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sabato 9 luglio 2016

I DOVERI DELL'UOMO. Intervista ad Achille Ragazzoni

Questa intervista nasce per iniziativa di Michela Alessandroni, titolare della casa editrice digitale Flower-Ed di Roma, specializzata nella pubblicazione di volumi di narrativa e saggistica in formato E-book. Dopo aver acquistato alcuni libri tramite il sito della casa, ho preso contatto con la gentilissima Michela, la quale, conosciuto l'operato del nostro Gruppo di Studio, si è subito prodigata per intercedere presso Achille Ragazzoni, che per la Flower-Ed ha curato la pubblicazione de “I Doveri dell'Uomo” di Giuseppe Mazzini, affinché ci concedesse l'onore di un'intervista. Inutile specificare che stiamo parlando di uno dei più instancabili divulgatori della storia e degli ideali del Risorgimento italiano. E c'è da aggiungere che questa sua intervista per l'AVSER, s'iscrive nel solco di una collaborazione di vecchia data, risalente ai tempi del fu Centro di Studi Atesini diretto dal nostro fondatore Ferruccio Bravi. Ragazzoni fu socio onorario del Centro, oltreché una delle migliori penne al servizio della causa italiana nella difficile cornice dell'Alto-Adige. Vale la pena ricordare alcune pubblicazioni portanti la sua firma edite dal Centro:

- “P.Fortunato Calvi, l'eroe del Cadore.”
- “Garibaldi nostro: la campagna del Tirolo ( Zancani e altre camicie rosse atesine)”
- “1866 a più voci: la terza guerra d'Indipendenza sul fronte trentino”
- “Un garibaldino dimenticato: Camillo Zancani da Egna (1820 – 1888)”

Dopo il recente articolo pubblicato per l'anniversario di nascita di Garibaldi, torna oggi sulle pagine del nostro sito con un'intervista incentrata sulla figura di Mazzini. Figura quanto mai scomoda al giorno d'oggi; perché scomoda è la sua sbalorditiva attualità. Diverse sono le pagine ne “I Doveri dell'Uomo” in cui si prefigura con limpidezza cristallina l'avvento della società odierna, in cui l'economia – o meglio la finanza – detta legge, mentre la società civile sprofonda nel più bieco materialismo, che imperversa tanto in alto quanto in basso, generando nuove e mostruose forme di dominio tirannico e subdole schiavitù. Ma altrettanto più scomoda è la sua inattuale spiritualità, distante anni luce dai giorni nostri. Mazzini è l'apostolo di una fede tanto forte da non conoscere ostacoli o restrizioni, capace di portare al martirio. Tutto l'opposto dell'imperante “morale” del tiramo a campà. Ed è proprio questo suo messaggio d'intransigenza mistica ad esser quanto mai necessario nell'attuale smarrimento del popolo italiano. Affinché possa svilupparsi un sincero ed autentico moto rivoluzionario, bisogna esser capaci di superare sé stessi e le proprie bassezze, per raggiungere una diversa visione delle cose. Riscoprire allora l'importanza dei Doveri, di contro all'imperante frastuono dei Diritti; il valore supremo del Sacrificio alla causa; la difficoltà della Partecipazione; il sentimento radicato e forte d'appartenenza ad una Comunità.
Di questo e d'altro abbiamo parlato col nostro intervistato, che ha ribadito una volta di più la necessità di riprendere in mano i testi mazziniani, per riscoprirne l'importanza alla luce fioca della nostra contemporaneità.


Sandro Righini






1 - Partirei con una domanda d'attualità, ma che ritengo chiami direttamente in causa il pensiero mazziniano. E' fatto recente l'approvazione del controverso d.d.l. Cirinnà. Al di là delle considerazioni particolari su questo decreto, non è lecito vedervi un ulteriore e progressivo attacco a quella che Mazzini chiama "la Patria del cuore", ovvero la Famiglia?

