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lunedì 18 gennaio 2016

CORSICA E ITALIA cap. II° - Luca Cancelliere




CORSICA E ITALIA” – Parte IV – Risveglio corso e irredentismo filo-italiano (1918-1945).

Tra la fine del secolo XIX e il primo dopoguerra si assistette alla riscoperta culturale dell’identità corsa, con riviste la prima delle quali fu “A Tramuntana” (1896) fondata da Santu Casanova. La rivendicazione della lingua e dell’identità corsa si univa al riconoscimento dell’appartenenza della Corsica alla sfera culturale e linguistica italiana, secondo l’antico adagio corso: “Da Capi Corsu à Bonifaziu, aria di Roma è mare di u Laziu”. Lo stesso Santu Casanova, iniziatore del risveglio corso nel 1896, quarant’anni dopo avrebbe aderito all’irredentismo filo-italiano con un telegramma inviato a Mussolini il 29 ottobre 1936: “In questo giorno, 29 ottobre dell’anno XV, nel quale lascio per sempre la mia Corsica natìa, e proprio quando sbarco a Livorno, patria amata di Costanzo e Galeazzo Ciano e di tanti eroi, mi pare di rinascere e di riprendere forze come Anteo al contatto con la Terra che fu la culla dei nostri antenati e rimane per noi còrsi la vera patria; io, dunque, in questo giorno di luce e di bellezza, Vi porgo con amore e rispetto, o Duce immortale, il mio saluto fraterno. Vogliate gradirlo come l’omaggio della nostra Corsica, sorella italiana purissima. A noi!”. Nel 1919 vide la luce il giornale “A Muvra”, fondato da Petru Rocca. Dal gruppo animatore della rivista prenderà corpo il “Partitu Corsu d’Azione”, fondato nel 1922 sull’esempio del coevo Partito Sardo D’Azione. In questo periodo ci fu una fioritura di opere poetiche e letterarie in corso, tra cui il primo romanzo in corso, “Terra Corsa”, scritto nel 1924 da marco Angeli. Nel 1927 il partito si trasformò in “Partitu Autonomista Corsu” e sciolto nel 1939 in ragione della sua collaborazione con il regime fascista italiano. Contemporaneamente l’ascesa del Fascismo in Italia, infatti, aveva sviluppato una corrente filo-italiana esplicitamente irredentista. Nel 1933 nacquero a Pavia i “Gruppi di Cultura Corsa”(GCC), fondati dallo studente corso Petru Giovacchini, già fondatore nel 1927 della rivista corsa filo-italiana“Primavera”. I GCC successivamente furono trasformati in “Gruppi di Azione Irredentista Corsa” (GAIC). Molti patrioti e intellettuali corsi (Petru Giovacchini, Marco Angeli, Bertino Poli, Domenico Carlotti, Petru Rocca, Pier Luigi Marchetti) scelsero di emigrare nell’Italia fascista, nella quale videro la luce riviste e pubblicazioni dedicate alla Corsica: “Atlante Linguistico Etnografico Italiano della Corsica”“Archivio Storico di Corsica”“Corsica Antica e Moderna”. Gioacchino Volpe, uno dei massimi storici italiani del Novecento e fondatore del sopra citato“Archivio storico di Corsica”, pubblicò nel 1939 a Milano la“Storia della Corsica italiana”, che ancora oggi è una delle più importanti opere storiografiche dedicate all’isola. Del resto già dal 1923 il quotidiano livornese “Il Telegrafo” pubblicava un’edizione per la Corsica. L’occupazione militare italiana durante la Seconda Guerra Mondiale, avvenuta nel novembre 1942 nell’ambito della c.d.“Operazione Anton” di occupazione italo-tedesca dei territori soggetti al governo di Vichy, fu pacificamente accettata dai Corsi che accolsero gli Italiani come liberatori. I“Gruppi di azione irredentista corsa” l’appoggiarono apertamente, chiedendo l’unione della Corsica al Regno d’Italia. Dopo l’8 settembre 1943, molti militari italiani appoggiarono in modo determinante la resistenza corsa, riportando 700 caduti nelle loro fila e contribuendo alla cacciata delle truppe germaniche dall’isola. Dopo la guerra, la Francia condannò a morte sette irredentisti filo-italiani, tra cui Petru Giovacchini, che sfuggì all’esecuzione della pena trovandosi in Italia. Petru Rocca fu condannato a 15 di lavori forzati. Simon Cristofini fu fucilato ad Algeri nel 1944 e sua moglie Marta Renucci, prima giornalista donna corsa, fu condannata a 15 anni di detenzione.

