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sabato 16 novembre 2013

MORE ROMANO




L’esempio è il primo grande maestro. Le parole quando non sono seguite dall’azione si disperdono facilmente nel magma dell’incoerenza. Nell’educazione dei figli, nei rapporti d’amicizia, così come nella gestione del bene comune è di primaria importanza la coerenza. Per tale motivo gli antichi soppesavano con scrupolo religioso ogni atto ed ogni parola. Perché non si consideravano degli atomi separati dal consesso comunitario, liberi di dar sfogo ai più vani capricci dell’ego, ma percepivano se stessi come funzione organica di un corpo ben più vasto. E affinché un organismo possa adempiere al meglio la sua attività è necessario che ogni organo svolga il suo compito con la massima efficienza, soprattutto nei momenti di grande difficoltà, quando si trova allo stremo delle forze. Come la nostra Italia che è precipitata ai minimi storici, prona ad una classe politica ladra, ipocrita e meschina, che fa del vaniloquio il suo vessillo distintivo. Un organismo oramai malato, in cui i centri di comando si ostinano a perseguire una logica di morte mentre di facciata c'illudono che vada tutto a gonfie vele. Uno scenario tra i più desolanti. Ma poiché il disperarsi non si addice alla nostra indole, sarà bene tessere le fila della memoria fino all’origine della nostra Civiltà, a quell’antica Roma che sempre sarà somma maestra di vita. E ciò non per vana nostalgia di un passato perduto, ma come monito augurale per un prossimo futuro in cui torni a scalpitare nei cuori quella nobile fiamma capace d’istruire l’animo alla virtù. Abbiamo scelto a tal proposito un brano emblematico di Tito Livio, in cui si dimostra cosa significhi la grandezza d'animo e quanto il buon esempio, dato da uomini autorevoli, possa contagiare a macchia d'olio il popolo.
In breve l’antefatto: durante la Seconda Guerra Punica, dopo che alterne vicende avevano portato Annibale fin sotto le mura di Roma, mentre Capua e Siracusa ritornavano in mano Romana, la Repubblica vive l’ennesima tensione interna. L’erario langue surclassato dalle spese militari, mentre avanza il bisogno impellente di arruolare nuovi rematori da destinare alle flotte che presidiano i litorali italici. I consoli, con una decisione impopolare, sentenziano che i privati cittadini, a seconda del loro censo, garantiscano per trenta giorni paga e vitto ai rematori. Scoppiano immediate le proteste dei cittadini. Provati da lunghi anni di guerra, con i propri patrimoni ridotti all’osso, arrivano vicini a far scoppiare una rivolta. Il senato decide allora di consultarsi con i Consoli per trovare una soluzione equa al problema. Dopo tre giorni di dissertazioni, sull’orlo di dar seguito alla prima proposta, il console Levino prende parola ed espone la sua autorevole proposta:

Era una situazione molto difficile: ogni proposta si incagliava e sembrava quasi che una sorta di torpore si fosse impossessato delle menti dei cittadini. Espresse allora la sua opinione il console Levino: come i magistrati erano superiori al senato per la dignità della loro carica, e come il senato era superiore al popolo, così dovevano servire da guida per affrontare ogni situazione, per quanto dura e difficile fosse. Disse: <<Se uno vuole imporre una misura di legge ad un suo inferiore, deve prima imporla a sé e ai suoi: è questo il modo per ottenere facilmente obbedienza da tutti. Ed è meno gravosa una spesa quando si vede che i capi se ne assumono il peso in misura superiore a quanto loro spetti. Pertanto se è nostra volontà che il popolo romano disponga di una flotta ben equipaggiata e che i privati forniscano i rematori senza possibilità di rifiutarsi, dobbiamo imporre a noi stessi per primi l'onere. Domani, noi senatori, andiamo a versare oro, argento, tutto il bronzo coniato nelle casse dell'erario; e dunque ciascuno conservi per sé, per la moglie e per ognuno dei figli un anello, e una bolla per il figlio; quelli che hanno moglie e figlie conservino un'oncia d'oro a testa. Coloro che hanno occupato una magistratura curule conservino, in argento, i finimenti del cavallo e una libbra a testa, tanto di che trarne una saliera e un piatto per il culto divino; gli altri senatori conservino soltanto una libbra d'argento e lasciamo poi a ciascun padre di famiglia cinquemila monete di bronzo. E allora consegnamo ai triumviri tesorieri subito tutto l'oro, tutto l'argento, tutto il bronzo coniato, senza nemmeno aspettare un senatoconsulto affinché la spontaneità dell'offerta e la gara per aiutare la repubblica incitino all'emulazione prima gli animi dei membri dell'ordine equestre, poi quelli del resto della plebe. Questa è l'unica strada che noi consoli abbiamo individuato dopo aver a lungo parlato tra noi: intraprendiamola con l'aiuto degli dèi! Se lo stato è indenne, facilmente tutela la sicurezza dei patrimoni privati, ma se uno tradisce gli interessi comuni, non riuscirà mai a difendere i propri!>>. Questa proposta raccolse il consenso con tale entusiasmo che tuti, di loro iniziativa, andavano a ringraziare i consoli. Il senato fu congedato e tutti presero a versare nell'erario, sedcondo le loro possibilità, oro, argento e bronzo in una tal gara che volevano che, nei registri, i loro nomi figurassero per primi o tra i primi, e i triumviri non stavano dietro alle offerte e i segretari alle registrazioni. Questo attegiamento unanime del senato fu emulato dai memebri dell'ordine equestre e poi, di seguito, dalla plebe: così senza un editto, senza costrizione da parte dei magistrati la repubblica rispose al bisogno di rinforzi per gli equipaggi e di paghe. Apprestata ogni cosa che serviva alla guerra, i consoli partirono per le zone di operazioni di loro competenza.