In effetti la domanda è più che pertinente in quanto Mazzini è stato uno dei maggiori teorici della cosiddetta "famiglia tradizionale". La famiglia viene definita, proprio nei "Doveri", concetto di Dio che non può essere soppresso da potenza umana e superiore addirittura - detto da Mazzini! - alla Patria. Esorta anche ad amare i figli mandati dalla Provvidenza.... Il decreto Cirinnà, nelle primitive intenzioni era un attacco deliberato alla famiglia. Da un punto di vista puramente giuridico sono d'accordo che ci sia una regolamentazione delle unioni civili: un sindaco sposato non può affidare (ed è giusto che sia così) lavori alla propria moglie architetto (è il caso del Comune di cui sono uno degli amministratori), mentre se fosse omosessuale potrebbe affidare al proprio amico, senza violare la legge, qualsiasi tipo di incarico. Una legge seria sulle unioni civili lo impedirebbe... Le unioni civili, comunque, NON sono un matrimonio....

2 - Credo non sia un azzardo dire che quasi tutto quello su cui Mazzini ci aveva messo in guardia ne "I Doveri dell'uomo" si sia piano piano avverato. Un lento erodersi dei tre pilastri su cui l'apostolo repubblicano aveva fondato pensiero ed operato: Dio, Patria e Famiglia. E quale agente erosivo, oggi più che mai, i famigerati e sbandierati Diritti. Ci spieghi meglio perché Mazzini li riteneva tanto pericolosi, soprattutto per quelle fasce di popolazione meno istruite e povere?

Mazzini diede come titolo alla propria opera principale "I Doveri dell'Uomo", proprio in opposizione alla religione dei "Diritti dell'Uomo" sorta con la Rivoluzione Francese. Questa "religione" è pericolosa per tutte le fasce sociali, non solo quelle cui lei fa riferimento. A forza di sbandierare i proprio diritti individuali si finisce col dimenticare i diritti della comunità cui si appartiene (la Patria) e si finisce col giustificare tutto, anche le cose più abiette. Ho, per esempio, diritto a salvare la mia sporca vita e allora in battaglia ho diritto di disertare. Spesso la religione dei diritti è associata a quella della libertà (male intesa, però) che si trasforma nella libertà di ammazzare il proprio simile impunemente in nome del Dio Denaro. Le fasce di popolazione che hanno meno istruzione e meno denaro alla fine soccombono e si vede che chi gli ha promesso più diritti, in realtà gliene ha sottratto di fondamentali... Ci vuole un certo equilibrio. Nei "Pensieri sulla democrazia in Europa", Mazzini rilevava che "... la dottrina dei diritti individuali non è nella sua essenza che una grande e sacra protesta in favore della libertà umana contro ogni tirannide che la conculchi. Il suo valore è meramente negativo. Forte a distruggere, essa è impotente a fondare. Può rompere catene, non comporre vincoli di lavoro concorde e d'amore. (....). Senza la religione del Dovere, ogni grande trasformazione sociale è impossibile.”

3 - Mazzini parla di "religione del Dovere" giacché Dio, come spiega ampiamente ne "I Doveri dell'uomo", ne è la fonte primigenia. Da dove trae origine questa visione religiosa del Dovere in Mazzini?

Mazzini era uno spirito profondamente religioso, considerava l'ateismo sinonimo di disperazione. Ad una pubblicazione di cosiddetti "liberi pensatori", che gli chiedeva una collaborazione nel 1864, rispose. "Voi negate Dio, negate la Religione, negate la Tradizione dell'Umanità. Come potete chiedermi di collaborare alla vostra pubblicazione?". L'ateismo è inconciliabile col pensiero mazziniano, così come il federalismo. In "Fede e Avvenire", del 1835, sono assai bene spiegati i fondamenti religiosi del pensiero mazziniano. La sua elevata spiritualità ha fatto paura, per motivi diversi, sia ai bigotti che agli atei, per questo il repubblicano storico Napoleone Colajanni scriverà il sapido pamphlet "Preti e socialisti contro Mazzini".