CORSICA E ITALIA” – Parte V – Il nazionalismo corso dopo il 1945.

Nel secondo dopoguerra le autorità francesi in Corsica dispiegarono una forte propaganda contro ogni forma di irredentismo filo-italiano, di autonomismo corso, di rivendicazione del legame culturale e linguistico tra Italia e Corsica e dell’uso dell’italiano e del corso nell’isola. La derubricazione strumentale e intellettualmente disonesta dell’identitarismo corso tra le due guerre a una forma di collaborazionismo filo-fascista ebbe l’effetto di porre fine a ogni forma di irredentismo filo-italiano e di rivendicazione dell’uso della lingua italiana in Corsica, ma le vicende accadute degli anni ’60 in poi fecero fallire completamente il progetto di integrale francesizzazione dell’isola. Nel 1957 due società a capitale misto statale e privato, la SOMIVAC (“Société d’économie mixte pour la mise en valeur de la Corse”) e la SETCO (“Société pour l’équipement touristique de la Corse”). Quest’ultima fu un sostanziale insuccesso. La SOMIVAC, invece, destinò il 90% dei propri terreni agricoli destinati alla viticoltura ai c.d. “Pieds-Noirs”, originariamente promessi ai Corsi, ai profughi francesi rimpatriati dall’Algeria indipendente. L’arrivo di circa 15.000 “Pieds-Noirs” – spesso con braccianti maghrebini al seguito – nell’isola fu visto dai Corsi come una misura coloniale della Francia e unitamente alle discriminazioni perpetrate a sfavore dei Corsi da parte della SOMIVAC, generarono una forte reazione da parte della popolazione autoctona. Nel 1968 videro così la luce, come reazione ai fatti sopra riportati,  il FRC (“Fronte regionalista corso”) e l’ARC (“Azione Regionalista Corsa”, poi “Azione per la rinascita della Corsica”). Il 18 agosto 1975 Edmondu Simeoni(ARC) occupò con 21 persone l’impresa agricola di un “Pied-Noir”, provocando l’intervento delle forze speciali francesi, lo scioglimento dell’ARC (29 agosto 1975) e gravi incidenti di piazza a Bastia, con un gendarme ucciso e carri armati per strada. Nel 1976 nacque, dalla fusione tra “Fronte PaesanuCorsu d i Liberazione” “Ghjustizia Paolina”, il FNLC (“Fronte di Liberazione Naziunale Corsu”, dedito ad atti di resistenza armata contro il governo francese per molti anni e dotato di un proprio braccio politico legale (“Cuncolta Nazionalista”) dal 1987. Nel 1977 Edmondu Simeoni fondò la “Unione di u Populu Corsu”. I nazionalisti corsi avevano intanto presentato una serie di rivendicazioni tra cui il riconoscimento della lingua corsa e l’introduzione del bilinguismo, la riapertura dell’Università di Corte, fondata da Pasquale Paoli e chiusa con la conquista francese della Corsica, la tutela dell’ambiente