della nostra Patria, il
Gruppo
di
Studio
‘Avser’
di Torre del Lago presenta la recente edizione d’un volume di
ampio consenso
(ben
tre edizioni e due ristampe) sulle epiche gesta degli operatori dei
mezzi d’assalto della Marina:
PAGINE
DI DIARIO
1940
-1945
MEMORIE
DI
GUERRA
E
DI PRIGIONIA
DI UN OPERATORE
DEI
MEZZI D'ASSALTO DELLA MARINA MILITARE
ITALIANA
Autore:
EMILIO
BIANCHI.
Commento e note di
Ferruccio
Bravi
L’autore,
Medaglia d’Oro al V.M., fu uno dei protagonisti del leggendario
attacco alla base di
Alessandria
che senza spargimento di sangue
inflisse alla flotta inglese gravissime perdite.
La
lezione del
passato,
si
voglia o no,
regola
il nostro divenire e giova a migliorare la nostra condotta di individui e di cittadini italiani.
Soprattutto
nelle
avverse
vicende
giova
mantenere
vivo
e
saldo
il
ricordo
di
quanti
con
l'esempio,
il
valore
e
il
sacrificio hanno tenuto alto
l’onore della nazione.
Termini
come
«ideale»
ed
«eroismo»
–
demagogicamente
emarginati
–
recuperano
il
significato
perduto
e infondono
coraggio in questi tempi così bui per l'Italia.
Sul
verso della pagina, per invito alla lettura, è riprodotto il testo
in apertura del Diario
di
Bianchi.
Dati bibliografici:
E.
Bianchi,
Pagine di diario 1940-1945, in
8°, pagine 336, prezzo di copertina euro
venti. Un ristretto numero di
copie è ceduto, ad esaurimento, al prezzo scontato di euro
quindici, inclusa spedizione.
Per informazioni contattare:
Sandro Righini –
Segretario del G.d.S.Auser
– Via Valenzana di Sotto, 89 55050
Bozzano (Lu) – tel,
3475660359 –
p.e. righini.sandro@gmail.com
. .
I
primi di giugno del lontano 1940 sono lucidamente impressi
nella mia memoria. A Bocca di Serchio, dove mi trovo da circa
un anno, il tempo è radioso. La stagione è splendida e mite
come di solito nel tratto di litorale fra Pisa e La Spezia
quando non piove, perchè se piove vien giù che Iddio la manda
e si dimentica di smettere. Qui, dove vivo tuttora con i miei
ricordi e ripasso le pagine del mio diario, la primavera non
conosce le mezze misure. E anche la gente è fatta così: ti è
amica o ti è nemica, è di poche parole o - più spesso - di
una loquacità che ti fa pensare a quando diluvia e l'acqua
tracima dai fossi.
Qui
si respira aria salubre, aria salmastra; e purtroppo anche aria
di guerra. Per intanto la guerra è ancora lontana, di là dalle
Alpi, oltre il Reno in terra di Francia. La gente ne parla come
fosse una cosa normale, senza toni drammatici. Un po' è la
primavera che infonde ottimismo, un po' è l'assuefazione.
Perchè questo strano conflitto non è “scoppiato”, come si
suol dire, ma è cominciato in sordina esattamente otto mesi fa
ed è proseguito in modo discontinuo; e la gente, sia che i
tedeschi avanzino a valanga con la loro guerra-lampo,
sia
che temporeggino fra pigre manovre e scaramucce, trova sempre delle buone ragioni per sperare in una
imminente
conclusione. I più pensano che la guerra ci risparmierà e se
al limite ne saremo coinvolti, per via dei patti che ci
impegnano
con la
Germania di Hitler, be', non sarà un'avventura lunga e tragica
co-me
la '15-'18. Così la pensano da queste parti. Non so se nelle
grandi
città sono altrettanto ottimisti: le mie sono impressioni
raccolte fra gente alla buona in un paese prossimo alla base
d’addestramento,
a Torre del Lago, dove ho una fidanzata giovane e attraente
per i suoi vent'anni e vari progetti in fresco per l'avvenire.