4 - Quanto vi è di Romano – in senso spirituale - e quanto di Cristiano nella concezione religiosa del pensatore genovese?

Per rispondere a questa domanda si potrebbe scrivere un intero volume... Da una parte Mazzini è stato uno dei profeti della "Terza Roma" e portò avanti l'idea-forza di Roma, dall'altra egli accettò i principi spiritualistici del Cristianesimo, pur ritenendo che esso fosse, in una certa misura, incompiuto. Riteneva positivo il Cristianesimo come religione dell'amore, della carità e del sacrificio, ma penso non riconoscesse il Cristo come Verbo incarnato. Se uno legge bene i suoi scritti, vede che è più critico nei confronti del Protestantesimo che non del Cattolicesimo.

5 - Da una parte c'è questo continuo richiamo alla spiritualità civile, unito al costante monito a non considerare la Terra come una valle di lacrime, ma come un "trampolino verso il cielo". Dall'altra l'idea del progresso quale motore della storia, con relativa visione escatologica di un'Umanità totalmente affratellata. Possiamo dire che nell'elaborazione di questa filosofia politico-spirituale di Mazzini ebbe giocò la sua adesione alla Carboneria? Cosa sappiamo della sua permanenza in questa misteriosa società segreta, che ebbe un ruolo di prim'ordine al sorgere del nostro Risorgimento?

La Carboneria - sovente confusa con la Massoneria pur essendo una realtà del tutto diversa soprattutto come impianto ideologico - non esplicava solo un'azione politica, ma divulgava tra i suoi aderenti anche insegnamenti sapienzali. Certo, una società segreta non lascia verbali delle riunioni, è chiaro. Mazzini rimase però poco nella Carboneria e ne rimase molto deluso (il suo primo arresto avvenne proprio perché uno dei dirigenti della Carboneria era un infiltrato della polizia...), anche se per forza qualche segno sulla sua formazione lo ha lasciato. Non ne esagererei, però, l'importanza. Quando Mazzini parla di protostoria italica ho notato che possiede un retroterra culturale-spirituale simile a quello di molti esponenti del cosiddetto "Movimento Tradizionalista Romano" del Novecento. Sulla scorta degli studi del prof. Cleto Carbonara (che mazziniano non fu mai, pur avendo fondato a Napoli un centro di studi mazziniani!) ritengo, però, che i pilastri culturali e spirituali di Mazzini siano il neoplatonismo ed un cristianesimo particolare che si distacca notevolmente da quello professato dalle chiese oggi esistenti.





6 - Il fulcro del pensiero mazziniano risulta molto scomodo al giorno d'oggi. Parla di supremo sacrificio, di esilio, di prigionia, di martirio, di Patria. Tutti termini che risuonano alle nostre orecchie come echi retorici di un passato remoto. Eppure, di contro agli sterili vagiti dei demagoghi di turno o dei ribelli del sabato sera, quello di Mazzini è un pensiero che potremmo definire veramente rivoluzionario, teso a coinvolgere l'uomo a 360 gradi. Ma forse è proprio per questa sua intransigenza, questa sua fede indomita, il motivo per cui è stato posto nel dimenticatoio?

E' proprio per questa sua concezione profondamente religiosa dell'esistenza, per questo suo tentativo di voler migliorare prima di tutto l'individuo che Mazzini è così inattuale, anche se per me, invece, è così attuale poiché ogni rivoluzione è destinata a fallire se prima l'individuo non depura se stesso. Ho trovato molte analogie (spirituali, non dico politiche) tra il pensiero di Mazzini e quello di Codreanu, il fondatore del Movimento Legionario in Romania, che forse non conobbe direttamente l'opera mazziniana. Ebbene, anche per lui, la lotta politica era destinata a fallire se non si fosse agito prima di tutto in tal senso. Questa concezione religiosa della lotta politica poté portare alcuni mazziniani tra i meno illuminati a posizioni settarie od esclusiviste, ma fu proprio essa a dare alla maggioranza dei militanti mazziniani la capacità di soffrire fino al punto di riuscire ad affrontare galera, patibolo o plotone d'esecuzione con il sorriso sulle labbra.