e la lotta alla cementificazione selvaggia. Il governo francese, in risposta alle rivendicazioni corse, dispose già dal 1972 la creazione del Parco Naturale Regionale della Corsica (che copre il 40% circa della superficie dell’isola) e riaprì nel 1981 l’Università di Corte. Nel 1975 la Corsica, fino ad allora appartenente alla Regione “Provence-Alpes-Côte d’Azur”, fu elevata a 22° Regione della Repubblica Francese. Sempre nel 1975 l’unico Dipartimento corso fu diviso nei due attuali Dipartimenti di Ajaccio e Bastia, corrispondenti alle regioni storiche del “Pumonte” e del “Cismonte”, come nel periodo 1793-1811.  Nel 1982 fu concesso il nuovo Statuto Regionale. Dagli anni ’90, nonostante sporadici eventi di lotta armata (come l’assassinio del prefetto Claude Erignac il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio), i nazionalisti corsi cominciarono a mietere successi elettorali di notevole portata. “Corsica nazione”, sorta nel 1992 dalla fusione di vari movimenti nazionalisti corsi e guidata da Jen-Guy Talamoni, ottenne nello stesso anno il 20% dei consensi alle elezioni per l’Assemblea regionale Corsa.“Corsica Libera”, sorta il 1° febbraio 2009 dalla confluenza di “Corsica Nazione” con “Accolta naziunale corsa” dell’ex consigliere regionale Pierre Poggioli, sotto la guida di Jen-Guy Talamoni e portatrice di un programma nazionalista radicale (cioè indipendentista), ottenne nel 2010 il 9,85% dei consensi e 4 seggi al secondo turno delle elezioni per l’Assemblea Regionale Corsa. “Femu a Corsica”, coalizione “nazionalista moderata” (cioè autonomista) guidata da Gilles Simeoni (figlio di Edmondu, avvocato e sindaco di Bastia dal 2014) et Jean-Christophe Angelini (segretario del “Partitu di a Nazione Corsa”, fondato nel 2002 dalla fusione della “Unione di u Populu Corsu” con altri due movimenti) ottenne nel 2010 il 25,89 % dei consensi e 11 seggi al secondo turno delle elezioni per l’Assemblea Regionale Corsa. Maggiore autonomia fu concessa alla Regione con la sua elevazione nel 1991 a “Collectivité territoriale de la Republique”, dotata di un Consiglio Esecutivo con il proprio Presidente e di un’Assemblea, entrambe con sede ad Ajaccio, e con la Legge sulla Corsica del 2002. Il referendum per l’ampliamento dell’autonomia regionale con la soppressione dei due Dipartimenti e il trasferimento delle loro funzioni alla “Collectivité territoriale” di Corsica fu respinto nel 2003, a causa dell’opposizione dei gollisti fedeli al tradizionale centralismo francese e di una parte dei nazionalisti corsi, timorosi che tale parziale e insoddisfacente concessione avrebbe indebolito le istanze di autogoverno dell’isola.