Ma
qui a Bocca di Serchio, dove sono mobilitato come sottufficiale
operatore nei Mezzi di assalto della Regia Marina, tira una aria
un po' diversa. Avvertiamo l'avvicinarsi dell'ora solenne,
anzi fatidica,
come si legge nei giornali. Sappiamo che la guerra "breve o
lunga che sia" non sarà una scampagnata, sarà una cosa
seria. Addestrati come siamo al limite della resistenza fisica e
setacciati a dovere da una severa selezione, siamo
disincantati, alieni da illusioni, sogni, o propositi
avventati.
Emilio
Bianchi
|
4
– GLI UOMINI SILURO
UN
PO’
FUORI
DEL MONDO E DEL TEMPO…
–
Rievocando
la splendida avventura di Emilio Bianchi e di altri arditi del mare.
Autore:
Ferruccio
Bravi
recensito
in:
Per i rapporti tra l’autore e gli operatori di Bocca di Serchio":
http://www.lacittadella-web.com/forum/view...?f=48&t=372
Ci
ha piacevolmente stupito questo volume….
… di
150 pagine, edito dal gruppo di studio
“Auser’”.
Si
tratta, infatti, di un aggiornamento con l’utilizzo dei commenti
di Ferruccio
Bravi
a corredo, come
recita l’introduzione, del volume Pagine
di Diario
1940-1945 - memorie di guerra e di prigionia
di un operatore dei mezzi d’assalto
che fu scritto dalla Medaglia
d’Oro al Valor Militare
Emilio
Bianchi,
uno degli eroi dell’assalto con i “maiali’”
alla
rada di Alessandria
d’Egitto nel dicembre 1941.
Il
Diario,
in
origine,
era
un testo di oltre 300 pagine che attraverso
la testimonianza di Bianchi,
marinaio classe 1912,
tracciava un po’ tutta l’epopea della specialità dell’assalto
subacqueo e di superficie della nostra marina, regia o repubblicana
che fosse.
Ora,
questo libro riprende il corso della narrazione, aggiungendo
commenti, storie di vita vissuta e
una serie di particolari estremamente interessanti;
il tutto sulla traccia originale.
Il
testo si divide in due parti: la prima di circa 70 pagine, e una
seconda in cui sono raccolte le note al testo assai dettagliate,
alcuni documenti storici come lettere e il famoso decalogo della Xa
MAS,
e una serie di utili schede di tutti gli operatori subacquei che, a
vario titolo, operarono tra le fila della R. Marina o della Xa
MAS
nella Seconda Guerra Mondiale.
La
lettura è estremamente godibile, la narrazione storica si intreccia
alla ridda di dettagli e particolari sulla vita degli operatori
d’assalto il cui nome sarà
destinato a divenire leggenda come Teseo
Tesei,
Vittorio
Moccagatta,
Luigi
Durand De La
Penne
e Salvatore Todaro , ai
cui nomi non a caso oggi
sono
dedicate intere classi di navi militari italiane,
subacquee e non.
Abbiamo
seguito perciò la narrazione agile e appassionante
e
che
come
un’ideale,
sottile
linea
rossa
di
crimeiana
memoria, ci ha condotti attraverso i difficili
mesi di guerra, ove, come qualche altro ha
ricordato,
100
uomini
fuori
dal
comune
si
batterono
valorosamente,
e
efficacemente,
contro
due
flotte.
La
seconda parte del testo riunisce come già detto una serie di
documenti,
comprese
le agili
schede
biografiche di coloro che nelle vicende dei nostri operatori
dell’assalto navale lasciarono un indelebile marchio, cui si
aggiungono inoltre schede di organigrammi, liste di navi affondate,
le medaglie al valore concesse, le fonti archivistiche, queste
ultime veramente notevoli.
Ciò
che preme sottolineare è come questo testo così
composto sia divenuto un vero e proprio manuale
delle vicende belliche della Xa MAS, riunendo elementi di cui
talvolta si sente la mancanza qualora si tenti di ricostruire,
magari con gli stessi protagonisti,
l’evolversi
degli
eventi
storici;
persnalmente
abbiamo avuto infatti modo,
nel
corso degli anni,
di
intervistare personaggi come Sergio
Denti
e Pasca
Piredda
che della Xa
MAS
e dei suoi uomini,
come
del loro comandante, ci narrarono episodi ed avventure.