7 - Il pensiero di Mazzini può risultare ostico ai più, soprattutto alle persone meno istruite. Eppure c'è stato un tempo in cui anche tra le masse popolari il verbo repubblicano riuscì a far presa. Soprattutto in alcune regioni d'Italia, dove teneva testa e contrastava lo strapotere socialista. Ne parla lei stesso nella sua introduzione a "I Doveri dell'Uomo" - ripubblicati in formato E-book dalle edizioni Flower-Ed - quando racconta di aver visitato case di militanti repubblicani nella focosa Romagna dove ancora venivano custodite con la massima cura le opere complete di Mazzini. Le domando: secondo lei qual'è stata l'origine e la causa di questo repentino tracollo, che ha portato negli anni il Partito Repubblicano a valere poco o niente nello scacchiere politico nazionale?

Vi è da dire che il PRI, nel quale io stesso ho convintamente militato, era solo in parte mazziniano e solo in parte si rifaceva al repubblicanesimo "storico". Soprattutto nel secondo dopoguerra i mazziniani erano una minoranza all'interno del partito. Un travaso di gente proveniente dal Partito d'Azione, di eredi del vecchio movimento radicale (quello di Cavallotti per intenderci), di tecnocrati privi di anima, divenne maggioranza nel partito, lo cannibalizzò fino a farlo sostanzialmente sparire. Non ci si poteva più riconoscere. Spesso la base romagnola veniva presa in giro da questi tecnocrati, i quali non riuscivano neppure a capire quel patrimonio di tradizioni, considerate alla stregua di puro folclore, che essa portava con sé.

8 - Vi è oggi la possibilità di una rinascita del pensiero e dell'azione politica d'ispirazione mazziniana in questa nostra Italia?

Sono molto pessimista a riguardo. Sicuramente non nell'immediato. Bisogna iniziare proprio dall'ABC, diffondendo soprattutto i mazziniani "Doveri". In questa società ove si irride alla Patria, dove il concetto di famiglia è stato mostruosamente invertito, dove i più immondi demagoghi portano avanti solo i discorsi dei "diritti" ed i "doveri" non esistono più, c'è da rimboccarsi le maniche e bisogna proprio iniziare da zero. O, forse, da sottozero....

9) Ultima domanda: vista la recente uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea e le inevitabili conseguenze politiche che essa creerà sugli scacchieri politici internazionali, le domandiamo qual'era la visione che Mazzini aveva dell'Europa? Ne "I Doveri dell'Uomo" viene fatto un accenno ad una futura unità dei popoli europei, ma con quali sostanziali differenze rispetto all'attuale?

Mazzini in diversi suoi scritti parlò proprio di Stati Uniti d'Europa, esplicitamente. Egli vedeva un'unita morale, spirituale e anche politica dell'Europa, lasciando però ad ogni singolo Stato la piena autonomia nei problemi interni, tutto il contrario de "Ce lo chiede l'Europa" con cui i politici inetti e infingardi vorrebbero farci digerire le più odiose ed impopolari misure. A vedere cosa è l'Europa "unita" (unita per niente, in realtà) di oggi, penso che Giuseppe Mazzini si stia rivoltando là nel sepolcro di Staglieno! 

lunedì 4 luglio 2016

Garibaldi e la guerra civile americana - Achille Ragazzoni


In occasione del genetliaco di Giuseppe Garibaldi proponiamo ai nostri lettori un articolo sui rapporti intercorsi fra l'Eroe dei due mondi e gli Stati Uniti nel periodo storico della guerra civile americana. Il testo, a firma di Achille Ragazzoni, che ce ne ha gentilmente concesso la pubblicazione, trae origine da una conferenza da lui tenuta nel 2011 in occasione della ricorrenza del 150° anniversario dell'unità d'Italia. Successivamente pubblicato per gli “Annali Pannunzio” e per “l'Istituto Garibaldi di Roma”, lo riportiamo all'attenzione del pubblico per mantenere viva la memoria su quello che la nostra collaboratrice Maria Cipriano ha giustamente definito uno dei 4 pilastri, pilastro eroico, rappresentante del lato “guerriero” del nostro Risorgimento.