CORSICA E ITALIA” – Parte VI – La Corsica nel XXI secolo.

La Corsica di oggi è scarsamente popolata (poco più di 300.000 abitanti totali, 35 per kmq), di cui 26.000 cittadini stranieri (8% della popolazione, più della metà dei quali magrebini). L’isola sconta una spiccata marginalità economica, territoriale e culturale rispetto al resto dello Stato Francese, cui appartiene da quasi 250 anni.  Dal punto di vista economico, la Corsica è ultima in Francia sia per PIL totale che per PIL medio per abitante (inferiore di oltre un quinto –  20.000 Euro contro quasi 26.000 Euro – rispetto alla media francese). Il tasso di disoccupazione è ben più elevato della media nazionale (16% contro 12%). I settori economici prevalenti sono l’agricoltura, l’allevamento e il turismo, mentre le uniche industrie di esportazione sono la birra e la componentistica aeronautica. I collegamenti stradali e ferroviari interni sono pessimi (la ferrovia Porto Vecchio-Bastia è stata addirittura soppressa, per cui gli unici collegamenti su rotaia sono quelli tra Ajaccio, Bastia e Calvi), mentre i collegamenti aerei (sei aeroporti civili) e navali (principalmente da Ajaccio, Bastia, Isola Rossa e Bonifacio verso i porti francesi di Marsiglia, Nizza e Tolone e i porti italiani di Savona, Porto Torres, Livorno e Santa Teresa di Gallura) sono più frequenti nella stagione turistica. In Corsica esiste anche l’aeroporto militare di Solenzara, base strategicamente molto importante per la presenza dei cacciabombardieri dell’aviazione militare francese, oltre che numerosi poligoni di esercitazione nel resto dell’isola. La principale differenza tra Corsica e Francia rimane però la profonda alterità linguistica e culturale della prima rispetto alla seconda, solo in parte colmata da quasi 250 anni di francesizzazione forzata. L’autonomia regionale, che pur tra tante difficoltà è stata faticosamente e progressivamente ampliata con le riforme del 1975, del 1982, del 1991 e del 2002, è la cornice indispensabile per il recupero dell’identità corsa, che passa necessariamente attraverso l’ufficializzazione della lingua autoctona dell’isola. Il nazionalismo corso dispiega ormai una forza politica ragguardevole. I nazionalisti corsi dal 2010 controllano ormai ben 15 seggi (di cui 4 i radicali di “Corsica Libera” e 11 i moderati di “Femu a Corsica”) sui 51 dell’Assemblea Regionale Corsa, la cui maggioranza di centro-sinistra esprime il Consiglio Esecutivo della Corsica, presieduto da Paul Giacobbi del “Parti radical de gauche”. E’ un nazionalista corso anche il sindaco della città di Bastia, Gilles Simeoni. Laurent Marcangeli, sindaco dell’altra grande città, Ajaccio, è invece espressione del partito“Union pour la Majorité Presidentielle” (UMR) di centro-destra. Il  17 maggio 2013 l’Assemblea regionale della Corsica ha votato la co-ufficialità della lingua corsa con quella francese, anche se il Ministro Manuel Valls si è affrettato a dichiarare che il Consiglio Costituzionale dichiarerà incostituzionale questa delibera. Negli ultimi 25 anni, comunque, dalla Corsica si sono levate diverse voci in favore di una rivalutazione della lingua italiana come lingua colta dell’isola e di una ripresa dello storico legame culturale e linguistico intercorrente tra la Corsica e la “terraferma” italiana. Tra queste iniziative si segnala la rivista “A Viva Voce” (http://www.wmaker.net/avivavoce/), “La sola rivista in italiano scritta da Còrsi”“Alcuni uomini e alcune donne di Corsica, premurosi del rinverdimento della lingua dotta dei nostri antenati hanno deciso di pubblicare questa rivista in lingua italiana. Essa è un nostro retaggio e un puntello per mantenere viva la lingua còrsa” animata da un gruppo di studiosi isolani che si propone di utilizzare, al posto del corso o in supporto ad esso, la lingua italiana come lingua colta. E’ stata inoltre avviata una collaborazione tra l’Università di Corte e l’Università di Pisa, che organizzano insieme convegni e attività culturale tese a riallacciare l’antico legame tra le due sponde del Tirreno. Ancor più recentemente è apparso “Corsica Oggi” (http://corsicaoggi.altervista.org/) sito di “notizie e attualità còrsa” interamente in lingua italiana, che “vuole essere un’occasione per riprendere il filo che da sempre lega la cultura italiana e la Corsica”. Come si può leggere sul sito, “Il còrso non ha che da perdere allontanandosi dall’italiano. Rischierà di francesizzarsi e snaturarsi sempre di più. Già oggi parole come “u tuvagliolu” (il tovagliolo) sono spesso sostituite da una parola mutuata dal francese, in questo caso “a servietta”. Crediamo invece che lo studio e l’uso della lingua italiana accanto al còrso e al francese possa essere uno dei sostegni per permettere alla lingua nustrale di sopravvivere e rifiorire. E allora proviamo ad usarlo, e vedremo quante somiglianze ha con la lingua corsa. Può aiutarci a preservare la nostra identità, e può essere occasione di arricchimento culturale e di opportunità economiche, vista la vicinanza geografica dell’Italia e all’importanza del suo turismo verso l’isola”. E’ auspicabile che il popolo corso, che attraverso le sue rappresentanze politiche sta svolgendo una meritoria battaglia per la difesa e la promozione della lingua autoctona, possa presto riabbracciare anche la lingua italiana che appartiene indissolubilmente alla sua storia e recuperarla come lingua colta tradizionale dell’isola, da utilizzare a fianco del Còrso nelle scuole, nella televisione, nella stampa, nel teatro e nella letteratura, quale strumento indispensabile per la conservazione della stessa identità della Corsica.