Tito Livio
Libro XXVI cap. 36

lunedì 4 novembre 2013

CESARE BATTISTI E IL CONFINE AL BRENNERO - I sentimenti della vedova


I sentimenti della Vedova
di Ferruccio Bravi





Come il Martire, la vedova Ernesta Bittanti anteponeva l’Italia alla passione politica. Ricordo che, una decina d’anni prima della mia breve disputa con la figlia Livia, mi aveva inviato poche righe per ringraziarmi di averla divertita con certi epigrammi vignettati che avevo diffuso a Trento in occasione della prematura erezione dello sconcio suppositorio ivi innalzato al ‘trentino prestato all’Italia’. Aveva apprezzato la vignetta in cui Dante, “l’eterno esule”, scendeva crucciato con una valigetta ventiquattrore dal piedistallo del suo Monumento brontolando un’invettiva contro i trentini: «Se preferite a me il democristiano / faccio fagotto e me ne vo’ a Bolzano ». In particolare le era piaciuta la ‘sfumatura lirica’ d’una quartina su ‘el ròcol del pôr Cesar’1:

Quando imbruna, sul Doss Trento
scende un angelo dal cielo
e, pietoso, stende un velo
sopra l’altro monumento.

Nel breve scritto della Vedova traspariva grande attaccamento alla memoria di Cesare e sublime amor di Patria. Dalla voragine cartacea che lo ha inghiottito irrimediabilmente è emerso però un testo di valore storico: il testo d’una lettera datata Laurana, Capodanno 1921, sei giorni dopo il Natale di Sangue. Ernesta era lì, ad una ventina di chilometri da Fiume, dove fra i legionari si trovava il giovanissimo Gigino, il figlio che il Martire avrebbe voluto al suo fianco «presso la Vetta d’Italia » se il germanesimo prostrato avesse rialzato il capo. Affranta per la tragedia della Città Olocausta, così scriveva fra l’altro alla sua cara amica fiumana, Gigetta Gigante, sorella del podestà Riccardo:
«Io da qui ho assistito alla tragedia. Lei che sa con quante lagrime io avessi in precedenza pianto su questi eventi – non so se più tragici in o deprecabili nelle loro remote cause – immagina come l’angoscia mia fosse straziante. Né il mio cuore di donna sia meno straziato del mio cuore di cittadina, che tra quelle mura ove si abbatteva il cannone e crepitavano le mitragliatrici c’era mio figlio.
L’angoscia di Fiume, l’angoscia d’Italia l’ho sentita tutta nel mio cuore. Ma quanto più si soffre, più s’ama. E mi sembra di amare Fiume di sentire il palpito dell’Adriatico assai più di prima. Spero e credo che anche in loro, Fiumani, il dolore per la grave offesa offuscherà la visione dell’Italia, realtà superiore e sopravvivente ad ogni governo, non troncherà l’indomito amore con cui essi l’hanno invocata, non diminuirà la forza di resistenza ora più che mai necessaria.
All’indomani della vittoria di Vittorio Veneto fu l’ebrezza, fu l’improvviso mancare della necessità dello sforzo, fu l’affacciarsi di enormi problemi di ricostruzione, che fecero immemori i più dell’esistenza di un antico nemico interno e disaccorti delle sue insidie. Da quel giorno si iniziò la lotta che ha culminato nella tragedia di Fiume. Ebbene io mi augurò che il dolore recente faccia più saggi della gioia di allora. Che, vincendo i tumultuosi sentimen-ti dell’ora, l’animo dei fiumani riabbia quella calma coraggiosa che è essenzialmente necessaria alla calma visione delle necessità presenti e future, onde non vada totalmente smarrito il frutto di due anni di splendente eroismo. Con essa soltanto e con tenace paziente resistenza, l’animo dei fiumani, così temprato dalla lotta, saprà vincere le innumerevoli insidie, che certo in quest’ora si avvolgeranno intorno a loro… » 2.
Diagnosi ineccepibile del male, in questa lucida esternazione; ma nessuna terapia vi è esplicitamente accennata. Qualche anno dopo quel buio 1921 un compagno di Battisti, da cui certi socialisti non hanno appreso nulla, diraderà le nubi addensate su quella «realtà superiore e sopravvivente ad ogni governo » che si chiama ITALIA, fissandone saldamente i limiti al «Brennero e al Quarnaro » come era nei voti del Martire trentino.


