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lunedì 28 novembre 2011

La Dalmazia vista da un dalmata - Giuliano De Zorzi



Giuliano De Zorzi parla non da pretensioso cattedratico, ma da semplice cittadino del libero Comune di Zara in esilio; in questa veste, con espressione sobria e cattivante dominata a tratti da una forte tensione emotiva, rifà la storia della sua Dalmazia, della nostra Dalmazia dimenticata ma non perduta, perché un giorno dovremo pur tornare sulla negata quarta sponda. Nell'esposizione il lettore troverà cose in parte già note e piccole curiosità forse mai raccontate che arrivano al cuore e al tempo stesso restano impresse nella mente come realtà, non come vana astrazione.
Giuliano significa a parole, non per immagini. So che a far conoscer la Dalmazia attraverso le diapositive, ne verrebbe fuori una telenovela di cento e cento puntate. Per questo l'iconografia è qui ridotta ad una serie di illustrazioni che, per lo più, danno voce al linguaggio delle pietre: pietre venerande che narrano di Roma, di Venezia e d'Italia, pietre dei monumenti di Zara, di Spalato, delle isole incantate che inghirlandano la costa, giù giù fino a Ragusa già civilissima Repubblica, a buon diritto quinta delle nostre Repubbliche marinare.
Il quadro è abbozzato a grandi linee da sobri tocchi di pennello. Al particolare si accede consultando la Guida alle fonti che attraverso i titoli, opportunamente articolati e spesso commentati, intende ricomporre il tessuto storico e culturale della generosa regione dalmata. 




SOMMARIO

5 - DUE PAROLE DI PRESENTAZIONE

11 - LA DALMAZIA A VOLO D'AQUILA: .1 Orografia .2 Etnologia .3 Preistoria .4 Roma .5 Alto Medioevo .6 I barbari .7 In attesa dei tempi nuovi .8 I tempi nuovi .9 Le mille e una notte .10 Ragusa .11 Venezia .12 Campoformio .13 Fascismo .14 Epilogo .15 <<Ricòrdati e aspetta>> (D'ANNUNZIO)

35 - ALCUNE IMMAGINI

77 - GUIDA ALLE FONTI

83 - I: I luoghi (.1 I municipi .2 La toponimia storica)

125 - II: Vita e cultura

167 - III: Le figure emergenti (.1 Dalmati illustri e benemeriti .2 Uomini illustri di presunta o dubbia origine dalmata .3 Dalmati d'elezione .4 Dalmati d'altra estrazione)

245 - VARIA: .1 I primati .2 <<El Sì>> (SABALICH) .3 Notabilia



L'AUTORE AL LETTORE 

Giuliano De Zorzi nelle vesti di attore teatrale
 

Queste poche pagine, esposte nel modo più semplice e breve che mi è stato possibile per cercare d'interessare e di illuminare anche il lettore più frettoloso e superficiale, sono accompagnate da una massiccia <<Guida alle fonti>> elaborata dal Prof. FERRUCCIO BRAVI e dal Dott. ERMANNO GIUNCHI, ambedue di Bolzano, che ringrazio caldamente per la loro disinteressata e generosa collaborazione. 
Il testo vuole solo esprimere e far comprendere uno stato d'animo, la guida è consegnata in eredità alle generazioni future, affinché gli Italiani che un giorno inevitabilmente abiteranno la costa dalmata abbiano modo di conoscere l'identità di quelle pietre e il sapore di quella terra. E' il <<testimone>> che lascia con amore un figlio della terra di Dalmazia.

G. DE Z.



Presso il Gruppo di Studio AVSER al momento sono rimaste un numero esiguo di copie del volume che però è stato recentemente ampliato dal Prof. Bravi, passando da 260 a 440 pagine, e trasposto su CDR. Per una futura e plausibile riedizione a stampa è stata interessata l'Assoc. Naz. Dalmata tramite il cugino zaratino del professore, ma ancora nessuna novità. Se son rose..

lunedì 21 novembre 2011

Un garibaldino dimenticato Camillo Zancani da Egna (1820-1888) - Achille Ragazzoni

PREFAZIONE

<<In un'epoca in cui i grandi e i piccoli eroi che con 
il sacrificio delle loro sostanze, con il contributo di idee
e di sangue resero possibile il Risorgimento d'Italia,
sono purtroppo assai spesso dimenticati da quanti
oggi abusano dell'opera loro, sono ben degni di plauso
i pochi che cooperano a tenerne desta memoria, esempio, ideali.
E Camillo Zancani - che fu iniziatore, maestro, compagno
di cospirazioni e di battaglie di Egisto Bezzi 
<<il più mazziniano dei garibaldini e il più garibaldino dei mazziniani>> - 
è altamente meritevole non solo di ricordo,
ma di essere ancora portato ad esempio di amore verso la Patria>>.