Luca Cancelliere





sabato 16 gennaio 2016

CORSICA E ITALIA cap. I° - Luca Cancelliere

Dobbiamo esser sinceri: noi guardiamo alla Corsica come ad una figlia perduta. Alla stregua di Garibaldi, che seppur gravemente ammalato ed infermo, volle ammirare dalla finestra della sua stanza da letto le montagne dell'isola bella fino all'ultimo respiro. Ed ancora oggi a Caprera una statua dell'eroe rimira le Bocche di Bonifacio con aria sognante, a perenne ricordo delle speranze del generale: vedere tutte le terre italiane riunite sotto un'unica bandiera. Da Malta alla Vetta d'Italia, da Nizza alla Dalmazia. Quei sogni sembrano oggi così lontani ed inattuali, avvolti da un'aura malinconica. Di alcune terre sembra sia ormai impossibile rivendicare niente. Ma ciò non toglie che si possa ravvivare la memoria del passato e tessere nuovi legami culturali, soprattutto laddove è ancora vivo un richiamo alle comuni radici. E ciò vale in particolar modo per la Corsica.
Nessuno può negare che l'Italia e la vicina isola abbiano intrecciato più volte i loro percorsi lungo il tortuoso cammino della storia. Torna a ricordarcelo con questo bel articolo Luca Cancelliere, tracciando un profilo sintetico, ma dettagliato, del profondo legame che lega la penisola alla Corsica. Dalla preistoria all'epoca romana, attraverso il medioevo, per giungere al secolo dei lumi e al dirompente sorgere dei primi moti d'indipendenza nazionale in tutta Europa, seguitando lungo il secolo XX°, tra i progetti d'irredentismo filo-italiano e la nascita dei movimenti indipendentisti còrsi. Una lunga storia che si protrae da oltre tre millenni e che, tra alti e bassi, giunge fino a noi. Essendo stato scritto alcuni mesi fa, manca all'appello nell'articolo la notizia più importante degli ultimi per la Corsica. Il 13 dicembre 2015, dopo quarant'anni di lotte, tra attentati, bombe, militanti incarcerati e scontri intestini al movimento stesso, i partiti indipendentisti si sono coalizzati ed hanno vinto le elezioni regionali. Un risultato storico che ha mandato in tripudio tutta l'isola, tra caroselli festanti e canti di gioia. Pure noi non abbiamo potuto fare a meno di guardare con sincera soddisfazione a questo risultato elettorale. E' vero, non siamo mai stati teneri con le “piccole patrie” ed abbiamo scarsa simpatia per il fenomeno indipendentista in genere; ma riteniamo che la strenua lotta degli isolani abbia una profonda giustificazione: la Corsica non è Francia! I còrsi non sono francesi e parlano una lingua che è diretta discendente del nostro amato idioma. Questa vittoria può rappresentare un primo passo di riavvicinamento verso l'Italia. E' vero, i partiti indipendentisti al momento ci sono distanti e forse anche un po' ostili perché, oltre ad esser desiderosi di un'indipendenza tanto agognata, alcuni di loro ci vedono come possibili “dominatori” di domani. Pesa su questo giudizio l'occupazione dell'isola da parte italiana nel 1942, che molti còrsi d'oggi ci rinfacciano con una certa acredine, forse non del tutto giustificata come dimostra Cancelliere stesso nel suo articolo. Ma grazie all'opera emerita di alcuni associazioni, sono stati gettati i primi ponti di collegamento fra le due sponde. Uno su tutti, il giovane sito "Corsica Oggi", composto da còrsi ed italiani, di cui è necessario rimarcare una volta di più l'importanza dell'operato. In primis quello di far riscoprire in Corsica l'italiano, che fu la lingua colta parlata nell'isola fino alla metà del XIX° secolo – prima che i francesi ne vietassero l'utilizzo – e accanto a cui la parlata còrsa prosperava libera e feconda. In secondo luogo raccontare agli italiani la tormentata e complessa storia di questa antica isola e del suo fiero popolo. Obbiettivi di primaria importanza su entrambi i fronti. Perché se i còrsi vogliono che la vittoria di dicembre non sia un fuoco fatuo, dovranno riscoprire l'Italia e la sua lingua quali migliori alleate per la salvaguardia non solo del loro dialetto, ma della loro stessa identità. Mentre noi italiani, assuefatti da una globalizzazione sfrenata e sempre più sradicati e spenti, dobbiamo imparare dal mirabile esempio di dedizione alla causa e spirito di sacrificio dimostrato in questi lunghi anni dal popolo còrso. Nell'articolo di Cancelliere si cita un passo profetico di Pasquale Paoli, “u Babbu di à Patria”, dove affermava che dalle lotte dei còrsi sorgerà per l'Italia il sole della Libertà, quasi a prefigurare l'esplosione del Risorgimento nel secolo successivo. Forse sarò un ingenuo, ma mi auguro vivamente che anche stavolta la Corsica torni ad insegnarci la cosa più importante: senza sacrificio non si ottiene niente. E che questo sia un vivido monito per i giorni bui che si prefigurano di fronte a noi. Solo quando avremo imparato di nuovo a soffrire e a combattere per la Patria potremo tornare ad abbracciare il popolo còrso.


Sandro Righini




CORSICA E ITALIA” – Parte I – Corsica e Italia fino al 1729.