Testimonianze
preziose, cui faceva però sempre da contraltare un lungo lavoro di
contestualizzazione storica e di esatto riferimento cronologico. Si
avverte quindi la necessità di testi come quello pubblicato dal
Gruppo “Auser”, che consigliamo caldamente a tutti coloro abbiamo
interesse nelle vicende militari dell’ultimo conflitto, o più in
generale in quelle della nostra Marina.
Inoltre,
il tono generale dello scritto, è bene sottolinearlo, non è mai
apologetico del periodo mussoliniano o gravido di inutile odio verso
gli avver-sari che le vicende belliche hanno dato in sorte ai nostri
operatori; traspare piuttosto una profonda, radicata
convinzione del proprio operato, della saldezza
dello spirito di corpo che nasce e si consolida tra uomini che
condividono pericoli e difficoltà,
e
l’appassionato ricordo di chi è caduto sul campo
dell’onore.
Se,
infine, un appunto all’opera va fatto, questo riguarda la mancanza
di un riferimento postale o di altro tipo cui rivolgersi per
l’acquisto di questo libro, o di altri testi della numerosa collana
edita sempre dallo stesso gruppo su argomenti storici, economici e
sociali altrettanto interessanti, anche se una piccola ricerca in
rete potrà forse ovviare al problema. Libro assolutamente
consigliato.
Luigi Carretta
(Recensione
pubblicata il 29 gennaio 2011 da:
G.M.T.
di studio e ricerca storica c/o Fe.C.C.Ri.T.
– Via Brennero, 52 - 38100 TRENTO
TN).
P.E.
info@gmtmodellismo.it
5
– Kshatriya d’Italia
È il titolo di un
pregevole studio di Sandro
Consolato,
accorto studioso messinese che in modo avvincente ha rievocato nella
rassegna tradizionalista
di
Renato
Del
Ponte
(“Ar-thos”
–
n.s.iii,1,6,
Pontremoli,
luglio-dicembre
1999,
pgg.220-232)
l’eroismo
di due Medaglie d’Oro del-la Marina Militare:
Teseo
Tesei
e Salvatore To-daro, i leggendari uomini-siluro
della X Mas immolatisi a Malta e a Gibilterra.
Estratto
dalla recensione di Renato Del Ponte:
[…]
Si è soliti nominare i kamikaze giapponesi, e certo in molti di essi
il sacrificio eroico della vita ebbe i tratti della pura ascesi,
cui
li educava
il
buddhismo,
mentre lo Shinto ne sollecitava l’amore disinteressato per la
patria e per l’imperatore.
Ma
tra gli europei, chi potè andar oltre il pur nobile, ma umano
eroismo da sempre conosciuto? Credo di poter rispondere con certezza
che questo fu il caso di due militari italiani, entrambi
appartenenti ai corpi speciali della R. Marina: Teseo Tesei e
Salvatore Todaro. Oggi i loro nomi sono ignoti ai più,
ma
forse un giorno,
quando
giungerà al colmo lo schifo per l’ipocrisia delle
“bombe
intelligenti”
della
superpotenza
americana
come per la barbarie nuda e cruda dei miliziani delle guerre
etnico-religiose, ignari di pietà verso donne vecchi
e bambini, un bel giorno, dicevo, ci si ricorderà di uomini quali
Tesei e Todaro come modello di comportamento civile e militare.
[…] «L’esito
della missione –
diceva Tesei
–
non ha molta importanza, e neanche l’esito della guerra. Quello
che veramente conta è che vi siano uomini disposti a morire nel
tentativo e che realmente muoiano: perché è dal sacrificio nostro
che le successive generazioni trarranno l’esempio e la forza per
vincere». Del
resto
le sue idee sulla guerra erano quelle di cui dà testi-monianza nel
suo Diario
[…]
Bianchi, che ricorda queste altre parole di Tesei: «La
guerra non tanto importa vincerla, quanto combatterla bene». E
ancora: «Le
guerre non si dovrebbero mai fare; ma se si fanno bisogna saperle
combattere fino in fondo, anche in caso di
sconfitta».