1 Definizione, più affettuosa che irriverente, affibbiata dai trentini al Mausoleo di Cesare Battisti che per la sua forma richiama l’immagine del roccolo da uccellagione.

2 da «la Voce di Fiume », marzo 1991, n° 3, pg. 5.



domenica 3 novembre 2013

CESARE BATTISTI E IL CONFINE AL BRENNERO - Il confine alla Vetta d'Italia


« Se si trattasse di fissare, senz’altro riguardo, il confine naturale tra Germania e Italia dalla parte del Tirolo, ognuno dovrebbe ravvisarlo nelle alte giogaie del Brennero ».

Antonio Gazzoletti, La questione del Trentino, Milano 1860, pg. 38.



Il confine alla Vetta d’Italia
nel pensiero di Cesare Battisti
di Silvano Valenti

 
Si continua ad affermare che Cesare Battisti fu decisamente contrario al confine d’Italia al Brennero. È un luogo comune coltivato da marxisti, guelfi e neo-nazisti che allo scopo alterano grossolanamente la verità. Che certi politici facciano carte false è ormai universalmente risaputo; ma, batti e ribatti, un’asserzione zoppa diventa dogma e tutti sono costretti a credere o a fingere di credere.
C’è chi riesce addirittura a costruire la menzogna con la verità. Così in un recente volume edito dalle Pie Suore Paoline, troviamo le seguenti affermazioni di Battisti maliziosamente espiantate dal contesto: «Certi italiani confondono facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vorrebbero i confini d’Italia estesi fino al Brennero […] era da stolti vantare diritti su Bolzano e su Merano» 1. Ebbene la prima affermazione, oltretutto inesatta rispetto all’originale, riflette il pensiero del Battisti .autonomista nel 1895 e non del Battisti irredentista 2; così anche la seconda, pronunciata nel 1901 con riferimento alla «realtà del presente» 3.
Anni fa, a sostenere l’asserito salornismo di Battisti intervenne un acconcio «infortunio tecnico»: nell’epistolario battistiano curato da due esponenti marxisti, sparì una frase in cui si accennava alla Vetta d’Italia. Era in una lettera inviata alla moglie Ernesta, nell’estate del ’15, dal fronte del Tonale. Ecco il brano reintegrato:
«Ho più forte che non avessi alla vigilia della guerra, la convinzione che il germanesimo sarà debellato. Ho solo paura che i sentimenti umanitari dei latini (c’è per fortuna il contrappeso inglese) concedano la pace prima dell’esaurimento della razza tedesca e ci riservino di dovere, fra due o tre anni, rispondere a qualche aggressione dei discendenti di Arminio. Ma allora sarà il ‘finis finium’. Ed io, non su queste balze, ma presso la Vetta d’Italia, avrò vicino mio figlio».
La frase in grassetto, nella edizione nazionale citata a nota 2, è quella espunta nell’edizione curata dallo ‘storico’ marxista. Il quale per giunta insinua in nota che altri avevano apportato al testo «qualche modificazione» 4. In tal modo il lettore in buona fede è indotto a credere che il testo sia stato manomesso non da chi ha soppresso la frase, ma chi l’ha fedelmente riportata 5. Se si pensa che la storia contemporanea – somministrata dalla sconfitta del ’45 ad oggi attraverso i libri scolastici e i mezzi d’informazione di massa – è stata setacciata, ‘riveduta e corretta’ dai marxisti c’è da tremare… .
Inoltre nel nuovo Epistolario, è inserito un brano di lettera indirizzata a Salvemini – autore del Delenda Austria – lettera da ritenere apocrifa anche per rilevanti incongruenze. Nel ‘documento’, datato 1° gennaio 1915, si definisce «il confine linguistico puro, a Salorno, assai buono» 6, in contraddizione con quanto dichiarato da Battisti a Milano neanche due settimane dopo: «…giacché il territorio che è alle spalle del Trentino costituente la regione dell’Alto Adige, fa parte dell’Italia naturale… [il confine] sarà formidabile se arriverà alla grande catena alpina dal Passo di Resia, al Brennero, a Toblacco» 7.
Di rincalzo ai mistificatori marxisti e clericali operano i neo-nazisti ‘italiani’ in cerca di propaganda che mi guardo bene dal far loro; strani neo-nazisti che da Bolzano, da Saluzzo e da Trapani sostengono con la loro rozza professione salornistica i deliri della valchiria Eva Klotz, la più superba bellezza mediterranea che l’Alto Adige abbia donato al germanesimo che li invasa. Strani, dico, per non dir peggio, essendo ignari – questi pezzi d’ignoranti – che il loro beneamato Führer si è sempre opposto all’arretramento del confine d’Italia a Salorno 8.
Con le esplicite attestazioni di Battisti che rivendicano all’Italia il confine geografico alpino (non quello linguistico puro che taglierebbe l’Adige parecchio al disotto del Tiralli dantesco) concorda la significativa carta geografica riprodotta qui presso in estratto, nella quale Battisti ha tracciato la linea di confine segnata dal Tolomei. In questa carta allegata al suo già citato Trentino il limite etno-linguistico taglia l’Isarco fra Chiusa e Bressanone dividendo in due parti il Tirolo cisalpino: la parte inferiore, che comprende l’intero tratto atesino Salorno-Resia, il basso Isarco e le valli dolomitiche, è rivendicata per ragioni geografiche, storiche ed etnico-linguistiche; quella superiore, che comprende l’Alto Isarco e la valle della Rienza è rivendicata solo per ragioni geografiche. Elaborata con la serietà con cui il Battisti soleva attendere ai lavori scientifici, questa sua carta attesta in modo inequivocabile la ferma convinzione del Martire trentino che il giusto confine d’Italia dovesse essere quello attuale del Brennero.