Sin dai tempi proto-storici la Corsica, quarta isola del Mediterraneo dopo Sicilia, Sardegna e Cipro con i suoi 8.680 kmq, fu legata da una parte alla penisola italiana, dall’altra alla vicina isola di Sardegna. La prima grande civiltà corsa fu quella megalitica, apparsa nel IV millennio a.C. e legata, secondo Giovanni Lilliu, alla coeva sarda “Cultura di Ozieri”.Durante l’Età del Bronzo si diffuse la c.d. “Civiltà Torreana”, dal nome delle costruzioni tronco-coniche (“Torri”) simili ai Nuraghi sardi. Anche in questo caso, il legame con la coeva civiltà sardo-nuragica è palese.  Abitata da popolazioni liguri sin dal II millennio a.C., la Corsica entrò nella sfera d’influenza etrusca dopo la battaglia di Aleria del 535 a.C. e fu poi occupata dai Romani durante la Prima Guerra Punica (264-241 a.C.). Da allora e per due millenni, fatta salva la breve parentesi dell’occupazione vandalica (65 anni)a cavallo tra V e VI secolo d.C., la Corsica fu ininterrottamente legata alla penisola italiana.Essa fece parte del Regno d’Italia medievale, governato dai Re longobardi fino al 774 e parte del Sacro Romano Impero poi. In quest fase, vi fu una forte presenza in Corsica delle famiglie nobiliari italiane degli Obertenghi, dei Pallavicino e dei Malaspina. Dopo l’anno Mille si impose in Corsica la potenza marinara della Repubblica di Pisa (1073-1284). Infine, dopo la famosa Battaglia della Meloria (1284), iniziò il lunghissimo dominio della Repubblica di Genova (1284-1768). Genova instaurò un’occupazione permanente solo a partire dal 1374, a seguito del venir meno delle pretese aragonesi originate dalla bolla d’investitura di Bonifacio VIII. Già in epoca romana, l’isola aveva subito una profonda romanizzazione, in ragione soprattutto della distribuzione di terre a favore di legionari romani provenienti dalle attuali Sicilia e Calabria e della deduzione delle due colonie di Mariana e Aleria. Ma soprattutto il periodo pisano fu determinante nella costruzione dell’identità corsa come la conosciamo oggi. Il volgare toscano si impose incontrastato nella toponomastica, nell’onomastica (ancora oggi i cognomi corsi sono prevalentemente di origine toscana), nel canto popolare e nell’uso ufficiale dell’italiano come lingua dell’amministrazione e della Chiesa. L’idioma corso formatosi nel Medio Evo fu definito da Niccolò Tommaseo “Lingua possente, e de’ più italiani dialetti d’Italia” e “Dialetto italiano più schietto e meno corrotto”. L’influsso pisano fu determinante anche in campo artistico e architettonico: il romanico pisano divenne lo stile architettonico tipico dell’isola. Dal XIII al XIX secolo, l’Ateneo di riferimento per i giovani Corsi che intendevano proseguire gli studi – anche dopo la conquista francese – fu l’Università di Pisa. Dal XIV secolo in poi, ebbe notevole importanza la “Guardia Corsa Papale”, un corpo militare pontificale composto da Corsi, poi sciolto nel 1662. Il governo dell’isola, a partire dalla fine del XV secolo, fu appaltato dalla Repubblica di Genova al “Banco di San Giorgio”, che sottomise la riottosa aristocrazia isolana e diede alla Corsica un assetto amministrativo definitivo con gli“Statuti civili e militari” del 1571, che affidavano l’isola al “Magistrato di Corsica” con sede a Genova e da un governatore residente coadiuvato dal “Consiglio dei dodici nobili”. I territori erano governati da luogotenenti e i villaggi da assemblee locali che nominavano i “padri del Comune”. Un ulteriore elemento che contribuì ad accentuare i legami tra Corsica e “terraferma” italiana fu il costante afflusso, durato per secoli fino all’inizio del Novecento, di immigrati dalla Toscana e soprattutto dalla Lunigiana e dalla Lucchesia. Ancora fino a pochi decenni fa, con il termine “Lucchesi” i Corsi erano soliti indicare nel loro complesso gli Italiani continentali. La costituzione, ad opera dei Genovesi, di nuove colonie di popolamento di immigrati liguri, come Bonifacio e Calvi, non pregiudicò la supremazia dell’influsso toscano sull’idioma corso. Di origine corsa è invece buona parte della popolazione della Sardegna settentrionale. La città di Sassari nel Medio Evo fu destinataria di flussi demografici corsi e toscani e l’idioma sassarese riflette la base corso-toscana (con apporti sardo-logudoresi e, in misura minore, liguri). Per quanto concerne la Gallura, è noto che dopo le guerre sardo-aragonesi del XIV e del XV secolo, quel territorio fu in buona parte ripopolato da Corsi, che vi impiantarono l’attuale idioma gallurese che può essere considerato una parlata a base corso-toscana affine al corso ultramontano. Molti Galluresi hanno poi compiuto in senso inverso il percorso dei loro antenati, emigrando in Corsica dalla Sardegna. Questo era il quadro linguistico, culturale e politico dell’isola alla vigilia della Rivoluzione Corsa del 1729.
  

CORSICA E ITALIA” – Parte II – La Rivoluzione Corsa (1729-1769).