Gruppo di Studio AVSER


GARIBALDI

E LA GUERRA CIVILE AMERICANA

In memoria di Raimondo Luraghi, storico insigne
di Achille Ragazzoni – 16 III 14. (testo senza note)


Tra gli anniversari “zerati” che sono ricorsi nel 2011, oltre a quello della nostra unità nazionale, vi è stato anche il 150° anniversario dell’inizio della guerra civile americana, che incominciò il 12 aprile 1861 col bombardamento di Forte Sumter, piazzaforte unionista sita nella rada di Charleston (Carolina meridionale) da parte delle artiglierie confederate. Iniziava così il conflitto armato tra la neonata Confederazione degli Stati Americani (CSA) e l’Unione degli Stati Americani (USA), quel conflitto tra “sudisti” e “nordisti” che abbiamo molte volte visto, spesso storicamente deformato oltre il ridicolo, in tanti film del genere “western”. Per inquadrare storicamente in maniera seria quel complesso periodo, non mi stancherò mai di suggerire la lettura dei testi di un grande storico italiano recentemente scomparso, il prof. Raimondo Luraghi, autore di una monumentale “Storia della guerra civile americana”, pubblicata in prima edizione da Einaudi nel 1966, e alla cui memoria mi permetto di dedicare queste pagine, sviluppo di una conferenza che ho tenuto nel 2011 presso il Circolo Militare Unificato di Bolzano. Il prof. Luraghi, da me allora interpellato, fu prodigo di preziosi suggerimenti, forniti con la consueta cortesia.
Con la conferenza di Bolzano coglievo l’occasione per collegare quell’anniversario al 150° della nostra unità nazionale, parlando di Garibaldi e la guerra civile americana, dato che negli anni della guerra civile il nome del grande Nizzardo risuonò anche nelle lontane terre d’America.
Va precisato che Garibaldi visse negli Stati Uniti d’America tra il 1850 (vi giunse il 30 luglio), proveniente da Tangeri, ed il 1854. Abitò a Nuova York, a Staten Island per la precisione, ove ebbe come datore di lavoro e amico un altro esule politico italiano, Antonio Meucci, l’inventore del telefono, il quale impiegò Garibaldi in una fabbrica di candele.
All’epoca la comunità italiana dello stato di Nuova York era costituita da alcune centinaia di persone (poco più 800 secondo le statistiche più attendibili. Molti di essi erano proscritti politici, alcuni dei quali da Garibaldi già conosciuti. Tra essi Giuseppe Avezzana, ministro della guerra della Repubblica Romana, Quirico Filopanti, altro patriota coinvolto in quella gloriosa impresa (fu un grande scienziato, matematico in particolare, anche ai suoi studi si deve l’introduzione dei fusi orari), Eleuterio Felice Foresti, un prigioniero dello Spielberg che in America diverrà docente universitario di lingua e letteratura italiana.
Nell’agosto del 1850 ambienti politici dalle idee repubblicane, democratiche e socialistoidi avrebbero voluto organizzare una grande manifestazione di benvenuto in onore del nuovo arrivato, però il Generale rifiutò, un po’ per motivi di salute ma, soprattutto, per non creare imbarazzi e noie diplomatiche al governo di cui era ospite.
In seguito Garibaldi fece il capitano marittimo, lavoro a lui più congeniale, e richiese la cittadinanza americana; ancora oggi gli storici discutono se la richiesta venne evasa o meno. Anche se disponeva di un passaporto rilasciatogli dalle autorità municipali di Nuova York, la questione rimane aperta in quanto dal passaporto non risulta con chiarezza la questione della cittadinanza. La maggior parte degli storici esclude, comunque, che Garibaldi abbia realmente ottenuto la cittadinanza degli USA, nonostante le numerose rivendicazioni in tal senso da parte dell’interessato.