Note
1 M. Pancera, Lorenzo Milani: quarant’anni di storia scomoda, Milano 1987, pagine 97-98. Apologia d’una delle peggiori erbacce della vigna del Signore, di un prete marxistoide che incitava alla ribellione e alla sovversione dei valori civili e morali.
2 A proposito di certi «pubblicisti italiani che confondevano troppo facilmente il Tirolo con il Trentino o, con poca logica, volevano i confini d’Italia estesi fino al Brennero»: Antonio Gazzoletti, Del Trentino e delle sue attinenze con l’Italia e la Germania (Milano, 1866) e C. Battisti, Scritti politici, edizione nazionale, Firenze (Le Monnier) 1923, pg. 349.
3 Dalla conferenza tenuta a Levico il 16 giugno 1901 per l’autonomia del Trentino nei confini dell’Impero d’Austria. Nel contesto del brano, qui integralmente trascritto, la frase ha un senso diverso da quello mistificato del Pancera: «I Tedeschi non hanno diritto di opprimerci senza rinnegare la storia loro, senza insultare la memoria del loro Tirteo, di Teodoro Körner, dei loro martiri, dei loro padri più illustri. Per crearsi questo diritto sapete cosa hanno pensato? Hanno inventato la favola che noi siamo Tedeschi italianizzati e dobbiamo ritornare tedeschi. Noi, senza inventar frottole, potremmo davvero dimostrare che la lingua nostra si spingeva un tempo al di là di Bolzano, fino a Merano; eppure di fronte alla realtà del presente riterremmo stoltezza il vantar diritti su Merano e Bolzano». – Scritti politici, cit., pg. 97.
Si noti che l’affermazione, oltre a riferirsi alla realtà del 1901, riguardava i confini amministrativi, non i confini nazionali. Lo stesso Tolomei, che mai fu salornista e nessuno oserebbe gabellarlo per tale, era dello stesso avviso del Battisti. Il patriota di Gleno, eterno fautore del confine nazionale al Brennero, ha sempre difeso il confine amministrativo a Salorno, restando irremovibile anche dopo che il Governo Mussolini ebbe esteso a nord il territorio provinciale includendovi il tratto atesino oltre Salorno. Tanto da dover subire una pesante ostilità di certi ‘fascisti’ trentini che, sotto la camicia nera, coltivavano un amore sviscerato per la Val de Sóra annessa alla cara patriaccola trentina.
4 Edizione degli scritti di C.B. a cura di P.Alatri e M. Monteleone, Firenze (Nuova Italia) 1966, II, pg. 65, 364. Occhio alle date: fu diffusa in luglio in coincidenza con le concessioni aggiuntive del ‘pacchetto’ (concordate a nostro danno fra Magnago e Moro, con la benedizione dei marxisti) e largamente reclamizzato a Bolzano sul finire del ‘67 in concomitanza con una preordinata campagna di ‘giovani democratici’ (= marxisti e catto-comunisti) contro il confine del Brennero. – a., Il solito sistema: invocano falsandolo il pensiero di Battisti, «la Vetta d’Italia», 1967-VIII, n° 12, pg. 2.