Il notabilato rurale corso, che aveva maturato nelle assemblee locali del periodo genovese una non trascurabile esperienza politica e che costituiva un ceto dotato di una propria orgogliosa autocoscienza,fu il protagonista della lunga Rivoluzione Corsa, scoppiata nel 1729. La storiografia non è solita ricordare questo importante evento storico, che pure costituisce la prima delle “rivoluzioni borghesi” settecentesche e che è direttamente debitrice, se non addirittura anticipatrice, della cultura illuminista e riformatrice dell’epoca. L’insurrezione armata contro i Genovesi scaturì nel 1735 nella dichiarazione costituzionale di Corte, con la quale si proclamò l’indipendenza del “Regno di Corsica”. In questofoto lapide Corsica per libro su Nizza frangente la Corsica si dotò del suo attuale inno “Dio ti salvi Regina” scritto in lingua italiana dal pugliese Francesco De Geronimo. Successivamente all’intervento francese, richiesto dalla Repubblica di Genova che non era in grado di sedare la rivolta, e all’assassinio del capo insurrezionale Gian Piero Gaffori (1753), la Rivoluzione Corsa trovò un nuovo capo, Pasquale Paoli (1725-1807), nobile corso formatosi nell’ambiente illuminista napoletano di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri, che nel 1755 fu proclamato “Generale della Nazione Corsa” e promulgò la “Costituzione di Corsica”, scritta in lingua italiana. Il carattere italiano della Corsica era per Pasquale Paoli fuori discussione: “Siamo Italiani per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni (…). E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio (…). Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né “ribelli” e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani (….). O non saremo nulla (…) O vinceremo con l’onore o moriremo con le armi in mano (…). La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l’Italia il sole della libertà”.L’importanza che Pasquale Paoli annetteva al legame tra Italia e Corsica è rimarcata anche dal suo testamento del 1804: “Lascio cinquante lire sterline annue per il mantenimento di un abile maestro, che nel paese di Morosaglia, luogo di mezzo della pieve del Rostino, insegni a ben leggere e scrivere l’italiano, secondo il più approvato stile normale, e l’aritmetica alli giovinetti di detta pieve, ed agli altri che vorranno profittare di tale stabilimento (…). Avendo desiderato che fosse dal governo riaperta una scuola pubblica in Corte, luogo di mezzo per la maggior parte della popolazione dell’isola, lascio ducento lire sterline annue per il salario di quattro professori, il primo perché insegni la teologia naturale e i principj di evidenza naturale della divinità della religione cristiana; il secondo la etica e ii dritto delle genti; il terzo i principj della filosofia naturale, ed il quarto, gli elementi della matematica. E desidero che agli alunni l’insegnamento dovrà farsi in italiano, lingua materna de’ miei nazionali. (…) In caso poi che questa scuola in Corte non potesse aver luogo, fermo nel proposito di contribuire all’istruzione de’ miei nazionali, lascio ducentocinquante lire sterline annue per il mantenimento di cinque alunni in alcuna delle migliori università del continente italiano. Due dovranno essere scelti nel dipartimento del Golo, due in quello del Liamone (…), il quinto sarà della pieve di Rostino”.Pasquale Paoli, dopo varie vicissitudini che lo videro anche protagonista delle vicende rivoluzionarie del 1789, morì in  esilio a Londra nel 1807 e fu sepolto nell’Abbazia di Westminster. Quando nel 1889 i suoi resti furono portati nella tomba di famiglia a Stretta di Morosaglia, la lapide fu scritta in italiano. Ma torniamo alle vicende della Rivoluzione Corsa anteriori al 1769. In un primo momento, la fortuna delle armi e la volontà di indipendenza del popolo corso riuscirono ad avere la meglio sulla potenza militare francese. I Francesi ebbero in quella guerra più caduti che nella guerra d’Algeria. Tuttavia, dopo alcuni anni durante i quali Pasquale Paoli si era dedicato con successo e sagacia a gettare le fondamenta amministrative e militari della Corsica indipendente, la cessione dell’isola da Genova alla Francia avvenuta con il Trattato di Versailles del 1768 mise in difficoltà i Corsi, che furono definitivamente sconfitti dai Francesi nella celebre e sfortunata battaglia di Ponte Nuovo del 7 maggio 1769.


CORSICA E ITALIA” – Parte III – La Corsica sotto l’occupazione francese (1769-1918).