La secessione degli Stati del Sud non avvenne da un giorno all’altro: nel dicembre del 1860 si dichiarò indipendente la Carolina meridionale, nel gennaio successivo il Mississipi, la Florida, l’Alabama , la Georgia e la Luisiana, in febbraio il Texas, dove pure c’era una forte corrente antisecessionista capeggiata dal leggendario patriota texano Sam Houston, colui che aveva reso lo Stato indipendente dal Messico, e anche una corrente che voleva tornare al-l’indipendenza del Texas pura e semplice, l’indipendenza che aveva avuto dal 1836 al 1845, dopo essersi staccato dal Messico e prima dell’annessione agli Stati Uniti d’America.
Questi Stati dettero origine, il 7 febbraio 1861 alla Confederazione degli Stati Americani (CSA), con capitale Montgomery, in Alabama. In seguito aderirono alla Confederazione la Virginia, l’Ar-kansas, la Carolina Settentrionale ed il Tennessee. Lo stato del Kentucky si dichiarò neutrale, ma venne poi occupato per metà dall’Unione e per metà dalla Confederazione (i sentimenti dei cittadini erano equamente divisi tra le due parti in lotta), sorte analoga toccò al Missouri, mentre il Maryland, dove a tutta prima avevano prevalso i sentimenti secessionisti, rimase nell’Unione grazie ad abili mosse politiche, economiche e fiscali del governo federale.
Negli Stati del Sud era praticata la schiavitù, anche se molti politici del Sud erano ad essa contrari e condannavano la pratica sia in privato che in pubblico, altri la condannavano in pubblico pur essendo essi stessi proprietari di schiavi.
La schiavitù, però, era praticata anche in alcuni stati e territori rimasti con l’Unione: il Delaware (secondo le statistiche: 1798 schiavi), il Maryland (87189 schiavi), il territorio del Kansas (con 2 schiavi, dicasi due lo scrivo a tutte lettere per evitare che si pensi ad un refuso…) ed il territorio del Nebraska (con 15 schiavi), quindi quella che vuole la guerra civile americana scoppiata per la liberazione degli schiavi è una pia leggenda, all’inizio non se ne parlò neppure, in seguito divenne un ritornello della propaganda, ritornello cantato peraltro un po’in sordina, per non irritare gli unionisti del Maryland, del Delaware e di quella parte del Kentucky (in tutto lo stato gli schiavi erano 225483) e del Missouri (in tutto lo stato gli schiavi erano 114931) occupati. Stare con la Confederazione o con l’U-nione era una scelta che non coincideva affatto, perlomeno non sempre, con il fatto di essere o meno contro la schiavitù. Farò notare anche che non pochi negri liberi erano, a loro volta, proprietari di schiavi…
Il nostro Mazzini mise in guardia i suoi corrispondenti: pur essendo contrario allo schiavismo (e come poteva non esserlo, un animo come il suo…?) sosteneva che non si trattava di una lotta tra schiavisti ed antischiavisti e legittimava la Confederazione se essa era sorta per la nascita di un nuovo genuino sentimento di nazionalità negli Stati del Sud.
Diversi americani avevano partecipato alla liberazione dell’Italia meridionale sotto il comando di Garibaldi: alcuni erano marinai che disertarono da navigli da guerra americani ancorati in porti italiani, altri erano convinti amici della libertà e dell’indipendenza d’Italia. Molti di questi americani provenivano dagli Stati del Sud: Chatham Roberdeau Wheat, che da Garibaldi, del quale sarà aiutante di campo, verrà nominato addirittura generale, Charles C. Hicks, Henry W.Spencer, figlio del console americano a Parigi, Alfred Benthuysen, nipote di quel Jefferson Davis che diverrà presidente della CSA e molti altri; in numero inferiore i volontari provenienti dal nord degli USA.