5 A chiarimento, Ferruccio Bravi, reggente dell’Archivio di Stato di Bolzano, si rivolse a Livia Battisti figlia del Martire, la quale, con lettera 4 gennaio 1967 da Trento, rifiutò il consenso di accedere al documento originale, ma confermò che la frase era stata espunta, attribuendone la sparizione ad un «infortunio tecnico». Altrettanto dichiarò l’Alatri ad un settimanale che aveva chiesto ragione del taglio. M. Lorandi, Manomesso l’epistolario (v. qui a pg. 29 ) e a. «Infortunio tecnico» definisce Alatri la soppressione della frase sul confine alla Vetta d’Italia, «la Vetta d’Italia», 1967-VIII, n° 3, pg. 5.
6 Trascrizione dell’intero brano, da pg. 387 dell’edizione curata da Alatri e Monteleone: «In merito all’Alto Adige, io penso che senza paure si possa difendere oggi il confine napoleonico. Ho dei dubbi per un confine più a nord. Pubblicamente non li espongo, perché non tocca a me, irredento, togliere valore al programma massimo degli irredenti. Militarmente, il confine del Brennero è formidabile; il confine napoleonico piuttosto debole: il confine linguistico puro, a Salorno, assai buono.| Credo che una difesa del territorio, qualora si andasse in Alto Adige, si dovrebbe fare da questo confine interno abbandonando Bolzano. Ma il giudizio è molto arrischiato». Piuttosto oscuro appare quest’ultimo periodo: quale il ‘territorio’ da difendere, quale il ‘confine interno’? Di battistiano riconosco solo quel ‘formidabile’ che incorre nelle attestazioni autentiche. Lorandi, nell’articolo a pg. 25, osserva che il brano non era trascritto da «originale controllato e controllabile», bensì «da un presunto originale che il Salvemini affermava di possedere nel momento in cui ne rendeva noto il testo (18 gennaio 1919), ma che non è stato mai né fotografato, né esibito e che oggi viene comunque dichiarato irreperibile».
7 Dalla conferenza L’italianità del Trentino e l’irredentismo italiano tenuta al liceo “Manzoni” di Milano il 13 gennaio 1915. I brani riguardanti l’Alto Adige sono riprodotti a pg. 22 dell’opuscolo celebrativo di Silvano Valenti, Italia al Brennero 1918-1988, Bolzano (Centro di Studi Atesini) 1988 (III ediz.). Sta di fatto che l’iniziale prudente propensione salornista fu ripudiata nettamente da Battisti. Basti un passo della sua lettera del 14 ottobre.1914 a Tolomei segnalatami da Paolo Mitolo: «[…] Brentari e Larcher mi hanno parlato del […] Salornismo. Stia tranquillo. Non sono affatto Salornista. E capiterà presto un mio articolo in proposito». Epistolario, T.I, pag. 353-54, doc. n. 275.