Quirino Bezzi

  
Camillo Zancani, garibaldino. Sono trascorsi cent'anni dalla sua morte, ma a qualcuno il suo ricordo dà ancora fastidio. Perché mai? Forse perché un altoatesino che ha partecipato a tutte le campagne di Garibaldi dal 1848 al 1866 offusca l'artificiosa immagine di un Tirolo sempre e solo tedesco, creata da chi nell'era dell'unità europea fa il pangermanista con un secolo e più di ritardo. A certe persone non va proprio giù che un altoatesino abbia speso una vita a battersi per l'unità d'Italia. E ricordarlo, secondo certuni, non gioverebbe alla <<pacifica convivenza>>. Chissà cosa intendono questi per <<pacifica convivenza>>: forse il limitarsi a dire: <<Oh, piove!>> quando il prepotente ti sputa in faccia?
Noi non siamo ipocriti e abbiamo la coscienza a posto, amiamo l'Alto Adige e le sue tradizioni, così come amiamo l'Italia e l'Europa con le rispettive tradizioni. Quando è stato il momento abbiamo parlato bene di Andreas Hofer, personaggio cui portiamo più affetto di quanto non ne portino certi arrabbiati razzisti che, del tutto a torto, se ne ritengono eredi, e così oggi ci possiamo permettere il lusso di commemorare Camillo Zancani anche senza l'appoggio (di cui facciamo ben volentieri a meno) di certa gente che si impasta la bocca di <<pacifica convivenza>>,  facendo in realtà di tutto per sabotarla.
L'Europa di domani si potrà costruire solo sulla base delle singole tradizioni nazionali, imparando a conoscerle e ad amarle e portando loro il doveroso rispetto. Questo è il fondamento di una corretta pacifica convivenza, è inutile nascondersi dietro un dito. Gli altoatesini di tutti i gruppi linguistici devono conoscere i personaggi storici della propria provincia, di lingua tedesca o italiana che fossero.
Il reciproco rispetto è necessario all'avvenire di questa nostra splendida terra che ha sempre avuto la nobilissima funzione di ponte fra due grandi culture. Il reciproco rispetto, piaccia o no a gretti politicanti con gli occhi fissi a Soweto, implica la conoscenza delle reciproche radici e dei reciproci valori. E' in questa prospettiva che, nel centenario della morte, abbiamo voluto commemorare il dimenticato garibaldino dell'Alto Adige.
INDICE

Prefazione di Quirino Bezzi - pag. 5 

Nota introduttiva - pag. 7
La vita - pag. 9

Epistolario - pag. 25
Scritti vari - pag. 57

Garibaldini dei Mille di cui ricorre
il centenario della scomparsa - pag. 68

Bibliografia - pag. 69
 
Comitato Onoranze a Camillo Zancani
nel centenario della morte - pag. 71

Presso il Gruppo di Studio AVSER sono ancora disponibili alcune copie del volume.

sabato 12 novembre 2011

L'eroe della Val Badia. Ricordo di Giovanni Ruazzi nel cinquantenario - Silvano Valenti