Quando scoppia la guerra civile americana Garibaldi, a differenza di Mazzini, mostra subito di simpatizzare per la causa unionista. Queste simpatie giungono ben presto alle orecchie delle autorità americane e da qui nasce l’offerta fatta all’Eroe dei Due Mondi di arruolarsi nell’esercito dell’Unione. L’Unione aveva subito pesanti sconfitte e a qualcuno venne in mente che un eroe popolare in tutto il mondo come Garibaldi avrebbe potuto dare una scossa in senso positivo. Il primo passo ufficiale venne fatto dal console degli USA in Belgio, Quiggle, che si reca personalmente a Caprera e che, ingenuamente in un certo senso, a una domanda precisa postagli dal Nizzardo, risponde che non era intenzione dell’Unione abolire la schiavitù, ma solo ristabilire la vulnerata unità nazionale. Poi Quiggle passò la mano a personaggi più importanti e più abili nel condurre le trattative, come il rappresentante diplomatico dell’Unione in Belgio, Sanford.
La risposta di Garibaldi non fu certo rapida e, dopo molto tergiversare, egli chiese due cose assolutamente fuori della realtà: il comando supremo delle forze armate unioniste e l’abolizione immediata della schiavitù. La risposta non poteva essere che negativa, è evidente che Garibaldi non aveva nessuna voglia di impegnarsi in una guerra civile dall’altra parte dell’Oceano quando c’era ancora l’Italia da unire…In America qualcuno tirò un sospiro di sollievo, poiché il mangiapreti Garibaldi avrebbe potuto alienare molte simpatie all’Unione da parte dei cattolici americani (molti erano gli irlandesi ed i polacchi che combattevano nelle forze armate unioniste…). Dopo la sfortunata conclusione dell’impresa di Aspromonte sembrò per un momento potersi concretizzare la questione ed in questo senso sembrano andare due lettere di Garibaldi dal Varignano, una del 14 settembre 1862 al console degli Stati Uniti a Vienna, Canisius, l’altra del 5 ottobre successivo a George Perkins Marsh, rappresentante diplomatico a Torino.
Ma veniamo ai “garibaldini” americani: vorrei soffermarmi sulla figura di quel Wheat che era stato aiutante di campo. Egli fece sì che molti reduci borbonici e molti garibaldini dell’Esercito meridionale, disgustati da come venivano trattati dagli ufficiali del Regio Esercito sardo, partissero per l’America e si arruolassero nell’esercito della Confederazione. Gli ex-nemici combattevano ora fianco a fianco e molti di essi si arruolarono proprio in un corpo militare chiamato “Garibaldi Legion”.
Nelle forze armate confederate troviamo molti nomi italiani: all’epoca non era ancora iniziata l’emigrazione di massa dall’Italia verso l’America, però gli italoamericani non erano pochissimi e la maggior parte di loro viveva negli Stati del Sud; lo stato con la maggiore concentrazione di immigrati italiani era la Luisiana, soprattutto nella città di Nuova Orleans e nei suoi dintorni e quindi era logico che essi difendessero la terra ove abitavano. Altre comunità italiane di un certo peso si trovavano, come ho accennato prima, nello stato di Nuova York e nella California.
Wheat, tornato in America, costituì un battaglione denominato “Tigri della Luisiana” (nome ufficiale 1° Battaglione Speciale di Fanteria della Luisiana) e combatté eroicamente alla testa di questo battaglione con il grado di maggiore. Cadde nella battaglia di Gaine’s Mills (27 giugno 1862) guidando i suoi uomini all’assalto e sulla sua tomba, che oggi si trova nel cimitero di Richmond in Virginia, volle che fosse specificata la sua qualifica di garibaldino (Soldier of Freedom e Champion of Italy Liberty and General under Garibaldi si legge, tra il resto, sulla sua lapide).
Reduci garibaldini combattevano anche per l’Unione, quindi si ebbe il primo caso di ex-garibaldini che combattevano gli uni contro gli altri. Non sarà l’ultimo caso: anche nella guerra per l’indipendenza delle repubbliche boere dell’Africa meridionale dalla Gran Bretagna troveremo reduci garibaldini in ambedue i campi in lotta.