8 L’intangibilità del confine al Brennero, esplicitamente proclamata da Hitler negli anni ’30, è radicata in convinzioni anteriori all’avvento del nazionalsocialiamo. Ne troviamo traccia nel Mein Kampf di cui giova riprodurre qualche brano dall’edizione italiana (A. H., La mia vita - La mia battaglia, i-ii, ediz. Bompiani, Milano 1939-1941, traduz. di Bruno Revel dell’Università “Bocconi” di Milano):
[…] L’ultima volta, quando la nostra infernale stampa, che se ne infischia della nazione, riuscì a dare alla questione dell’Alto Adige un’importanza che doveva essere funesta al popolo tedesco, senza riflettere a chi rendessero servigio, molti uomini e partiti e associazioni cosiddette ‘nazionali’ per semplice timore della pubblica opinione […] si associarono al chiasso generale e scioccamente contribuirono ad appoggiare la lotta contro un sistema che appunto a noi Tedeschi deve apparire nella condizione presente come l’unico raggio di luce in un mondo che tramonta. […]. ii, cap.vi, pg. 120.
[…] Sì, Alto Adige. Se qui mi occupo appunto di questo problema, è anche per chiamare alla resa dei conti quella svergognata canaglia che contando sulla stupidità e la smemorataggine di nostri larghi strati, osa simulare un’indignazione nazionale che ai nostri imbroglioni parlamentari è più estranea di quanto sia estraneo ad una gazza il concetto di proprietà. Faccio notare che io sono uno di coloro che, quando fu deciso il destino del Basso Tirolo, ossia dall'agosto 1914 al novembre 1918, presero posto là dove si difendeva, in pratica, anche questo territorio: cioè nell’esercito. In quegli anni combattei anch’io, non perché il Tirolo del Sud andasse perduto, ma perché esso fosse, come ogni altro paese tedesco, conservato alla patria. Quelli che allora non combatterono furono i predoni parlamentari, tutta la canaglia politicante dei partiti […].| Ma chi oggi crede di poter risolvere il problema dell’Alto Adige con proteste, dichiarazioni, cortei ecc. o è un briccone o è un piccolo borghese tedesco. […] | Non esito a dichiarare che, ora che i dadi sono gettati, ritengo impossibile recuperare l’Alto Adige per mezzo d’una guerra. Non solo, ma sono convinto dell’impossibilità di infiammare per questo problema l’entusiasmo nazionale di tutto il popolo tedesco in quella misura che è necessaria per condurre alla vittoria. Credo invece che, se un giorno dobbiamo versare il sangue tedesco, sarebbe delittuoso versarlo per duecentomila Tedeschi quando sette milioni di Tedeschi languono sotto il dominio straniero. […]ii, cap. xiii, pg. 311 e sgg..


DOCUMENTI
 
1 – Ferruccio Bravi a Livia Battisti, da Bolzano, 20 XII 1966.

2 – Livia Battisti a Ferruccio Bravi da Trento, 4 I 1967.

 
3 – Ferruccio Bravi a Livia Battisti, da Bolzano, 9 I 1967.

4 – Livia Battisti a Ferruccio Bravi, da Trento, s. d.

 

5 - F. Bravi a L. Battisti, d.d. 16 I 1967.
Questa lettera chiude bruscamente il carteggio sulla soppressione della frase di Cesare Battisti in opposizione alla tesi salornistica.

 
6 Articolo di Maurizio Lorandi ne “La Vetta d’Italia”, Bolzano, 21 1 1967, anno viii, n° 1, pg. 2.
Sulla manomissione della lettera di Cesare Battisti nell’edizione curata dallo ‘storiografo’ marxista e su una fantomatica lettera in possesso del Salvemini in cui sarebbero espressi ‘dubbi per un confine più a nord’ di quello napoleonico del 1810. 


7 – L’Alto Adige: sezione superiore della carta di Cesare Battisti a corredo del suo studio Il Trentino, Novara (Istituto Geografico De Agostini) 1915.

sabato 2 novembre 2013

CESARE BATTISTI E IL CONFINE AL BRENNERO - Una luce e un monito


Rielaborato, con integrazioni, da:
Silvano Valenti, Italia al Brennero – 1918-1988, Ediz. de “La Vetta d’Italia” (Quaderni della “Clessidra, n.8 – a cura del “Centro di documentazione storica per l’Alto Adige, Bolzano (Presel) III ediz., 1988, pagine 54



«Chi muterà questa grandezza
in lunga disputa di vecchi,
in concilio senile d’inganni?
Inchiostro di scribi per sangue di martiri?
A peso di carte dedotte
Ricomperato il martirio degli anni?
[…] Vittoria nostra non sarai mutilata.
Nessun o può frangerti i ginocchi
Né tarparti le penne».