In appendice: Etiopia oggi, di LEONIDA FAZI

Celebrare il sacrificio di un caduto è impresa che esige grande virtù d'arte, tale da elevare le immagini fino alle luci dell'eternità. Il concetto è di Gabriele D'Annunzio, l'ultimo dei grandi poeti, che ha chiuso la sua meravigliosa esistenza cinquant'anni fa, una stagione avanti la fine eroica del Volontario atesino qui ricordato.
Chi ne scrive non ha quella virtù e, per quanto egli stesso volontario di guerra, non conobbe le esperienze esaltanti dell'altro Volontario. Sofferse invece le tarde esperienze del '43-'45, la disfatta e il degrado morale che ne è seguito.
A cinquant'anni dal sacrificio di Giovanni Ruazzi molti valori sono stati oscurati, altri sono stati proposti. Parole come vita, morte, eroismo hanno subito un drastico svuotamento semantico. Cinquant'anni fa si viveva, si lottava, si moriva per qualcosa; studentelli di ginnasio, si scandiva Dulce et decorum est pro patria mori. Era un frammento di retorica oraziana, ora schernita dal ghigno degli sciocchi; ma nella coscienza di noi ragazzi quel precetto si stampava come principio superiore, da apprendere sui banchi della scuola e da tramandare. E qualcuno di noi, coerentemente, ne dava testimonianza. 
Morire non era pura antitesi del vivere, ma come il vivere era nobilitato. I migliori di noi intendevano la vita un avvicendarsi di rischi e di superamenti, sognavano - al modo di D'Annunzio - una vita più ampia ed anche una morte degna, non morte di carne inferma, di materia superstite allo spirito annebbiato o estinto. Cosa è oggi la vita, se non dovere di sparsi sopravvissuti, se non illusorio appagamento per i più, prona moltitudine obbediente al ventre? Vivere, per moltissimi giovani allevati in cattività e robotizzati secondo il modello USA, è un pigro viaggiare intorno a se stessi; e morire è una realtà che riguarda gli altri. Eppure, anche oggi si muore a vent'anni: non fronte al nemico nell'ebbrezza della vittoria, ma da miserabili, dietro una siepe, con l'ago confitto nel braccio. A venti ed anche più anni si può morire di una sindrome immonda che riproduce nella carne il disfacimento dell'anima. Vivere, per la massa addomesticata, è inseguire la chimera opaca ed obesa del benessere che allieta di moltiplicate illusioni un insensato navigare senza approdo. E chi nella sera senza Espero, nella notte senza Orsa, nel mattino senza Diana avvertirà il tragico vuoto dell'esistenza, potrà ridursi a sperare in una stagione felice sull'altra riva, se non ha ancora perduto il dono della Fede.
Eroismo: è parola fuori corso. L'eroismo è un valore negativo per la società edonistica che fra le sue grandi <<conquiste>> può vantare la soppressione del sacrificio. Nondimeno in qualche parte del mondo e, larvatamente, anche da noi l'eroismo sopravvive. Spirito eroico hanno quei popoli che difendendo ad alto prezzo di sangue la loro indipendenza e la loro identità contro coloro che per imporre il proprio sistema corrotto e usuraio la fan da padroni nelle loro terre e nei loro mari. <<Meglio morti che servi>>, puoi leggere sull'insegna di questi popoli sventurati, ma ancora liberi; e puoi leggere il contrario nell'insegna - posto che ne abbiano una - dei popoli soggetti e senza avvenire, destinati ad esser prima servi e poi morti. Sotto altre parvenze, l'eroismo sopravvive anche laddove ogni valore è calpestato e <<il demagogo scaglia il suo verso contro a chiunque s'innalzi e contro a tutti i bei disegni.>> Restare in piedi fra le rovine, non cedere alla lusinga del mercante, non curarsi di essere <<tagliati fuori>>, segnati a dito, infamati o condannati al silenzio: tutto questo non è forse qualcosa che somiglia all'eroismo? <<Eroe>> è oggi chi nella sua specie e nel suo cammino sa esser solo. Solo nell'affrontare l'ultima altura, solo con il suo cuore che è <<il compagno più forte>>. Splendidamente solo è l'eroe d'oggi, come l'eroe di ieri nell'atto di donare la vita.

 
Presso il Gruppo di Studio AVSER sono disponibili diverse copie del volume

lunedì 7 novembre 2011

Processo al Seicento - Ferruccio Bravi

<< Nescire quid acciderit
antequam natus sis
id est quasi non esse >>
(CIC., Orat., XI.2) 

Qualcuno si chiederà: perché un processo al Seicento, quando sarebbe più opportuno celebrare il processo - magari per direttissima, e senza appello - al secolo nostro? D'accordo; ma fare un processo al passato è un po' fare il processo anche al presente, poiché la storia d'ogni tempo racchiude in sé i motivi eterni degli avvenimenti, quei motivi che hanno governato le cose passate così come governano le cose presenti e governeranno le future. I grandi, dal Macchiavelli al Vico, ci insegnano che il passato fa lume al futuro, perché il mondo è sempre lo stesso, perché le stesse cose ritornano sotto diversi nomi, sotto diversi aspetti, sotto diversi colori. [...]
Il seicento è noto ai più attraverso una interpretazione distorta, convenzionale, di comodo, viziata da pregiudizi e luoghi comuni.
E' un secolo tuttora giudicato secondo le visuali della cosidetta << età dei lumi >>, quella buia notte della storia che dura ancora. Il Seicento, rispetto al Settecento, fa la parte del baritono: serve a giustificare il secolo nuovo, anche nelle sue aberrazioni. Rispetto al nostro secolo, il Seicento serve come pietra di paragone: si afferma cioè che esso fu un secolo piatto, decadente, disumano, vuoto: mentre invece il secolo nostro - secondo una interpretazione d'obbligo - è ricco di promesse, di sensibilità umana, di giustizia, di progresso sociale e via discorrendo..
Ma, con buona pace dei filistei e dei Pangloss del tempo nostro, il seicento è qualcosa di meglio: è, a differenza del nostro, un secolo in cui l'uomo ricerca ansioso un mondo nuovo dello spirito: nessun altro secolo - salvo il cinquecento che in esso si proietta - è altrettanto ricco di fermenti.. 


Presso il Gruppo di Studio AVSER sono disponibili diverse copie del volume - ricco d'illustrazioni -, tra cui alcune edizioni di pregio rilegate