Dopo la brevissima esperienza del c.d. “Regno anglo-corso” del 1794-1796, che darà un’altra Costituzione della Corsica, anche questa volta scritta in lingua italiana, l’Ottocento vide la definitiva scomparsa delle tradizionali istituzioni assembleari dei villaggi corsi e un sempre maggiore accentramento in capo al governo di Parigi delle funzioni amministrative, esercitate tramite i due Prefetti dipartimentali dell’isola. La “guerra del Fiumorbo” del 1815-1816 fu l’ultima grande fiammata insurrezionale corsa. Durante l’Ottocento, in virtù di un decreto del 10 marzo 1805 che derogava per l’isola all’uso obbligatorio del francese, l’Italiano era ancora la lingua ufficiale dell’amministrazione, della Chiesa e della cultura. L’uso puro della lingua italiana era tipico degli esponenti del notabilato corso che “parlanu in crusca”, mentre il popolo parlava il vernacolo corso. Il primo significativo brano in idioma corso apparve all’interno dell’opera in lingua italiana “Dionomachia” del 1817, scritta dal magistrato Salvatore Viale: “O Spechiu d’e zitelle di la pieve/O La miò chiara stella matuttina/Più bianca di lubrocciu e di la neve/Più rossa d’una rosa damaschina/Più aspra d’a cipolla, e d’u stuppone/Più dura d’una teppa, e d’un pentone…”. L’autore così rivendicò l’appartenenza Corsica_ponte_genovese_tavignano_Altianidell’idioma corso alla lingua italiana: “Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l’italiana. La fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d’essere e di sentire: cose tutte nelle quali l’uomo corso essenzialmente differisce da quello del continente francese e soprattutto dal prototipo dell’uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi stessi principi; e la lingua corsa è pure italiana; ed anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d’Italia”. Mazzini, che nel ’31 vi giungeva da Marsiglia, così descrisse il suo arrivo in Corsica:“là mi sentii nuovamente, con la gioia di chi rimpatria, in terra italiana… Da Bastia ed Ajaccio in fuori, dove l’impiegatume era di chi lo pagava, ogni uomo si diceva d’Italia, seguiva con palpito i moti del centro e anelava a ricongiungersi alla Gran Madre”. Il 18 febbraio 1831, a testimonianza della concorde reputazione della Corsica come terra italiana, nell’ambiente rivoluzionario parigino il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi inserirono nell’accordo tra rivoluzionari italiani e francesi lo scambio tra Corsica e Savoia. Molti Corsi parteciparono al Risorgimento Italiano, come Leonetto Cipriani, che partecipò alla Prima Guerra d’Indipendenza del 1848-1849 e alla Spedizione dei Mille del 1860. La lingua italiana cominciò a essere vietata a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione di Parigi del 4 agosto 1859 che ribadì – dopo che già dal 1852 era stato stabilito che si dovessero redigere esclusivamente in lingua francese tutti gli atti dello stato civile – che la sola lingua ufficiale in Corsica era la lingua francese. Si temeva infatti, all’indomani della Seconda guerra d’Indipendenza italiana, che il neonato Regno d’Italia potesse avanzare rivendicazioni sulla Corsica. Nel 1870, peraltro, diversi esponenti politici italiani suggerirono a Vittorio Emanuele II, che non accolse il suggerimento, di approfittare della sconfitta francese a Sedan, oltre che per annettere Roma, anche per recuperare la Corsica. Nel marzo 1871, il giovane deputato radicale Georges Clemenceau propose all’Assemblea nazionale di prendere in considerazione la cessione dell’isola di Corsica all’Italia. Questa proposta si giustificava alla luce del sostegno che la Corsica, e particolarmente Ajaccio, avevano dato alla persona dell’Imperatore, e al conseguente ondata discriminatoria contro i Corsi che seguì alla proclamazione della Terza Repubblica Francese. Il 19 maggio 1882, pochi giorni prima della sua morte, Garibaldi affermò che“La Corsica e Nizza non debbono appartenere alla Francia; e verrà un giorno in cui l’Italia, conscia del suo valore, reclamerà a ponente e a levante le sue province, che vergognosamente languono sotto la dominazione straniera.” In quegli anni Emmanuel Aréne di Ajaccio, repubblicano moderato, impose i metodi clientelari e corruttivi della sua “consorteria” nella vita politica e sociale della Corsica. La Francia, con la sua politica doganale isolazionistica e discriminatoria per l’isola (cui vennero applicati, fino al 1912, un dazio del 15% per le merci esportate verso la Francia, ma del 2% per quelle importate dalla Francia), recise gli storici legami economici tra la Corsica e la “terraferma” italiana, con grave danno per l’economia dell’isola. L’istituzione di numerose scuole elementari nell’isola e l’arruolamento di tanti giovani Corsi nelle Forze Armate Francesi durante la Prima Guerra Mondiale (con quasi 20.000 caduti), intanto, acceleravano la diffusione della francofonia nell’isola.


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Luca Cancelliere