D’Annunzio, La Preghiera di Sernaglia.

«Solo quando il confine sarà portato allla grande catena delle Alpi esso sarà veramente formidabile e facilmente difendibile per la sua natura e per la brevità sua in confronto della lunghissima linea attuale ».

 


Ricordare il martirio di Cesare Battisti in questo solenne anniversario è un «omaggio dovuto alla memoria di chi con quel sacrificio ha segnato il Suo nome nella storia dell’umanità in generale e in quella della Patria in particolare». Il testuale è di Andrea Mitolo, che vent’anni fa commemorò Battisti e Filzi nell’italianissimo periodico altoatesino da lui fondato e diretto 1.
Dallo stesso articolo è tratto il testo d’apertura, Una luce e un monito cui seguono Il confine alla Vetta d’Italia nel pensiero di Cesare Battisti integralmente riprodotto dall’edizione del 1988, accresciuta e in breve esaurita, dell’opuscolo Italia al Brennero, alcuni documenti sulla maliziosa espunzione – mirata a puntellare la malferma tesi salornista – di un esplicito richiamo di Battisti alla Vetta d’Italia in una lettera dal Tonale alla moglie Ernesta, un articolo su questa manomissione pubblicato da Maurizio Lorandi e infine un dettaglio della carta geografica allegata a Il Trentino di Cesare Battisti in cui è chiaramente tracciato il confine al Brennero e alla Vetta d’Italia.
La seconda parte è tutta inedita e riguarda Andrea Mitolo, figura esemplare che lottò una intera vita in difesa dell’italianità dell’Alto Adige.
Queste pagine, in vista di una edizione a stampa, sono diffuse in rete a prevenire i ricorrenti rigurgiti di ‘salornismo’. A questo proposito ritengo tuttora attuale un mio giudizio di una ventina d’anni fa sui sentimenti e i risentimenti che in provincia di Bolzano sono sempre radicati; radicati, sì, ma, a Dio piacendo, «con qualche punto in più per i primi e molti di meno per i secondi, grazie alla rinnovata presa di coscienza e alla maturità di molti atesini dell’uno e dell’altro gruppo. Ci son voluti decenni di sofferenze e di umiliazioni, perché si cominciasse a capire che nella discordia tutto rovina e senza Patria nulla si costruisce. La macina del tempo frantuma le illusioni, le chimere, le utopie; ma non i valori veri, destinati a sopravvivere alle mutevoli bizzarrie della moda, e qualche amara esperienza giova a rafforzarli » 2.
FerruccioBravi


1 « La Vetta d’Italia » Bolzano, maggio-luglio 1986-xxvi/5-7. In questo periodico, del quale fui cofondatore con il prof. Lorandi e redattore dal 1960 al 1998, pubblicai vari studi molto apprezzati dall’avv. Mitolo che mi onorò di grande amicizia e stima. Oltre a vari studi di storia locale, di toponimia atesina e sulla ‘questione ladina’, vi pubblicai, nel Cinquantenario della Vittoria, il saggio Italia al Brennero in varie puntate poi raccolte in un fascicolo edito dal Centro di documentazione storica per l’Alto Adige, a cura di Silvano Valenti (eteronimo con cui firmavo gli studi minori).
2 Italia al Brennero, nota alla terza edizione (1988).



«Non v’è potenza più nobile di quella testa levata sul collo rigido e di quello sguardo fisso nello splendore del sacrifizio, mentre intorno si rimpiccioliscono i più goffi aspetti dell’abiezione umana.
Rare volte l’anima poté riscolpire l’uomo con tanto rilievo, in un’ora adamantina di eroismo. Si vede come Cesare Battisti pure prima di morire portasse nel suo volto quell’apparizione di bellezza morale che su la faccia dei martiri non si rivela compiutamente se non dopo il trapasso».