Anche l’Unione ebbe un corpo militare che si richiamava a Garibaldi, la “Garibaldi Guard”, con un’uniforme simile a quella dei Bersaglieri, ma in essa gli italiani non erano la maggioranza dei circa 800 arruolati. Italiani e reduci garibaldini si trovarono anche in altri corpi militari dell’Unione, ma la causa della libertà e dell’unità nazionale italiana erano più popolari, per quanto strano oggi ci possa sembrare, negli Stati del Sud.
Lo studio più completo e documentato sulla partecipazione dei nostri connazionali, di antica o recente immigrazione, garibaldini o meno, alla guerra civile americana è dovuto a due professori universitari della Florida, Frank W. Alduino e David J.Coles, il cui libro, dotato di imponenti apparati critici e bibliografia, meriterebbe decisamente una traduzione nella nostra lingua.
La guerra finì come finì, con la resa delle forze sudiste, comandate dal generale Lee, in cuor suo sempre contrario alla schiavitù (col presidente Jefferson Davis aveva promosso un decreto per l’epoca rivoluzionario, secondo il quale i negri che si arruolavano nell’e-sercito sarebbero stati de facto emancipati) ad Appomattox, in Virginia, il 9 aprile 1865, anche se, formalmente, l’ultimo generale confederato ad arrendersi sarà il pellerossa Stand Watie, comandante della Prima Brigata di Cavalleria Indiana, il 23 giugno 1865.
La più grande sciagura per il Sud non fu la resa di Appomattox, ma l’assassinio di Lincoln da parte di un fanatico sudista (una storia misteriosa come l’assassinio di Kennedy, chi veramente armò la mano che sparò a Lincoln?). Lincoln avrebbe voluto una vera e propria pacificazione con il Sud, senza vendette e regolamenti di conti, tendendo invece alla costruzione, insieme ai nemici di un tempo, di una nuova America. Non andò proprio così, senza più l’ostacolo di Lincoln e della sua saggezza il Sud divenne preda di speculatori, affaristi e faccendieri calati come avvoltoi dal Nord per depredare le ricchezze locali. Ciò diede, per reazione, origine a fenomeni assolutamente negativi, come la nascita del Ku Klux Klan, il sorgere di bande terroristiche come quella di Quantrill, dove molto incerto era il confine tra motivazioni politiche e delinquenza, un aumento esponenziale della delinquenza comune e la diffusione della miseria in larghi strati della popolazione, bianchi o negri che fossero. Il Sud si sentì respinto dai “nuovi” Stati Uniti e ci vollero molti decenni affinché le due realtà si integrassero realmente. Ma questa è un’altra storia…
Garibaldi generale nordista sconfitto è il protagonista di un romanzo di fantascienza (ma anche fantastorico e fantapolitico…) di Pierfrancesco Prosperi, dalla trama assai complicata che si svolge su più piani temporali: la spada di Garibaldi al servizio dell’Unione ha come catastrofica conseguenza il fallimento dell’unità nazionale italiana.
Per concludere una curiosità che lega ancora in qualche maniera Garibaldi agli USA: nel 1871 Nizza insorse contro la Francia e nella città rivierasca nacque una corrente politica che voleva l’indipendenza dell’antica Contea di Nizza sotto protettorato americano e si pensò di chiedere a Garibaldi, così popolare negli USA, di promuovere questa soluzione politica della questione nizzarda. Si fece portavoce di tale corrente il patriota mazziniano Enrico Sappia nel suo libro “Nizza Contemporanea”, pubblicato in italiano a Londra nel 1871 e tradotto in francese nel 2006, a cento anni esatti dalla morte dell’antico cospiratore mazziniano.


Achille Ragazzoni