[…]
Chi
lo
conobbe
ne
testimonia
l’assoluta
purezza d’animo, la forza del carattere e la integrità morale. Del
Buono rapporta queste qualità all’educazione familiare, severa ma
anche non conformista.
Ferruccio Bravi
riferisce questo episodio narratogli da Bianchi, che riporto come
testimonianza di un costume ben lontano da quello di tanti italiani
di ieri e, soprattutto, di oggi: «Nella base segreta di Bocca di
Serchio il comandante Tesei disponeva di un’auto di servizio e di
un autista personale da potersi scorrazzare a volontà senza dover
rendere conto a nessuno; tuttavia usava la bici per raggiungere la
sua bella a Migliarino a pochi chilometri dalla base. Una volta usò
l’auto di servizio perché pioveva
a rovesci. A destinazione domandò all’autista: “Quanto
ci vuole di carburante per arrivare fin qui e tornare?
”
“Non
so
di preciso –
rispose
l’autista
– ma di certo meno di due lire”.
“Bene
–
soggiunse
Tesei porgendo una moneta di cinque lire – va
dal tabacchino e portami due lire di marche da bollo”.
Tornato
l’autista,
Tesei
fece in minutissimi pezzi le marche da bollo dicendo:
“Rimborso
la benzina allo Stato senza complicazioni burocratiche.
Tieni
il resto,
va
al cinema e torna a riprendermi fra due ore”».
[…]
Tesei seguiva da tempo, insieme con il cugino Ulisse, pratiche
yogiche, accompagnate da regime dietetico vegetariano.
L’influsso
della cultura indù è
attestato anche da Ferruccio Bravi, che ha raccolto
le confidenze di Emilio Bianchi,
attestando
che l’eroe italiano
«era
convinto che le anime dovessero trasmigrare in altri esseri».
E
sempre Bravi aggiunge: «Tesei aveva i piedi ben piantati a terra,
ma viveva nel soprannaturale. Era un novizo de la muerte: il suo
olocausto era previsione scontata per i compagni. Un giorno Toschi
disse:
“Teseo
non lo rivedremo più.
Io
so che va a morire”».
[…] Il giorno
stesso in cui aveva udito a Bocca di Serchio la notizia dell’entrata
in guerra dell’Italia, Tesei aveva affermato: “E adesso, costi
quel che costi,
le
nostre forze armate devono togliere subito di mezzo Malta”. Dirà
Emilio Bianchi: «parole di una personalità eccezionale che vede
lontano, parole che recano un segno del destino».
Di contro, dall’amara testimonianza di Borghese risulta che mentre
la neutralizzazione di Malta «avrebbe dovuto
costituire da anni l’oggetto degli studi e
dei piani dei nostri Stati Maggiori»,
all’atto della dichiarazione
di guerra del ’40 non v’era ancora nessun piano del genere.
L’insipienza
dei nostri alti
Comandi rende ancora più nobili le parole
scritte da Tesei a persona amica poco prima di av-viarsi alla morte:
“Quando
riceverai questa lettera avrò avuto il più alto degli onori, quello
di dare la mia vita per il Re e per l’onore della Bandiera. Tu sai
che questo è il più grande desiderio e la più elevata delle gioie
per un uomo...”
POSTILLA
DI SANDRO CONSOLATO:
Ringrazio
Oreste Del Buono per l’estrema gentilezza e generosità con cui ha
accolto il mio invito a parlargli dell’indimenticabile zio Teseo
Tesei.
Un
sentito grazie va anche al prof. Ferruccio Bravi,
curatore
del Diario
di guerra e di prigionia di Emilio Bianchi,
che
mi ha fornito un fondamentale aiuto biblio-grafico,
permettendomi
inoltre di avvalermi della sua inedita Controstoria
1939-1946».
Contatto: http://www.lacittadella-web.com