Una luce e un monito
di Andrea Mitolo


[…] Battisti fece ascoltare la sua voce in ogni parte dell’Italia peninsulare ed insulare, in una serie di conferenze, discorsi e scritti che infiammarono di passione gli Italiani più d’ogni altro interventista, fu il socialista che antepose al credo ideologico quello della Nazione e il suo destino doveva compiersi con la redenzione di Trento e Trieste e la conquista dei confini naturali. Fu il socialista che, secondo alcuni storiografi, avrebbe influito sulla conversione di Mussolini dal neutralismo all’interventismo 1. Fu il socialista che, accantonato il socialismo, si sentì soltanto italiano e come tale si comportò. È una menzogna, con cui lo si vorrebbe disonorare, quella secondo cui egli sarebbe stato contrario al confine del Brennero, perché questo avrebbe comportato l’inclusione di un territorio abitato prevalentemente da una popolazione allogena.
Basterebbe a smentirla la carta geografica che egli compilò per il saggio Il Trentino (con un’Appendice sull’Alto Adige), edito dall’Istituto Geografico De Agostini di Novara, prima dell’entrata in guerra dell’Italia. In essa Battisti segnò chiaramente che il confine geografico, naturale, dell’Italia seguiva la linea dello spartiacque alpino. Basterebbe la lettera del 14 ottobre 1914 a Ettore Tolomei col quale ebbe rapporti sempre più stretti. Come attesta la corrispondenza epistolare trafugata col saccheggio dalla casa di Gleno nel 1915. Con quella lettera Battisti smentiva seccamente le voci che lo indicavano come «salornista », cioè come fautore del confine a Salorno. In tutti gli scritti e in tutti i discorsi pronunciati durante la campagna per l’intervento Battisti propugnò «la suprema necessità di integrare l’Italia sino alle Alpi » e chiamò «la via del Brennero la gran porta settentrionale d’Italia ». 
Nel luglio del 1915 in una lettera alla moglie dal Tonale, affacciando l’ipotesi che il «germanesimo », contro il quale egli fu sempre in lotta, potesse risorgere dopo essere stato debellato dalla guerra in corso, affermava: « Ma allora sarà il finis finium. E io non su queste balze, ma presso la Vetta d’Italia avrò vicino mio figlio ».
Questa ultima frase è stata colpevolmente omessa nel testo della lettera pubblicata nell’Epistolario, curato da Paolo Alatri. Ma la figlia del Martire, Livia, a chi le ha chiesto spiegazione di tale sorprendente omissione, ha risposto con lettera del 4 gennaio 1967 2 che essa è dovuta «ad un errore di trascrizione », confermando che nell’originale la frase esiste. È auspicabile che in una eventuale seconda edizione o in un’appendice l’errore venga corretto, perché il richiamo alla «Vetta d’Italia », l’estremo limite settentrionale del confine additato, costituisce la testimonianza più certa che il pensiero di Battisti all’inizio della guerra coincise con quello di Tolomei e del governo italiano, che tre mesi prima aveva ottenuto dagli alleati, col Patto di Londra, il riconoscimento di quel confine, in caso di vittoria. E ai « confini della Patria » che «saranno al Brennero e al Quarnaro » accennerà significativamente nell’opuscolo Gli Alpini del 1915. […] 

1 Si è scritto peraltro che Mussolini fu cor­rotto dall'oro francese attraverso il compagno Cachin, socialista di lungo corso. È una versione accettata dalla ‘storiografia’ antifascista e perfino dal Partito Comunista Internazionale – di solito dissociato dalle mistificazioni degli antifascisti – che nel suo foglio ufficiale così scrive: «[...] dalla Francia Cachin portò a Mussolini la mazzetta dell’Intesa e con questi soldi, pochi giorni dopo, veniva alla luce il giornale guerrafondaio-demo­cratico "Il Popolo d'Italia". Sì, signori, il fascismo nacque come movimento demo-rivoluzionario di difesa delle nazioni democratiche!!!». Falsità del genere sono smentite non solo dalla provata incorruttibilità di Mussolini che disprezzava il danaro al segno di devolvere al popolo i suoi emolumenti attraverso le opere assistenziali, ma anche dalla secca rettifica del Cachin: «Se c'è un cre­ditore, questi è Mus­solini che offerse a me e a mia moglie una colazione a Milano» (il primo testuale è estratto da «il Partito Comunista», Firenze, novembre 1992, n° 205; il resto dalla Controstoria, tuttora inedita, di F. Bravi).

2 v. articolo seguente..